L'ordine esecutivo liquido del presidente liquido

'Nella dicotomia tra una destra elitaria e tecnocratica (l’ex sinistra) e una populista e plebiscitaria (l’ex destra propriamente detta) leggiamo l''esordio di Trump'

L'ordine esecutivo liquido del presidente liquido
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1 Febbraio 2017 - 13.00


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di Piotr.

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1. Ho
trovato brillante la definizione di “presidente liquido” data da Marcello Foa
a Donald Trump. Io l’ho definito “presidente
modernariato
”, ma le due definizioni sono coerenti.

Altrove ho
spiegato che la società liquida (definizione coniata dal recentemente scomparso
Zygmunt Baumann), per me è il risultato del dissolvimento della strutturazione
della società in classi rappresentanti valori, visioni del mondo e progetti
differenti, mentre contemporaneamente veniva invece scatenata proprio una
violenta lotta di classe dall’alto che ha portato a una concentrazione della
ricchezza senza precedenti. Per dirla in altro modo, la società liquida è il
risultato di un’aspra lotta di classe unilaterale che paradossalmente ha fatto
piazza pulita dell’articolazione in classi della società, rendendo impossibile
un  ribilanciamento.

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C’è un filo
che lega la “fine delle ideologie”, decretata da tempo, la famosa tesi di
Marco Revelli
sulla trasformazione della dicotomia destra-sinistra in
quella tra una destra elitaria e tecnocratica (l’ex sinistra) e una populista e
plebiscitaria (l’ex destra propriamente detta), l’imposizione del pensiero
unico neoliberista, l’iterscambiabilità delle politiche (e spesso anche delle
persone) dei contrapposti schieramenti politici, e l’apparente assurdità per
cui la sinistra ha non di rado assunto posizioni più imperialiste e liberiste
della destra. Questo filo conduttore è il caos sistemico generato dalla crisi
che dal 1971 attraversa il mondo a partire dal suo vecchio centro
capitalistico, o meglio termocapitalistico, occidentale.

Donald Trump
è frutto di questo caos sistemico. E’ stato notato, ad esempio dal citato Foa,
che nelle sue idee si trovano elementi di destra ed elementi di sinistra. E non
può essere altrimenti, perché il neopresidente rappresenta la reazione a un
sistema di potere che ha le stesse caratteristiche, in cui cioè elementi di
sinistra ed elementi di destra si fondono nel tentativo di gestire il caos
sistemico e di sfruttarlo.

Negli USA
questo sistema è incarnato da quello schieramento trasversale, bipartisan,
detto solitamente “neoconservative”, che ha iniziato a introdursi nei
gangli del potere grazie a Bill Clinton (sinistra), ha occupato la scena con
Bush jr (destra) e si è espanso capillarmente come una sorta di multinazionale sotto
le due tenures di Obama (sinistra), capeggiato però dal clan dei Clinton
(ex radicals di sinistra negli anni giovanili). Possiamo chiamare questo
sistema di potere “establishment liberal-imperiale” (o, come dicono nel mondo
anglosassone, “neo-liberal-conservative”). Un sistema che ha diramazioni
e interessi ovunque, dai costruttori di bombardieri ai “social”, da Washington
a Berlino (e persino Mosca).

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Bernie Sanders,
osteggiato da questo establishment, è stato tolto di mezzo con un colpo di mano
dell’apparato del Partito Democratico. L’apparato repubblicano invece non ce
l’ha fatta a togliere di mezzo Trump. Entrambi erano espressioni
dell’insostenibilità della strategia di finanziarizzazione e globalizzazione che
fa capo all’establishment liberal-imperiale e con la quale élite sempre più
ristrette cercano di governare e sfruttare la crisi sistemica a partire  dai tempi del presidente Reagan, cioè da più
di sette lustri.

2. Negli USA
oggi si assiste a una lotta feroce tra questo establishment e un qualcosa di
nuovo che ad esso sfugge e che teme possa essergli di grande intralcio. Un
establishment che non ha nessuna intenzione di essere messo ai margini, di perdere
potere, prestigio, benefici e rendite di posizione e a volte è mosso da un isterico
ideologismo.

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La cosa
risibile sarebbe pensare che si sia di fronte a una lotta della sinistra contro
la destra. Non è vero in nessuna accezione, nemmeno la più blanda o la più
sconclusionata.

Per ogni
cosa di “sinistra” che il vecchio establishment difende ne possiamo trovare una
di “destra” rivendicata da Trump e, viceversa, per ogni cosa di “sinistra”
difesa da Trump possiamo trovare il suo opposto di “destra” nei liberal-imperialisti
bipartisan. Proprio ieri il neo presidente statunitense ha accusato senza mezzi
termini il famigerato senatore John McCain e il suo collega Lindsey Graham di
essere sempre e solo concentrati su come iniziare la III Guerra Mondiale invece
di mettere in sicurezza i confini nazionali. Ora, difendere il mondo
dall’olocausto nucleare a me sembra una cosa di sinistra (o una volta lo era).
McCain e Graham, da parte loro, avevano censurato l’ordine esecutivo
sull’immigrazione, che tanto sta facendo discutere. E questa censura dovrebbe
essere di sinistra. Eppure è impossibile pensare che al senatore McCain
interessi alcunché del dramma umano dei rifugiati e degli immigrati o che gli
sia mai passato per la testa il concetto di “solidarietà” se non per motivi
strumentali. Ed è assai strano questo scontro in cui una parte difende la pace
e l’altra la solidarietà. Pace e solidarietà sono concetti complementari. E
allora, chi mente?

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3. Come
siamo abituati in Italia, sovente la politica dei due opponenti è la stessa
mentre cambiano solo le decorazioni ideologiche e le opportunità politiche. E’
il caso del famoso muro con il Messico. Trump infatti non farebbe altro che
proseguire il lavoro iniziato da Bill Clinton in vista dell’entrata in vigore
del Nafta (progetti Gatekeeper in California, Hold-the-line in
Texas e Safeguard in Arizona), proseguito da Bush jr. con il voto
favorevole, guarda un po’, proprio di quel McCain che adesso si oppone alla
stretta sull’immigrazione (opportunità politica, si diceva) e di alcuni
“traditori” democrat, tra i quali spiccano, guarda ancora un po’,
Hillary Clinton e Barack Obama, e infine continuato da Obama stesso con
l’estensione di una barriera di metallo fino alla lunghezza di 3.140 chilometri
(e la deportazione di due milioni e mezzo di immigrati). La differenza è che
oggi Trump fa la stessa cosa dei suoi predecessori non in modo ipocrita ma sfacciatamente
orgoglioso e ha contro tutto l’apparato mediatico e ideologico più influente, o
per lo meno strepitante, degli Stati Uniti. Cioè, in questo specifico caso, la
differenza non è di sostanza, ma propagandistico-ideologica.

Cosa
nasconde allora realmente la durissima polemica in corso? Non certo
motivi umanitari, come abbiamo visto e come vedremo anche in seguito. E non e nemmeno
una schermaglia  campanilistica (McCain è
Graham sono repubblicani). In termini generali la polemica in corso contrappone
la visione globalista della gestione della crisi e quella neo-protezionista. La
gestione globalista prevede infatti anche l’utilizzo, come massa di manovra, di
immigrati e rifugiati, come ben si è visto in Europa. Servono per far crescere
l’esercito industriale di riserva, servono per organizzare gruppi di pressione
e di manovra contro i governi dei Paesi d’origine, servono a intimorire e
fratturare la società con condotte non accettate (istigate e coltivate dalla
ghettizzazione), servono infine a trovare manovalanza o anche solo capri  espiatori per “affari sporchi” e creare uno
stato di eccezione permanente. Un utilizzo il cui indecente cinismo è nascosto
da fiumane di lacrime da  coccodrillo.

Ma oltre a quello
scontro – abbastanza intelligibile – se ne nasconde probabilmente un altro, più
sordo, più opaco e più difficile da descrivere.

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4. Guardiamo
un po’ più da vicino lo scandalo attuale, cioè l’ordine esecutivo sull’immigrazione
e i visti. Da esso emergono, a volte ovviamente solo come indizi, cose molto
interessanti riguardo lo scontro di potere in oggetto.

Dico subito
che il decreto di Donald Trump – che mi sono andato a leggere integralmente
perché se no si parla per sentito dire – ha aspetti irritanti e aspetti
inquietanti
. Altri aspetti per me rimangono invece un po’ enigmatici
e sono segni probabilmente di quei disegni e livelli di scontro che io non so
decifrare. La complessità e la poca chiarezza di tale scontro, dovrebbero
frenare dal prendere posizione pro o contro. Perché essere pro è impossibile,
ma essere contro vuol dire prendere posizione per una parte i cui intenti
quando non sono oscuri sono inaccettabili (e il senatore McCain, che lavora in
tandem con Lindsey Graham, né è un simbolo vivente – si ricordino le sue
connessioni coi tagliagole operanti in Siria, rivendicate da questo individuo e denunciate da politici
americani col senso della decenza).

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Oh, certo,
c’è la solidarietà. Ma questa è un’altra cosa. E’ ovvio che solidarizzo col regista
iraniano che non può andare alla cerimonia degli Oscar o col rifugiato che si vede
chiudere la porta in faccia dopo una lunghissima battaglia burocratica che
sembrava vinta. Posso anche capire la reazione di sdegno del buon popolo di
sinistra, anche se un sospetto di superficialità e d’ipocrisia permane per la
sua incapacità o nolontà passata e presente di rinfacciare a Barack Obama i
crimini che ha commesso (in patria e fuori) e che lo renderebbero degno di un
Nobel per la Nefandezza. Invece Michael Moore, che ben rappresenta questa
sinistra, continua a considerarlo, in modo un filino sedizioso se vogliamo, il
suo presidente in carica.

Vabbè.

Ma anche
salvaguardando il senso di solidarietà possiamo andare oltre lo sdegno indotto
dai media e dai pifferai magici e cercare di intuire un po’ attraverso
quest’ordine esecutivo alcuni dei campi di battaglia sui quali si giocherà la lotta
mortale tra Donald Trump e i liberal-imperiali.

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La Sezione 1
del decreto, che è un preambolo, è dedicata all’11 settembre 2001. Trump ha
detto che lui non crede alla versione ufficiale degli attentati. Nella Sezione
1 fa invece mostra di credere che essi siano in effetti stati perpetrati da
attentatori stranieri (“19 foreign nationals who went on to murder
nearly 3.000 Americans
”). Ma subito dopo si accusa le politiche del
Dipartimento di Stato di avere intralciato l’esame appropriato delle richieste
di visto di molti  di quei terroristi non
impedendone l’infiltrazione. Nella Sezione 1 si parla di “State Department
policy
”, non “politics”. Trump non sta facendo un’accusa politica ma
tecnica.

Quest’accusa
serve allora solo per introdurre le misure poi descritte? Apparentemente sì, se
non sapessimo come la pensa. Sapendolo acquista però un altro significato e per
certi versi appare solo retoricamente collegato a ciò che segue. Intanto, l’Arabia
Saudita non rientra nelle misure restrittive, pur essendo il luogo da cui,
secondo la ricostruzione ufficiale e le famose pagine desecretate, sarebbero
provenuti in maggioranza gli attentatori dell’11/9. Qualcuno si è subito
affrettato a dire che i Sauditi sono stati graziati perché sono ricchi. Tutti i
Sauditi sono ricchi? Quanta superficialità. Per prima cosa il decreto è pieno
di possibili eccezioni se nell’interesse nazionale e i sauditi ricchi vi
sarebbero rientrati d’ufficio. In secondo luogo, nemmeno le guerre di Bush e neppure
quella contro la Libia sono state condotte solo per il petrolio (fissa della sinistra
che vede nel profitto l’unico motore). Quello e i suoi annessi e connessi sono business-as-usual.
Bisogna andar sotto alla superficie e a volte bastano pochi centimetri di scavo.
Nel famoso report del Project for a New American Century, non era il
petrolio il punto in questione, ma la Cina.

Qual è il
punto in questione in questo caso? Perché non pensare che quest’ordine esecutivo
sia un primo attacco alla politica americana iniziata dall’11/9 e quindi ai neo-liberal-cons
che la incarnano?
Dopotutto è proprio quella politica che Donald Trump
dichiara di voler smantellare. Una politica – sia detto incidentalmente – che
fino a quando non è stata presa in carico da Barack Obama, la sinistra ha
detestato.

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Non dimentichiamoci
che Donald Trump ha come guardaspalle due bei generali (James “Mad Dog” Mattis
alla Difesa e Michael Flynn alla Sicurezza nazionale) che da una parte hanno la
funzione di proteggerlo dalle three-letter agencies (CIA in testa) e dal
Pentagono e dall’altro con tutta probabilità sanno come sono andate le cose
quel fatidico giorno d’autunno d’inizio millennio e negli anni seguenti. E
questi segreti scottano, possono costituire armi efficaci per la controffensiva
di Donald Trump.

Più avanti,
nella stessa sezione, la finalità delle misure restrittive viene illustrata con
toni politically correct da fare invidia ai clintonoidi: gli Stati Uniti «non
possono ammettere chi si dedica ad atti di intolleranza o d’odio (inclusi gli
omicidi “d’onore”, altre forme di violenza contro le donne o la persecuzione di
chi pratica religioni diverse dalla propria) o chi intende opprimere gli
Americani di qualsiasi razza, genere o orientamento sessuale
»
(sottolineatura mia – «those who would oppress Americans of any race,
gender, or sexual orientation
»).

Ve l’aspettavate
da Trump un linguaggio simile? E’ sincero? Non lo so, ma sicuramente almeno nella
stessa misura in cui il medesimo linguaggio è usato dai liberal-imperiali per
aggredire le altre nazioni. Qui il politicamente corretto viene utilizzato per
difendere i confini dell’impero, là per ampliarlo. Un’altra inversione
politica.

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La Sezione 3
descrive le misure, che non sono di rifiuto assoluto ma dipendono dai tempi
previsti per la  revisione delle
procedure d’ammissione. Come misura temporanea Trump ordina (tranne casi
diplomatici e valutazioni caso per caso se riguardano l’interesse nazionale),
la sospensione per 90 giorni dell’ammissione delle persone provenienti dai
Paesi listati, e poi vedremo quali sono. Nella Sezione 5, si decreta la
sospensione di 120 giorni durante l’anno fiscale 2017 del Refugee Admission
Program
per rivedere le sue procedure di ammissione. Nella sottosezione (b)
sia annuncia che alla fine di questi 120 giorni verranno comunque privilegiate
le richieste per motivi di persecuzione religiosa. Nella sottosezione (c) si
decreta la sospensione dell’ammissione dei rifugiati siriani fino a una poco
chiara modifica delle procedure che assicuri che il loro ingresso è
nell’interesse nazionale. Nella sezione (c) si mette comunque un tetto di 50.000
rifugiati per il 2017, a meno che Trump stesso non decreti che quote
addizionali siano nell’interesse nazionale. Nella sottosezione (e) si parla di
eccezioni, ivi compresi i casi previsti da accordi internazionali preesistenti
o transiti già in essere. Nella sottosezione (g) si danno i criteri generali
per la collocazione sul territorio dei rifugiati ammessi. Nelle ultime sezioni
si parla di report sull’andamento e sugli effetti dell’ordine esecutivo, della
congruità con altre leggi già in essere e, cosa interessante e inquietante, si
chiede di implementare urgentemente un sistema di tracciatura biometrica per le
persone ammesse (ricordo che in India c’è di già per tutti i cittadini).

5. E adesso
arriviamo forse al punto più indicativo del decreto. Le nazioni oggetto di
queste restrizioni sono l’Iraq, la Siria, la Somalia, il Sudan, la Libia, lo
Yemen e infine l’Iran.

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L’Iran è un
caso a parte. Trump sa benissimo che dall’Iran non provengono terroristi e
quindi questo inserimento rientra coerentemente nella proclamata intenzione di
rilanciare l’ostilità contro questo Paese, a tutto favore di Israele e del
boicottaggio del progetto One Belt One Road (le nuove vie della seta) e
quindi a detrimento della Cina ma anche della politica di riavvicinamento con la
Russia. Una delle tante contraddizioni in cui incapperà la politica di
transizione di Donald Trump. A meno che l’obiettivo non sia negoziare il ruolo
degli USA in questo enorme progetto e in quelli connessi, tenuto però conto che
la negoziazione non potrebbe essere solamente economica, nemmeno se questa
fosse l’intenzione del presidente.

I rimanenti
Paesi sono quelli contro i quali si è più scatenata la politica
liberal-imperiale, con guerre dirette o ibride e manovre di frantumazione. In
questa lista manca però l’Afghanistan, l’altra assenza notevole assieme
all’Arabia Saudita, se si ricorda che il preambolo riguarda l’11/9. Ciò porta di
nuovo a cercare di capire meglio le finalità profonde di questo stranissimo
ordine esecutivo.

Per quanto
riguarda la Siria, sembra abbastanza evidente che Trump non voglia che gli USA
siano ricattabili dalle politiche di manipolazione dei rifugiati che stanno
invece mettendo in seria difficoltà l’Europa. Noi Europei, abbiamo invece il
cuore in mano. Diamo ai Sauditi le bombe per uccidere migliaia di donne e
bambini yemeniti e siamo orgogliosi della nostra politica di accoglienza. Ad
esempio dei lager dove gli immigrati per protesta si cuciono la bocca con ago e
filo. O dei nostri ghetti urbani. E siamo orgogliosi della nostra coerenza: i
rifugiati e gli immigrati sono oggi assieme ai debiti delle banche gli oggetti
preferiti nel gioco a scaricabarile tra i Paesi della UE. La Merkel e il suo
ministro delle finanze Wolfgang Schäuble ammettono a denti stretti che “non si
erano preparati bene a questa crisi”. L’arte di arrampicarsi sui vetri.

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I
liberal-imperiali, negli USA e da noi, dovrebbero poi star zitti su questo
punto e ricordarsi del bando per sei mesi decretato da Obama nel 2011 per i
rifugiati iracheni
. Destra contro sinistra? Ma di che cosa stiamo parlando?

Possiamo infine
notare che in quasi tutti i Paesi listati opera l’Isis e/o al Qaida.

Questo è un
possibile fattore comune per capire il senso dell’ordine esecutivo. Al
contrario, non lo è affatto l’islamofobia. Nonostante le scemenze che si
sentono in giro, quest’ordine esecutivo non è un decreto islamofobo. E’ una fake
news
e per dimostrarlo basta l’aritmetica elementare. Oltre ai già citati
Afghanistan e Arabia Saudita, nella lista non sono comprese le altre
petromonarchie, ad esempio. E’ ovvio, si dirà. E già, ma non vi sono compresi
nemmeno enormi stati islamici come l’Egitto, il Pakistan o l’Indonesia (per la
cronaca il più grande stato islamico del mondo). Ma nemmeno il Senegal o il
Bangladesh, per fare altri nomi. Se si vuole essere precisi, queste restrizioni
impattano su circa il 12% della popolazione musulmana mondiale. A un
miliardo e passa di musulmani non viene impedito l’accesso
. Quindi, ammesso
che gli elettori di Trump siano un po’ xenofobi o islamofobi  (cosa a cui anche
osservatori democrat non credono
), questo decreto verrebbe
loro incontro in modo molto modesto. Sollevare questo putiferio internazionale
per un limitato  riconoscimento tutto
interno al proprio elettorato, non è quindi la preoccupazione di Donald Trump. Detto
altrimenti, non dubito che buona parte dei suoi elettori abbia idee poco chiare
sull’Islam e il mondo islamico, ma non credo che quest’ordine esecutivo sia
solo un’arzigogola manovra per far vedere che il neo presidente è di parola e vuole
proteggere in modo decisionista i cittadini americani.

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Lasciamo quindi
che untorelli, benpensanti superficiali e pifferai magici parlino di razzismo e
islamofobia e andiamo avanti a cercar di capire cosa bolle in pentola.

L’ordine esecutivo s’intitola: “Protecting the
Nation From Foreign Terrorist Entry Into the United States
”.
Quindi non è stato pensato come una
barriera contro l’immigrazione da Paesi islamici, bensì contro il terrorismo di
matrice islamista. Possiamo criticarlo come vogliamo, perché è criticabilissimo
sotto i più vari punti di vista, da quello umanitario a quello logico, ma
l’intendimento è quello. Un intendimento, come si diceva, tutto interno allo
scenario aperto dall’11/9. Abbiamo visto che possiamo inserire quest’ordine
esecutivo nella battaglia, che sarà drammatica, tra la vecchia strategia
globalista e la nuova strategia non-globalista
, tra quella nevrastenico-imperialista,
e quella di rinegoziazione della posizione della superpotenza americana in un
mondo multipolare
. Ricollocazione ovviamente momentanea, perché i problemi
non finiranno con essa.   

Abbiamo cioè
visto che con esso si sta mandando un segnale obliquo a chi deve intendere,
cioè i neo-liberal-cons. Abbiamo poi visto che con lo stesso strumento si
vuole prosciugare un po’ uno dei mari dove Trump pensa che i neo-liberal-cons
possono navigare, complottare, istigare, manovrare. Se accettiamo questa
interpretazione, allora la successiva domanda è: “Donald Trump e i suoi si stanno
anche premunendo contro una prossima minaccia terroristica in casa?”. Penso di
sì. Forse l’ordine esecutivo è stato dato in vista del prossimo tradimento nei
confronti del mercenariato jihadista imperiale e Trump è impressionato dalla
reazione che il cambio di campo di Erdoĝan ha fatto scatenare contro la
Turchia. Ma come la metterà coi missionari dottrinali wahhabiti, i più grandi
ed efficienti reclutatori di jihadisti e terroristi nel mondo, legati indissolubilmente
a quell’Arabia Saudita che non è menzionata nell’ordine esecutivo?

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Non so. Non
so che informazioni abbiano Trump e i suoi. Sicuramente sono molte di più delle
mie. E specialmente non so che intenzioni abbiano, che tattiche intendano
usare. Può succedere di tutto e di sicuro succederà di tutto, perché in poco
tempo si giocherà buona parte della partita. Escludo solo le interpretazioni
più semplicistiche e stantie, che si riducono a “Trump è cattivo”. Se
dall’altra parte non ci fossero la Clinton, Soros, la Cia, il Pentagono, Wall
Street, se non ci fosse tutto il gotha degli artefici dei più grandi crimini
militari ed economici perpetrati nell’ultimo quarto di secolo, mi accontenterei
di questa spiegazione.

Ma non è
così.

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«Siamo una
nazione di immigrati … ma siamo una nazione di leggi. […] La nostra nazione è
pesantemente disturbata dal gran numero di stranieri che entrano illegalmente
del nostro paese […] Gli immigrati illegali rubano il lavoro ai cittadini o agli
immigrati legali, impongono oneri ai nostri contribuenti […] Questo è il motivo
per cui stiamo raddoppiando il numero delle guardie di frontiera, deportiamo
più immigrati illegali di quanto sia stato fatto prima, diamo un giro di vite
alle assunzioni illegali, escludiamo dai benefici gli stranieri clandestini e
faremo di più per accelerare la deportazione degli immigrati illegali arrestati
per crimini. […] E’ sbagliato e alla fine autolesionista per una nazione di
immigrati permettere quei tipi di abusi delle nostre leggi sull’immigrazione,
come è successo negli ultimi anni … e dobbiamo fare di più per fermarlo.»

[Standing
Ovation]

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Donald Trump? No: Bill Clinton 

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