Perché una guerra nel Pacifico

La necessità per l’America di difendere i “cassonetti della spazzatura” dove collocare dollari in cambio di merci. [A. Micalizzi]

Perché una guerra nel Pacifico
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15 Aprile 2017 - 19.45


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di Alberto Micalizzi

Negli ultimi anni mi sono dimostrato scettico verso la possibilità dell’escalation di guerre che sembravano in procinto di infiammare il mondo. Ricordo ad esempio che a Gennaio 2016 scrissi “Sembra che la Siria costituisca l’epicentro di un possibile conflitto di dimensioni internazionali… Il solito cocktail di falsi segnali, ben orchestrati dai media main-stream” (Vedi articolo: [url”Sembra che tutto ac-cada”]http://albertomicalizzi1.wordpress.com/2016/01/24/sembra-che-tutto-accada/[/url]). Similmente, non vedevo l’estensione su larga scala del conflitto iracheno, di quello libico né ultimamente di quello ucraino.

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Ebbene, mi spiace dover invece constatare che oggi gli Stati Uniti abbiano deciso che sia giunto il momento di azionare un conflitto armato importante nell’area che ho sempre indicato come la vera area di interesse vitale americano: il nord-pacifico.

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Le ragioni per cui non vedevo le condizioni di conflitti estesi in Europa ed in medio-oriente sono le stesse per le quali oggi vedo invece un conflitto serio e potenzialmente esteso nel Pacifico, e cioè la necessità impellente dell’America di sostenere la propria economia basata sul debito.

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Qui non stiamo parlando di interessi strategici di natura politica, di giochi sul prezzo delle materie prime, di pipeline di gas o petrolio o di tatticismi di altro tipo. Stiamo parlando del fatto che gli USA iniziano ad incontrare difficoltà nel finanziare i circa 500 miliardi di dollari di deficit annuo generati dalla bilancia commerciale, cronicamente in passivo perché consumano più di quanto producono e qualcuno deve accettare di rifornirli in cambio di dollari. Tutto ciò sorregge da decenni il tenore di vita degli statunitensi.

Due numeri per intenderci. Ad oggi, il Governo Federale USA ha un debito verso Paesi esteri di circa 5.910 miliardi di dollari. La metà di questo debito, precisamente 2.632 miliardi di dollari pari al 45% del debito estero, è contratto verso quattro Paesi dell’estremo oriente. Questi quattro Paesi sono Cina, Giappone, Taiwan e Hong Kong, che corrispondono ai principali esportatori di merci verso gli USA, cioè quelli che finora hanno retto il gioco del disavanzo commerciale USA.

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Questa montagna colossale di debito è raddoppiata dal 2007 ad oggi per effetto dei contributi Federali al salvataggio dei colossi bancari e assicurativi travolti dalla crisi dei sub-prime e per effetto del quantitative-easing con il quale la FED ha creato la più grande bolla speculativa della storia, una bolla monetaria che ha un potenziale distruttivo molto maggiore della bolla tecnologica del 2000 e di quella immobiliare del 2007.

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Difatti, fino ad un certo punto, direi fino al 2013, gli USA sono riusciti a ribaltare lo sforzo sui propri partner commerciali, come dimostrano appunti i numeri, ed in primis su Cina e Giappone. Basti pensare che dei 741 miliardi di dollari di deficit commerciale dell’ultimo anno, dato fuori controllo rispetto al pur importante deficit degli ultimi anni, ben 344 miliardi di dollari sono un deficit verso la Cina (cioè poco meno della metà).

Ed ecco l’evento scatenante: dal 2016 la Cina ha iniziato a diminuire con maggiore convinzione le giacenze di obbligazioni USA (a fine 2016 siamo a -270 miliardi dal picco del 2013), un trend che si è accelerato sul finire del 2016 tanto che il Giappone ha scavalcato la Cina come quantità assoluta di detenzione di obbligazioni americane, detenendone per un valore di 1.130 miliardi contro i 1.120 della Cina (insieme Cina e Giappone detengono oggi il 38,1% del debito estero USA). Notare che anche il Giappone sta cercando di diminuire l’esposizione in dollari…

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Ufficialmente, la scusa addotta per fuggire dal dollaro sta nell’aumento dei tassi USA che fa diminuire il prezzo delle obbligazioni provocando perdite in conto capitale. Ma in realtà, sebbene sia innegabile l’effetto deprezzamento, la posta in gioco è più alta e consiste nella stessa crisi di credibilità del dollaro, la cui quantità in circolazione è da molti considerata pericolosamente alta ed ormai fuori controllo, soprattutto perché detenuta il gran parte da Stati e soggetti extra-territoriali.

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Questa circostanza ha portato il noto guru americano Doug Casey, che ha predetto tutte le principali crisi degli ultimi 25 anni, a rivelare che la FED starebbe preparando addirittura la sostituzione del dollaro con una valuta “block-chain” sul modello del bit-coin… completamente elettronica (su questo tornerò con un approfondimento).

Dunque, la Cina sta cercando di uscire dalla sfera valutaria del dollaro e sta facendolo dopo che per anni ha diversificato le proprie esportazioni creando nel mondo mercati di sbocco alternativi che oggi possono sopportare l’assorbimento di quelle merci che evidentemente i cinesi non sono più disposti a cedere agli USA semplicemente perché non vogliono più essere pagati in dollari.

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Ciò detto, guardiamo la cartina geografica e focalizziamo la Corea del Nord: si trova nel crocevia tra Cina, Giappone e sud-est asiatico (e Russia…), cioè precisamente il serbatoio di merci che rischiano di prendere altre direzioni, considerando che la Cina potrebbe fare da apri-pista per altri Paesi limitrofi, dischiudendo anche ad essi nuovi mercati di sbocco alternativi a quello americano.

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Ecco quindi la miscela esplosiva: la necessità per l’America di difendere i “cassonetti della spazzatura” dove collocare dollari in cambio di merci.

Perché potrebbe essere una guerra pesante? Perché non riguarda obiettivi tattici come avvenne in Iraq. Affinché l’operazione abbia un senso compiuto (diciamo così!) è necessario che gli americani creino le condizioni per una sorta di “piano Marshall”, cioè una gigantesca operazione di indebitamento spacciata come aiuto alla ricostruzione post-bellica ma che in realtà costituisca l’embrione di un nuovo mercato di sbocco per le proprie obbligazioni. È l’unico modo per continuare a finanziare il deficit commerciale collocando dollari ed obbligazioni che il “libero” mercato sta dimostrando di non gradire più.

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Mi spaventa il fatto che la bocca è grande e la sola Corea del Nord da sola non riuscirebbe a sfamare che una minima parte del fabbisogno di indebitamento. Ecco perché temo che si tratti dell’innesco più che della vera deflagrazione. Questa volta vorrei tanto sbagliarmi…

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(15 aprile 2017)

[url”Link articolo”]http://albertomicalizzi1.wordpress.com/2017/04/14/perche-una-guerra-nel-pacifico/[/url] © Alberto Micalizzi.

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