Se la guerra all'ISIS è una barzelletta

'Imperterriti, replicano le stesse commedie, vendendole alla gente come ''lotta all’Isis'', ''guerra al terrore''. Ecco la traccia del grande inganno. [F. Scaglione]'

Se la guerra all'ISIS è una barzelletta
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5 Agosto 2016 - 05.50


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di Fulvio Scaglione.


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D’accordo che siamo d’estate ma le barzellette sull’Isis non fanno più ridere. L’ultima è questa: c’è un servizio segreto dell’Isis che gira per l’Europa arruolando tutti i mattocchi che trova per trasformarli in lupi solitari. Quello di Nizza, che entrava e usciva dagli ospedali psichiatrici. Quello di Monaco di Baviera, che curava le crisi depressive con i videogame ammazza-tutti. Quello di Londra, che ha ammazzato una donna subito dopo essere uscito dall’ospedale dove cercavano invano di rimettergli in sesto il cervello.


Il meno che si può dire è che questo “servizio segreto” dell’Isis funziona assai meglio dei nostri sistemi di welfare: li trova tutti, i disadattati, li convince, li organizza, li indirizza verso il bersaglio. E senza farsi notare, mai. 

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Perché, com’è noto, nei Paesi europei non ci sono polizie né servizi segreti, e tantomeno agenti infiltrati nelle comunità islamiche più a rischio di radicalizzazione. Nessuno, nelle nostre intelligence, sa chi siano i predicatori più fanatici né chi incontrino. Nessuno spia le comunicazioni né il web, anche se solo poco tempo fa abbiamo scoperto che i servizi americani origliavano il cellulare di Hollande e della Merkel.

Questa è la barzelletta dei ciecamente atlantisti. La grande congiura serve a spiegare perché siamo arrivati a questo punto, cosa che non era affatto obbligatoria. E si collega perfettamente all’altra grande storiella, quella che raccontano i biecamente atlantisti. I quali ora ci dicono che, proprio per sventare la grande congiura in Europa della Spectre islamista, bisogna colpire l’Isis a casa sua, a Raqqa, nelle roccaforti che ancora resistono in Siria e in Iraq. Bravi, sette più.

Sono anni che personaggi di tutto il Medio Oriente lo ripetono, anni che i cristiani della regione lo invocano. E non è mai successo niente. Due anni e un pezzo di finta guerra con finti bombardamenti. Una coalizione di 70 Paesi guidata da Usa e Arabia Saudita che non sa più che scusa trovare per non colpire colonne di miliziani che attraversano il deserto. Mentre a suo tempo fu possibile far fuori la Jugoslavia di Slobodan Milosevic e l’Iraq di Saddam Hussein in poche settimane, pestando duro sulle città e persino sui treni, senza farsi tanti problemi per le vittime civili. Mentre ogni sforzo, dall’addestramento di mercenari alla pressione politica internazionale, è stato diretto per indebolire l’unico argine che l’Isis, nella sua vocazione al massacro, abbia trovato sulla propria strada: l’esercito di Assad e l’alleanza Russia-Iran-Hezbollah.

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Onestamente sale il sangue agli occhi quando a scrivere certe cose sono personaggi illustri che hanno grande dimestichezza con la Nato. L’unica cosa che abbia fatto la Nato, nella crisi gestita dall’Isis ma organizzata e finanziata dai Paesi del Golfo Persico con la benevolenza degli Usa e della Turchia, è stata correre a proteggere Recep Erdoğan quand’è venuto alle mani con la Russia. E il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, specificò che si trattava di proteggere il confine della Turchia con la Siria, proprio quello attraverso cui in questi anni sono filtrati in Siria e in Iraq, ad ammazzare migliaia di persone per conto dell’Isis e dei suoi burattinai, quasi 60 mila foreign fighters. Per non parlare di tutti gli altri traffici. In altre parole, la Nato correva a proteggere uno dei principali canali di arruolamento e rifornimento del terrorismo islamico.

E adesso ci dicono che bisogna colpire Raqqa, colpire il cuore dell’Isis. A fare i complottisti verrebbe da pensare che i nuovi equilibrii strategici generati dal vero-finto golpe in Turchia (per esempio, il riavvicinamento tra Ankara e Mosca) abbiano convinto qualcuno che è ora di darsi una mossa, prima che certi legami si rinsaldino e magari Trump diventi presidente.

Ma stiamo alla realtà. E la realtà è che, imperterriti, replichiamo le stesse commedie, vendendole alla gente come “lotta all’Isis”, “guerra al terrore”. Per anni la gente del Medio Oriente ci ha chiesto di smetterla con i bombardamenti scenografici e di cominciare a combattere davvero gli stragisti islamici. Perché, ci spiegava la gente di là, che conosce bene i luoghi e i problemi, non c’è altro modo per risolvere il problema. Abbiamo fatto finta di niente. E adesso che succede? Altro bombardamenti scenografici sulla Libia, mentre i generali (per esempio, Marco Bertolini, ex comandante delle missioni italiane all’estero) avvertono che “i raid aerei da soli non possono essere sufficienti. Occorre poi una ricaduta sul terreno, occorrono truppe che facciano la guerra sul serio”.

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Il buon vecchio Marx, riprendendo Hegel, diceva che i grandi eventi della storia si presentano sempre due volte, “la prima come tragedia, la seconda come farsa”. Ma qui siamo ben oltre la seconda volta ed è più che venuto il momento di chiedersi: stiamo davvero cercando di eliminare il terrorismo islamico? Oppure quanto avviene in Europa, tra attentati, lupi solitari e mattocchi in cerca di un palcoscenico, è il prezzo che alcuni sono disposti a (farci) pagare nell’illusione di sfruttare l’islamismo per governare certe parti del mondo?


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