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di Daniele Scalea.
La divergenza tra le idee finora espresse da Donald Trump e l”azione decisa in Siria è assai evidente: il Presidente critico dell”interventismo umanitario, per cui la destituzione di Assad non è prioritaria rispetto alla distruzione di Isis, e che vuole collaborare con la Russia, ha deciso un intervento “umanitario” contro Assad sfidando Mosca (e indirettamente favorendo Isis).
Come si spiega?
Partiamo da un fatto: l”intelligence americana ha presentato a Trump un referto che affibbia senza ombra di dubbio la responsabilità dell”attacco chimico a Assad. Vero o falso, qui non interessa. Il fatto è che potrebbe avere persuaso Trump convincendolo ad agire, e forse più per orgoglio che per spirito umanitario.
E” pur vero che se Trump credesse all”intelligence Usa in maniera incondizionata, dovrebbe dimettersi e costituirsi come “spia russa”.
Trump può aver creduto più o meno pienamente alla “sua” intelligence, ma penso che nello spingerlo all”azione abbiano pesato altri moventi prioritari, in congiunzione tra loro o in alternativa – questo non saprei dirlo con certezza:
– moventi politici interni: Trump è palesemente sotto assedio da parte degli apparati, che già si sono liberati del “filo-russo” Flynn giocando sporco (intercettazioni vendute a giornali compiacenti per una “character-assassination“) e indagano su Trump, tra l”altro estromettendo il trumpiano Nunes dalla guida della Commissione per il “Russiagate”. Forse assistiamo a uno shift (che potrebbe essere solo temporaneo) dell”Amministrazione, con un indebolimento dell”ala nazionalista-populista capeggiata da Bannon (estromesso dal Consiglio di Sicurezza Nazionale) a vantaggio del più tradizionale establishment repubblicano, cui da un po” di tempo Trump sembra dare molto credito (a partire dal suo arcinemico Paul Ryan cui ha affidato, con esiti disastrosi, il “repeal and replace” dell”Obamacare). Anche l”influenza del genero Jared Kushner, presentato come l”antagonista di Bannon per le sue idee globaliste, può pesare non poco in ciò (Kushner è inoltre fortemente pro-israeliano, ed è ben noto che per Tel Aviv la destituzione di Assad è prioritaria);
– moventi politici esterni: l”irresolutezza di Obama ha rappresentato un “liberi tutti” nel mondo rispetto agli interessi americani. Trump ha scelto per un”azione militare in Siria, ma molto ristretta: un singolo attacco mirato, scegliendo un”area con scarsa presenza di truppe e avvisando i Russi affinché fosse evacuata per ridurre al minimo le vittime. Un”azione per molti versi più simbolica che di sostanza: dimostrare che Washington c”è, che può fare la voce grossa, ma senza voler fare troppo male. In questa fase, il messaggio potrebbe essere: Trump vuole tornare a occupare un posto al tavolo in cui si decide il futuro della Siria. Tavolo da cui gli Usa erano stati estromessi, poiché Putin da mesi giocava il ruolo di deal-maker in Siria. Significativamente, nel suo messaggio Trump ha chiesto alle altre nazioni di unirsi agli Usa non per destituire Assad, ma per “porre fine al massacro e ai terrorismi d”ogni sorta”. Che non è un messaggio pro-Assad, né neutrale, ma non ritorna certo al vecchio “Assad must go” come mantra che esauriva tutta la politica Usa;
– movente di immagine: là dove Obama aveva minacciato e tentennato, Trump ha agito repentinamente. Il bersaglio ha scontentato la sua base nazional-populista, ma il piglio con cui ha agito piacerà alla maggioranza degli Americani che sono sensibili a queste cose. Inoltre ha fatto uno sgarbo a quel Putin di cui è accusato di essere una marionetta: avrebbe agito così se davvero il Cremlino avesse in mano materiale compromettente contro di lui?
Purtroppo sappiamo che spesso la politica estera viene utilizzata per fini di bassa politica, per ravvivare la propria popolarità o per uscire da vicoli ciechi nei palazzi del potere. Questo potrebbe essere uno di quei casi.
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