La Guerra imminente con la Cina

'Un articolo di John Pilger sull''ipotesi concreta di una prossima guerra nucleare. [Trad. it. a cura di ComeDonChisciotte]'

La Guerra imminente con la Cina
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Redazione Modifica articolo

6 Dicembre 2016 - 06.06


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di John Pilger

Quando andai per la prima volta a Hiroshima nel 1967, l’ombra sui gradini era ancora lì. Era l’impronta quasi perfetta di un essere umano a proprio agio: gambe divaricate, schiena piegata in avanti, una mano sul fianco mentre sedeva, aspettando che la banca aprisse. Alle otto e un quarto della mattina del 6 agosto 1945 lei e la sua sagoma si fusero con il granito. Fissai quell’ombra, ancora oggi indelebile nella mia mente, per un’ora o forse più. Quando ci ritornai molti anni dopo era sparita: rimossa, “scomparsa”, perché politicamente imbarazzante.

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Ho trascorso due anni girando un film documentario, The Coming War on China, che raccoglie prove e testimonianze che dimostrano che la guerra nucleare non è più un’ombra, ma una possibilità concreta. È in corso il più imponente accumulo di forze militari sotto l’egida statunitense dalla Seconda Guerra Mondiale. Si trovano ai confini occidentali della Russia, in Asia e nel Pacifico, e sono puntate verso la Cina.

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Il grande pericolo che ciò implica non fa notizia, oppure viene sepolto tra le altre news e distorto: una propaganda martellante che riecheggia nella campagna psicopatica inculcata nella coscienza pubblica per gran parte del Ventesimo secolo.

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Come la riforma della Russia post-sovietica, anche l’ascesa della Cina come potenza economica è considerata una “minaccia esistenziale” al diritto di emanazione divina degli Stati Uniti di governare e dominare il destino dell’umanità.

Per contrastarla, nel 2011 il presidente Obama ha annunciato un “pivot verso l’Asia”, che significava che quasi due terzi delle forze navali statunitensi sarebbero state trasferite in Asia e nel Pacifico entro il 2020.
Ad oggi, più di 400 basi militari americane circondano la Cina con missili, bombardieri, navi da guerra e, soprattutto, armi nucleari. Dall’Australia, proseguendo a nord attraverso il Pacifico e arrivando in Giappone e Corea, e attraverso il continente eurasiatico fino all’Afghanistan e all’India, le basi formano, come dice uno stratega statunitense, “la trappola perfetta”.

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Uno studio della RAND Corporation – che, a partire dal Vietnam, ha pianificato le guerre dell’America – è intitolato War with China: Thinking Through the Unthinkable (La guerra con la Cina: riflettere sull’inconcepibile). Commissionato dall’esercito americano, i suoi autori rievocano la Guerra Fredda, quando la RAND rese famoso il motto del suo stratega in capo Herman Kahn – “thinking the unthinkable” (pensare l’impensabile). Il libro di Kahn On Thermonuclear War elaborava un piano per una guerra nucleare “sostenibile” contro l’Unione Sovietica.

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Oggi la sua visione apocalittica è condivisa da coloro che detengono davvero il potere negli Stati Uniti: i militaristi del Pentagono e i loro collaboratori neoconservatori al governo, le agenzie d’intelligence e il Congresso. L’attuale Segretario alla Difesa, Ashley Carter, un ampolloso provocatore, dice che la politica degli Stati Uniti è quella di combattere coloro “che sono consapevoli del predominio americano e vogliono portarcelo via”.

“Punire” la Cina

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Ho incontrato a Washington Amitai Etzioni, illustre professore di affari internazionali alla George Washington University. Gli Stati Uniti, scrive, “si stanno preparando alla guerra con la Cina, una decisione epocale che finora non è stata valutata in modo approfondito da parte dei funzionari eletti, cioè della Casa Bianca e del Congresso.”

Questa guerra inizierebbe con un “attacco per mettere fuori uso le strutture difensive cinesi, incluse le piattaforme per il lancio di missili a terra e in mare… armi satellitari e anti-satellite”.

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Il rischio enorme deriva dal fatto che “degli attacchi sul suolo cinese potrebbero erroneamente essere percepiti dai cinesi come tentativi preventivi di privarli delle loro armi nucleari, generando in loro ‘un terribile dilemma tra utilizzarle o perderle’ che condurrebbe alla guerra nucleare.”

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Nel 2015 il Pentagono ha pubblicato il suo Law of War Manual. “Gli Stati Uniti”, si legge in esso, “non hanno accettato nessuna norma di un trattato che proibisce per se l’uso di armi nucleari, perciò le armi nucleari sono considerate dagli Stati Uniti armi lecite.”

In Cina un esperto militare mi ha detto: “Noi non siamo vostri nemici, ma se voi [in Occidente] decidete che lo siamo, dobbiamo essere pronti a reagire senza indugi.” L’esercito e l’arsenale cinesi sono piccoli rispetto a quelli americani. Tuttavia, “per la prima volta”, ha scritto Gregory Kulacki dell’Unionof Concerned Scientists, “la Cina sta valutando di tenere pronti i suoi missili nucleari in modo che possano essere lanciati velocemente in caso di minaccia di un attacco… Questo sarebbe un significativo e preoccupante cambiamento nella politica cinese… In effetti, la linea politica sulle armi nucleari degli Stati Uniti è il fattore esterno più evidente che sta influenzando i fautori cinesi di un innalzamento del livello di allerta delle forze nucleari cinesi.”

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Il professor Ted Postol è stato consigliere scientifico del comandante delle operazioni navali degli Stati Uniti. Egli, voce autorevole in tema di armi nucleari, mi ha detto: “Ognuno qui vuole sembrare un duro. Vede, io devo essere un duro… Non mi spaventa niente dal punto di vista militare, non ho paura di minacciare; sono un gorilla dal petto villoso. E siamo arrivati ad un punto, gli Stati Uniti si trovano in una situazione in cui spirano venti di guerra e tutto questo viene in realtà orchestrato dall’alto.”

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Io risposi: “Sembra davvero molto rischioso.”

“Rischioso è un eufemismo”

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Andrew Krepinevich è stato uno stratega militare del Pentagono e influente autore dei “giochi di guerra” contro la Cina. Egli vuole “punire” la Cina per aver esteso le proprie difese al Mar Cinese Meridionale. Auspica che l’oceano venga cosparso di mine sottomarine, che vi vengano inviate le forze speciali statunitensi e che venga istituito un blocco navale. Lui stesso mi ha detto: “Il nostro primo presidente, George Washington, disse: ‘Se vuoi la pace, preparati per la guerra’”.

Nel 2015, in gran segreto, gli Stati Uniti hanno organizzato la più grande esercitazione militare dai tempi della Guerra Fredda. Si chiamava Talisman Sabre: un’armata di navi e bombardieri a lungo raggio hanno inscenato una “Battaglia aria-mare per la Cina” – ASB – bloccando le rotte navali nello stretto di Malacca e interrompendo gli approvvigionamenti cinesi di petrolio, gas e altre materie prime dal Medio Oriente e dall’Africa.

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È stata questa provocazione, insieme alla paura di un blocco navale da parte della Marina statunitense, che ha spinto la Cina a costruire febbrilmente piste di atterraggio strategiche su scogliere e isolotti contestati nelle isole Spratly, nel Mar Cinese Meridionale. Lo scorso luglio, la Corte di Arbitrato Permanente delle Nazioni Unite si è espressa contro la rivendicazione di sovranità della Cina su queste isole. Sebbene l’azione fosse stata sollevata dalle Filippine, è stata presentata da avvocati di spicco americani e inglesi e può essere ricondotta all’allora Segretario di Stato americano Hillary Clinton.

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Nel 2010 la Clinton è volata a Manila per chiedere che la ex colonia americana riaprisse le basi militari USA chiuse negli anni Novanta a seguito di una campagna popolare contro le violenze che generavano, soprattutto ai danni delle donne filippine. In quell’occasione ha dichiarato anche che la rivendicazione della Cina sulle isole Spratly – che si trovano a più di 7500 miglia (12000 chilometri) dagli Stati Uniti – costituisce una minaccia alla “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti e alla “libertà di navigazione”.

Dopo che gli sono stati consegnati milioni di dollari in armi e attrezzature militari, l’allora governo del presidente Benigno Aquino ha interrotto i colloqui bilaterali con la Cina e firmato un Accordo di Cooperazione segreto per la Difesa Rafforzata con gli Stati Uniti. Con esso sono state create 5 basi statunitensi per la rotazione delle truppe ed è stata riesumata un’odiata disposizione di epoca coloniale secondo cui le forze americane e i loro mercenari sono immuni dalla legge filippina.

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Sotto il nome di “dominio dell’informazione” – il gergo per manipolazione dei mezzi d’informazione, su cui il Pentagono spende più di 4 miliardi di dollari – l’amministrazione Obama ha lanciato una campagna di propaganda che classifica la Cina, la più grande nazione al mondo dal punto di vista commerciale, come una minaccia alla “libertà di navigazione”.

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La CNN ha preso parte attivamente alla campagna, con il suo “reporter per la sicurezza nazionale” che, tutto eccitato, trasmetteva a bordo di un volo di ricognizione della Marina statunitense sopra le isole Spratly. La BBC ha persuaso degli spaventati piloti filippini a sorvolare le isole contese con un Cessna monomotore “per vedere come i cinesi avrebbero reagito”. Nessuno dei servizi andati in onda si domandava perché i cinesi stessero costruendo piste di atterraggio al di fuori dei confini delle proprie coste, o perché le forze militari americane si stessero ammassando alle porte della Cina.

Il capo della propaganda designato era l’Ammiraglio Harry Harris, il comandante in capo delle truppe USA in Asia e nel Pacifico. “Le mie responsabilità”, ha detto al New York Times, “si estendono da Bollywood a Hollywood, dagli orsi polari ai pinguini.” Il dominio imperialista non era mai stato descritto in un modo tanto conciso.

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