di Andrea Cucco.
Il timore di una nuova guerra ha pervaso il mondo: la Corea del Nord ha lanciato lunedì notte un missile (a medio raggio Hwasong-12, o intercontinentale Hwasong-14) che ha oltrepassato il buon Giappone per finire nelle acque dell’Oceano Pacifico ad oltre 1000 chilometri ad est del Paese.
La ricerca di sensazioni forti fa talvolta perdere lucidità e comprendere dettagli importanti. Il primo è che la massima altitudine raggiunta dal missile durante la traiettoria risulterebbe essere stata (secondo fonti sudcoreane) di oltre 550 chilometri. In pratica significa che il sorvolo sul Giappone è avvenuto ad una volta e mezza l’altitudine della Stazione Spaziale Internazionale (circa 400 chilometri). Di certo la capacità di raggiungere una simile altitudine (superata in precedenti test) conferma capacità balistiche intercontinentali nordcoreane: la Stazione Spaziale Internazionale non ha di certo i motori costantemente accesi per rimanere in orbita…
Il secondo aspetto è la caduta in sicure acque internazionali: lontano da capacità antimissilistiche nippo-statunitensi. Un missile sparato ed intercettato è una pessima pubblicità per una democrazia, figuriamoci per una dittatura.
In tempi di carenza di cattivi sacrificabili, i progressi nordcoreani nel campo della missilistica sono una manna per governi, media e sopratutto industrie della difesa. Grazie alle crescenti “minacce” gli Stati Uniti hanno stanno proteggendo a suon di commesse miliardarie la povera (si fa per dire) Corea del Sud e hanno dispiegato sistemi radar che permettono di rilevare attività militari ben oltre l’area interessata (v.articolo).
Titoloni in prima pagina su argomenti popolari distolgono poi l’attenzione dai veri problemi interni. In Italia, per fare un esempio, usiamo lo ius soli al posto della Corea del Nord: ottimi risultati per la distrazione pubblica e lunga persistenza al bar e al Parlamento…
Diciamola tutta, il collaudo del missile è stato un successo. Lancio perfetto, traiettoria innocua, schianto in territorio neutrale. Viene ora da pensare che i “fallimenti” nella storia della missilistica nordcoreana siano state “sagge autodistruzioni” per evitare errori. Quel che infatti sfugge a qualcuno è che a stringere le chiappe in questi frangenti non sono tanto i sudcoreani, i giapponesi o – men che meno – gli americani, bensì il figlio del “carissimo leader”, lo sborone (ma decisamente non “pazzo”) Kim Jong-un. Se per un’avaria un missile in orbita proseguisse per qualche migliaio di miglia in più e si schiantasse tra le rocce del deserto del Nevada, della Repubblica Popolare Democratica di Corea non rimarrebbe che un trafiletto sui libri di storia ed un paesaggio lunare.
Kim e Donald lo sanno. Ma lo spettacolo è per il pubblico, non per gli attori professionisti sul palcoscenico.
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