La guerra di Aleppo non è solo come ve la raccontano

'C''è molto di più della mera e ipocrita propaganda anti Assad portata avanti dai pacifisti tali solo per convinzione ideologica. [Fulvio Scaglione]'

La guerra di Aleppo non è solo come ve la raccontano
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15 Dicembre 2016 - 23.40


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di Fulvio Scaglione.


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La battaglia di Aleppo, con le stragi di questi
giorni e gli anni terribili che le hanno precedute, ha segnato tra le
altre cose il collasso del sistema informativo occidentale, ormai quasi
incapace di distinguersi dalla propaganda di parte.

Tutto, nel
racconto occidentale su Aleppo, sa di truffa e inganno. Dalla
pubblicazione senza filtri né verifiche dei dati forniti
dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, fondato e animato da un
oppositore di Bashar al-Assad e mantenuto dal governo inglese, alla
parola “assedio”, usata senza risparmio per Aleppo ma solo negli ultimi
mesi, e mai nei più di tre anni in cui la città era attaccata su tre
lati da ribelli e jihadisti, arrivati anche a occupare il 60 per cento
del territorio urbano. 

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Ma
questi, se vogliamo, sono piccoli particolari. Il problema vero è il
rifiuto di confrontarsi con una realtà che possiamo sintetizzare così:
quanto è accaduto ad Aleppo in queste settimane non è per nulla
eccezionale. Al contrario, è la norma della guerra contemporanea. Non ci
credete? Allora cominciamo a guardarci intorno. Prendiamo Mosul, la
grande città irachena che da due anni e mezzo è occupata dall’Isis.

A
metà ottobre è partita (finalmente) l’offensiva per liberarla dai
jihadisti. Grandi fanfare, toni trionfalistici, esultanza per i civili
che “venivano liberati” dai quartieri prima sotto il controllo dei
miliziani (mentre i civili di Aleppo, che escono dai quartieri dominati
da al-Nusra, non sono liberati ma “fuggono”). Adesso, due mesi dopo,
tutto è fermo e di liberare Mosul non si parla più. Non solo:
l’offensiva di americani, curdi e iracheni è così ferma che l’Isis ha
distaccato 4-5 mila combattenti dal fronte iracheno e li ha mandati a
riprendere Palmira in Siria. Perché?

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La risposta è molto semplice.
I due anni e mezzo di estenuante campagna di bombardamenti hanno dato
all’Isis tutto il tempo per organizzare le difese in città. Le strade
sono state minate o sbarrate o sostituite da gallerie note solo ai
miliziani. Certi palazzi sono stati abbattuti per liberare le linee di
tiro, in altri punti sono stati costruiti muri per chiudere la vista e
il passaggio agli attaccanti. Migliaia di civili, infine, sono stati
bloccati per essere usati come scudi umani.

Per essere “liberata”
Mosul dovrà diventare un’altra Aleppo: con i bombardamenti, le vittime
civili, i bambini straziati dai colpi e così via. L’alternativa c’è: la
conquista casa per casa con centinaia e centinaia di morti tra gli
iracheni e i curdi. Cosa che peraltro già succede, anche se le
operazioni militari sono quasi ferme. 

La missione delle Nazioni
Unite per l’assistenza all’Iraq (Unami), diretta da Jan Kubis, ex
ministro degli Esteri della Slovacchia (dal 2006 al 2009), ha reso noti i
dati, allucinanti, sul numero dei morti iracheni, civili e non, degli
ultimi mesi. In settembre, cioè prima dell’offensiva su Mosul, i civili
iracheni uccisi erano stati 609 (con 951 feriti); in ottobre sono
diventati 1.120 (con 1.005 feriti) e in novembre 926 (930 feriti).

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Per
quanto riguarda militari e combattenti vari, le cifre sono: in
settembre, 394 uccisi (208 feriti), in ottobre 672 uccisi (353 feriti),
in novembre 1.959 uccisi (e 450 feriti). Risultato? Tutto bloccato,
quindi altre sofferenze per i civili prigionieri a Mosul e altro tempo
regalato all’Isis per continuare a fortificarsi.

Certo, nouveaux philosophes
e altri clown possono pigiare sul pedale delle atrocità e delle
violazioni dei diritti umani ad Aleppo. Ma sono solo degli ipocriti. Nel
2004, l’esercito americano combattè due battaglie per “liberare” la
città irachena di Fallujah, di fatto occupata dai miliziani di al-Qaeda,
gli zii dei miliziani di al-Nusra, che tanta parte hanno avuto nella
battaglia di Aleppo.

Secondo l’Ong indipendente Iraq Body Count,
nella prima battaglia (aprile 2004) morirono tra 572 e 616 civili; nella
seconda (novembre 2004) ne morirono tra 581 e 670. Gli americani
usarono armi al fosforo e, pare, all’uranio impoverito. Avete mai
sentito un nuovo filosofo stracciarsi le vesti in proposito? Ricordate
che il Corriere della Sera abbia usato, nei titoli, per Fallujah, il termine “mattatoio” come ha fatto per Aleppo?

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E
che dire di Gaza? Secondo i dati più prudenti, che sono quelli
pubblicati dal Jerusalem Center for Public Affairs, solo il 45 per cento
dei 2.100 palestinesi uccisi nella Striscia durante la guerra del 2014
erano veri civili e non combattenti. Il che fa pur sempre 945 persone
inermi ammazzate in due mesi di scontri.

Allora furono proprio i
paesi che oggi gridano allo scandalo per le operazioni di Aleppo a
bloccare, all’Onu, le proposte di censura contro Israele. E Gaza,
d’altra parte, non è una perfetta copia dei quartieri est di Aleppo,
quelli attaccati con le bombe dai russi e dai siriani di Assad?  

Ancora.
L’Unicef ci ha fatto sapere che nei primi sei mesi del 2016 in
Afghanistan si è avuto il numero record di vittime civili: 1.601 morti e
3.565 feriti. Il semestre peggiore dall’invasione anti talebani del
2001. Secondo le stime dell’Onu, il 60 per cento dei civili afghani cade
sotto i colpi dei talebani e degli altri gruppi ribelli e criminali.

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Ma
il 40 per cento di 1.601 morti fa pur sempre 640 morti, ossia 640
afghani innocenti ammazzati in sei mesi (più di 3 al giorno) dalle
truppe arrivate dai nostri paesi, cioè da coloro che dovrebbero
proteggerli e “liberarli”. Ma tutto tace, quei morti non meritano lo
sdegno riservato ai morti di Aleppo est. 

La guerra dei nostri
tempi, insomma, è questa roba schifosa. Chi fa finta di credere che in
Cecenia e ad Aleppo si siano fatte cose diverse da quelle accadute
altrove, per esempio a Fallujah o a Gaza, molto semplicemente mente.
Tutte le guerre di oggi si combattono sulla pelle dei civili. Tutte.


E in tutte le guerre gli uomini armati, portino o meno un’uniforme,
sono al più le vittime collaterali. Cosa che politici, militari e
terroristi sanno bene. Dunque la questione vera è evitare il più
possibile le guerre, non far finta che ci siano guerre buone e guerre
cattive.

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