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di Antonio Mazzeo.
Paolo Gentiloni l’ha spuntata: il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sostituisce l’amico fraterno Renzi alla Presidenza del consiglio. Da quando circolava con sempre più insistenza il suo nome, un ricordo sfocato mi è tornato alla mente.
Correva l’autunno 1983 e a Roma si era conclusa da poco una delle più grandi manifestazioni per la pace della storia italiana. Un milione di persone per dire No ai missili nucleari Nato-Usa in Sicilia. Poi i sit-in di fronte al Parlamento duramente repressi dalle forze dell’ordine. Con alcuni dei componenti del Comitato XXIV ottobre ci si vede a cena in un signorile appartamento del centro. Tra gli ospiti, schivo e austero, c’era il giornalista Gentiloni, una breve e invidiata esperienza nel movimento studentesco di Mario Capanna, in procinto di assumere la direzione de La nuova ecologia, il periodico di Legambiente ideato con Chicco Testa ed Ermete Realacci che, non vorrei sbagliare, quella sera erano con noi pacifisti e antinucleari.
Le evoluzioni o involuzioni del trio legambientalista sono note: Testa volò alla presidenza del Cda di Enel che contribuì a privatizzare; Realacci è oggi presidente della Commissione ambiente della Camera dei deputati, anch’egli in quota Giglio-Renzi, mentre il nobile di origini Gentiloni è incoronato Capo di governo.
Che differenze enormi tra il Gentiloni No war e No Nuke e il Gentiloni Pd. Ad agosto a Washington con l’amica-sorella-compagna Roberta Pinotti, molto probabilmente riconfermata ministra della difesa, offre agli Usa il consenso all’utilizzo della base di Sigonella per gli attacchi in Libia con i droni armati.
Ai giornalisti Gentiloni spiega che “l’utilizzo delle basi italiane non richiede una specifica comunicazione al parlamentoâ€.
Così oltre a Sigonella, dall’hub aeroportuale di Pisa possono decollare gli aerei C-130 dell’US Air Force per trasportare armi e materiali militari in Libia e ai paesi nordafricani e mediorientali partner della campagna contro il “terrorismo internazionaleâ€.
Alleati con cui Gentiloni (con Renzi e Pinotti) rafforzerà legami e affari, anche in nome e per conto del complesso militare industriale nazionale. La Libia innanzitutto, il cui fragile governo continua ad essere riconosciuto aldilà del Mediterraneo ma non in loco. O il Sultanato dell’Oman ad esempio, considerato dal ministro Gentiloni uno degli interlocutori privilegiati sul piano politico ed economico con cui discorrere sulle guerre in Iraq, Libia, Yemen e Ucraina.
Ma soprattutto l’Arabia saudita, impegnata in un’escalation di morte in Yemen, grazie alle bombe e ai cacciabombardieri acquistati in Italia in palese violazione delle leggi e del diritto internazionale e l’assenso dell’uomo guida del ministero degli affari esteri.
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