Le tre battaglie decisive del conflitto siriano

Tre battaglie che si concluderanno probabilmente entro l’anno saranno decisive per far cessare il conflitto in Siria e anche per gli sviluppi bellici in Iraq.

Le tre battaglie decisive del conflitto siriano
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21 Agosto 2016 - 19.54


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di Gianandrea Gaiani.

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Tre battaglie che si concluderanno probabilmente entro la fine
dell’anno, saranno decisive per far cessare il conflitto in Siria e, di
conseguenza, anche per gli sviluppi bellici in Iraq. Si combatteranno
senza esclusione di colpi ad Aleppo e Raqqah perché molti dei
protagonisti sul campo di battaglia si giocheranno non solo la vittoria
ma la loro stessa sopravvivenza.


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Nella prima città le milizie ribelli inquadrate nel potente Esercito
ella Conquista (che riunisce tutti i gruppi jihadisti agli ex qaedisti
di al-Nusra a Salalfiti e Fratelli Musulmani) combattono furiosamente
per rompere l’accerchiamento dei quartieri orientali sotto il loro
controllo o per mantenere aperta a breccia larga meno di un chilometro
conquistata a sud della città dopo aver strappare ai governativi il
controllo dell’Accademia aeronautica.

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Le
truppe di Bashar Assad stanno cercando di riconquistarla con un ampio
supporto aereo fornito anche dai bombardieri russi decollati da Latakya
e, ieri, per la prima volta dalla base iraniana di Hamadan che offre a
Mosca la possibilità di rischierare i bombardieri pesanti Tupolev ad
appena 700 chilometri dal fronte siriano invece dei 2mila della base
russa di Mozdok.  


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L’accordo tra Mosca e Teheran consentirà ai russi di aumentare la
pressione su tutte le milizie jihadiste (definiti “terroristi” da russi e
siriani) intensificando il supporto offerto alle truppe di Assad e ai
suoi alleati iraniani ed Hezbollah libanesi.


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Un
segnale in più che indica la volontà di chiudere la battaglia di Aleppo
stringendo l’assedio ai ribelli che hanno fatto affluire tutti i
rinforzi disponibili, così come del resto ha fatto Damasco sospendendo
temporaneamente le offensive che da Palmyra erano dirette a raggiungere
da sud Raqqah, capitale dello Stato Islamico.


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Tagliati fuori dal confine turco da dove affluivano armi e
rifornimenti provenienti dalle monarchie sunnite del Golfo, i miliziani
dell’Esercito della Conquista dovranno rompere l’assedio per non venire
condannati a esaurirsi come forza combattente, imbottigliati dal fuoco
nemico e a corto di munizioni.

Lo
stesso destino delle milizie cosiddette “moderate” dell’Esercito
Siriano Libero, che controllano alcune aree di Aleppo est, godono del
supporto Occidentale e potrebbero trovare un’intesa con Damasco, punto
da tempo oggetto di negoziati tra Russia e Stati Uniti. 

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Di certo il peso militare che Mosca sta mettendo in campo in Siria
indica senza dubbio la volontà di imprimere una svolta alla guerra e
consolidare definitivamente Assad sbarazzandosi dei ribelli.


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L’occasione del resto è propizia. Non solo il parlamento russo ha
appena ufficializzato che la base aerea di Hmeimim, vicino a Latakya,
diverrà permanente come lo è già da anni la base navale di Tartus, ma
ora i rapporti tornati amichevoli tra Mosca e Ankara sembrano indurre i
turchi a chiudere o ridimensionare gli aiuti alle formazioni ribelli.


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Un
tema di cui hanno discusso nel vertice di San Pietroburgo, a porte
chiuse e senza che trapelassero indiscrezioni, Vladimir Putin e Recep
Tayyp Erdogan.


Ai ferri corti con Europa e USA dopo il fallito golpe militare, il
presidente turco è “costretto” a recuperare i rapporti economici,
energetici e strategici con la Russia facendone pagare il prezzo agli
insorti siriani.

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La seconda battaglia decisiva nel conflitto siriano sarà quella per
conquistare Raqqah, difesa da qualche migliaio di veterani de Califfato
ma alla portata sia delle milizie curde e arabe delle Forze Democratiche
Siriane (FDS) sia dell’esercito di Damasco. Entrambe queste forze
combattenti hanno però dovuto sacrificare a obiettivi diversi la marcia
su Raqqah.

Le
FDS, sostenute dall’Occidente e affiancate da forze speciali
statunitensi hanno le loro avanguardie a meno di 50 chilometri dalla
“capitale” del Califfato ma negli ultimi due mesi sono state costrette
dalle pressioni occidentali ad attaccare Manbij, città dove i miliziani
dell’IS hanno combattuto come leoni prima di ritirarsi verso Jarablus.  

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Secondo i servizi d’intelligence Manbji era il punto di raccolta dei
“foreign fighters” dello Stato Islamico che cercano di rientrare in
Europa per compiere attentati.

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Da qui i veterani del jihad raggiungevano Jarablus, ultima città sul
confine turco in mano al Califfato, per poi entrare in Turchia e
mischiarsi ai flussi di immigrati e profughi diretti in Europa.

Interrotto
il “corridoio dei foreign fighters” come chiedevano gli sponsor
occidentali, le FDS possono ora puntare su Raqqah da nord con l’appoggio
delle forze speciali americane e dei bombardieri russi, segnale di
qualche progresso nella ricerca di un’intesa tra Mosca e Washington per
la lotta congiunta all’IS. 

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Più difficile invece che possa riprendere in tempi brevi l’offensiva
dell’esercito di Damasco da sud almeno finché non finirà la battaglia di
Aleppo che assorbe il grosso delle forze siriane.

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La
terza e ultima battaglia del conflitto siriano si svilupperà
probabilmente tra Deir az Zor e al-Qaim, sul confine iracheno, dove
secondo molte fonti il Califfato sta concentrando armi e combattenti.

Una sorta di ultima ridotta che potrebbe ospitare anche i miliziani
in ritirata da Mosul ove è attesa per l’autunno una vasta offensiva
irachena sostenuta dalla Coalizione a guida statunitense.

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A Deir-az Zor parte della città e la base aerea sono ancora nelle
mami delle forze di Damasco, assediate da due anni e rifornite di viveri
e munizioni con aerei ed elicotteri. Anche su questo fronte l’offensiva
governativa dipenderà dal successo ad Aleppo e a Raqqah poiché le forze
di Assad sono a corto di personale a causa delle forti perdite subite
in cinque anni di guerra.

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Secondo
l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), organizzazione
basata in Gran Bretagna e vicina ai ribelli cosiddetti “moderati”, i
governativi hanno subito le perdite maggiori: 106 mila morti contro i 50
mila ribelli jihadisti, altrettanti miliziani moderati e curdi e 85
mila civili per un totale di 292 mila vittime. 

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Originariamente pubblicato su Il Mattino, 17 agosto 2016.

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