I sauditi che non ti aspetti e altri scherzi della crisi sistemica

Il principe ereditario saudita impone drastici cambiamenti politici al suo paese in una giravolta di effetti internazionali. Segnale di una crisi più estesa nei poteri dominanti mondiali [Piotr]

I sauditi che non ti aspetti e altri scherzi della crisi sistemica
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7 Novembre 2017 - 15.49


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“La maggior parte delle persone si inganna con una duplice fede errata: crede nella Memoria Eterna (delle persone, delle cose, delle azioni, dei popoli) e nella Riparabilità (di azioni, errori, peccati, ingiustizie). Sono entrambe fedi false. In realtà avviene proprio il contrario: ogni cosa sarà dimenticata e a nulla sarà posto rimedio. Il ruolo della riparazione (della vendetta come del perdono) sarà assunto dall’oblio. Nessuno rimedierà alle ingiustizie commesse ma tutte le ingiustizie saranno dimenticate.”
     (Milan Kundera, Lo scherzo)
 
 
di Piotr
 
La cara amica Marinella, già giornalista del Manifesto quando questo quotidiano esprimeva ancora qualche scampolo di dignità, mi ha chiesto di scrivere un post basato su un nostro recente scambio di e-mail.
Lo faccio volentieri, perché ne vale la pena. Ne vale la pena per l’importante quesito che Marinella mi aveva posto. Ragionando sul visibile avvicinamento dell’Arabia Saudita e la Russia, l’amica infatti commentava:
«E come al solito i Golfisti e i Natoisti che scatenano guerre e ammazzano e sfasciano paesi e sostengono terroristi, NON pagheranno per i loro crimini. La speranza di un’alleanza economica fra paesi NON aggressori che emargini l’asse della guerra NATO/GOLFO e costruisca relazioni internazionali pacifiche, sostenibili e meno diseguali delle attuali, è una totale illusione, mi sa.»
 
Voglio articolare la mia risposta su due piani. Il primo è morale, il secondo politico.
Sul piano morale devo purtroppo rispondere che la disillusione di Marinella è totalmente motivata. Nessuno pagherà per i suoi crimini. Se qualcuno pagherà sarà perché gliel’ha fatta pagare una compagine statale avversaria, non un giudice incorrotto che sta dalla parte delle vittime. Oggi non vedo come la, sacrosanta, giustizia possa essere fatta dalle masse che hanno subito i crimini, le uniche che possono farla, che possono richiederla. La “giustizia” di uno Stato, ad esempio la Russia, sarebbe una sola possibile: bombardare chirurgicamente Riad e azzerare la Casa Saud che ha creato e armato al-Qaida e l’Isis, facendo piombare una civilissima e pacifica nazione, la Siria, in un incubo sanguinoso che ormai dura da sei anni. Lo stesso dovrebbe fare con Washington, complice e socia dei Saud e ideatrice dell’attacco alla Siria (come rivelato da quasi dieci anni dal generale statunitense Wesley Clark in contrasto con gli utili idioti che ancora credono nella narrazione delle “primavere arabe”). E lo dovrebbe fare con Ankara. E con Doha. Con Parigi e con Londra.
Ma sarebbe vera giustizia? No, perché solo nei sogni si può pensare ai “cattivi” che vengono eliminati dai “buoni”. Se questi bombardamenti – che ovviamente non sarebbero tanto chirurgici – avvenissero, vuol dire che quella era la linea di politica estera decisa dalla potenza chiamata Russia, sic et simpliciter. E in politica estera ci sono concetti tabù: il primo è “giustizia”, poi ci sono “amicizia”, “democrazia” e infine “libertà”. Ce n’è invece uno obbligatorio: interessi.
 
È difficile ammetterlo, persino capirlo, ma il nostro problema non è quello di rendere giustizia ai massacrati, ai torturati, agli sgozzati, ai bombardati, ai crocefissi, ai bruciati vivi, alle donne e alle bambine violentate, alle madri lapidate, ai bimbi uccisi per inscenare le false flag chimiche. No, questi martiri rimarranno nei cuori e nella coscienza dei loro cari e di chi ha sete di giustizia finché essi vivranno, ma alle vittime non sarà resa mai vera giustizia. Poi rimarrà solo un rumore di fondo, continuo, disturbante, ma inesprimibile, prossimo all’oblio.
Possiamo solo sperare, e aiutare fattivamente questa speranza, che il piano criminale che ha falcidiato quegli innocenti fallisca. Questa sarebbe già una sorta di giustizia. Perché fallisca gli aggressori USA, NATO, Saud, Turchi e Qatarioti (col solito appoggio attivo israeliano, britannico, francese e UE) devono essere messi in grado di non poter nuocere. E la prima cosa da fare è quindi gettare scompiglio nel loro fronte, nelle loro alleanze.
La posta in gioco non è la giustizia, ma la vita sulla Terra, perché negli Usa (e in Israele) c’è chi pensa seriamente al first strike, cioè pensa che sarebbe il caso di rischiare una guerra atomica totale (in realtà sarebbe garantita). Allora, anche se non sono immacolati – anzi, a volte non lo sono proprio – bisogna fare in modo che chi si oppone a questa follia abbia la meglio in quei Paesi e all’interno del loro fronte.
Ben venga quindi l’avvicinamento tra Riad e Mosca, così come quello già iniziato della Turchia e quello del Qatar, avvicinamento, questo, “comprato” con una bella quota di azioni della Rosneft. E ben vengano anche gli strani rapporti di odio-amore tra Russia e Israele.
Niente di tutto questo è edificante, ma tutto questo può essere utile.
Il tempo è contro l’Impero statunitense – che in questa fase storica è il pericolosissimo aggressore globale – e Russia e Cina devono guadagnare tempo. In un punto del prossimo futuro non sarà più possibile, nemmeno ai più folli, pensare a una guerra totale. A quel punto, quindi, dobbiamo arrivare. È un obbligo etico, è un obbligo verso i nostri figli e l’umanità tutta. Per chi è credente è un obbligo verso il Signore, che tutti gli altri obblighi racchiude. Non solo, se si guadagna tempo sarà anche sempre più difficile fare le guerre parziali, cioè i sanguinosissimi “pezzetti” di guerra mondiale che vediamo da un quarto di secolo a questa parte, per dirla con papa Francesco.
Queste, al contrario della guerra totale, sono tuttora possibilissime, come dirò adesso nel mio commento politico. E quindi bisogna renderle fin da ora più difficili.
 
Passiamo allora al piano più prettamente politico.  
Il “progetto ISIS” sta andando in frantumi (da qui molte delle motivazioni di quegli “avvicinamenti” alla Russia). Ora assistiamo ad altri due progetti. Il primo è il “progetto Kurdistan”. L’SDF/YPG curdo si è rivelato essere semplicemente una Legione Straniera al servizio di Washington, esattamente come prima l’ISIS era una Legione Straniera al servizio dei Sauditi e, quindi, degli USA.
È una Legione Straniera per il ruolo che sta ricoprendo e per il fatto che le regioni che ha “liberato”, in gran parte non sono affatto curde e l’YPG/SDF non vuole ridarle alla Siria, ma ci compie continue pulizie etniche per “curdizzarle” (le ONG e i dirittumanisti non dicono nulla, nemmeno stanno a sentire le denunce dei prelati e dei vescovi che vivono là). Il vantaggio per gli USA è che questa Legione Straniera è direttamente sotto il suo controllo e quindi aliena dalla molteplicità di interessi che l’ISIS serviva.
[Per inciso, era prevedibile, e tuttavia insopportabile, che oggi noi si debba sorbire la santificazione di persone come Karim Franceschi, che con lo stemma di Mao all’occhiello e tanti begli ideali “marxisti” e “libertari” nella zucca, si sono messe al servizio di questa Legione Straniera, cioè al servizio della CIA e del Pentagono. Se concedo loro che lo hanno fatto per idealismo, devo arrivare alla conclusione che l’idealismo spesso fa fare idiozie. In tutti i casi le conclusioni descrivono uno scenario penoso.]
I loro amici curdi sono anche quelli che stanno agevolando il secondo piano imperiale nella regione. Cioè il riciclaggio dei rimasugli dell’ISIS. Essi vengono oggi riconcentrati, reinquadrati e riaddestrati nella base americana di al-Tanf, in territorio siriano al confine con la Giordania – quindi una base totalmente illegale per il diritto internazionale. Sono in gran parte provenienti da al-Raqqa e da Deir-Ezzor, arrivati lì con l’aiuto statunitense e la complicità curda (tutto documentato da informazioni di intelligence e da foto satellitari e aeree rese note dalla Russia).
Questo nuovo esercito, che è composto all’incirca da 20mila uomini, servirà a molti scopi.
Innanzitutto per operazioni di terrorismo e guerriglia in vista di un possibile nuovo conflitto nell’area. Un conflitto che forse partirà dal Libano, investirà di nuovo la Siria e l’Iraq e solo un miracolo ne terrà fuori l’Iran. E il suo preludio potrebbero proprio essere le dimissioni – ostili ad Hezbollah e al presidente libanese, il generale cristiano Michel Aoun – che il premier libanese Saad Hariri ha annunciato, guarda un po’, proprio dall’Arabia Saudita. Sia i sauditi che Israele sono spaventati dal successo di Hezbollah e dei corpi militari iraniani in Siria e vogliono distruggere ogni possibilità di consolidamento del cosiddetto “asse sciita”.
Ma questi conflitti devono essere iscritti nella crisi sistemica globale. In essa le cose non stanno mai ferme e una strategia messa a punto oggi può rivelarsi controproducente in poco tempo o non essere più attuabile. Perché lo scenario muta e perché qualcuno, anche tra i cattivi, guarda più in là. In termini sistemici, il caos protratto in Medio Oriente significa anche uno stop alle nuove vie della seta e quindi a una globalizzazione 2.0, cioè non più sottomessa agli interessi statunitensi e di importanza vitale per moltissimi Paesi, tra i quali quelli europei.
Ecco allora l’opposizione europea alla minaccia di Trump di “de-certificare” il “nuclear deal” con l’Iran e la recente contestazione dell’Agenzia nucleare dell’ONU nei confronti del presidente americano.
Ecco il crescere dei mugugni europei contro il protrarsi delle sanzioni alla Russia. E, perché no, ecco che il Nobel per la pace viene assegnato all’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN). Ecco i sospetti su possibili voltafaccia della Germania (uno per tutti, si legga questo articolo in realtà una sintesi di un articolo più vasto – di George Friedman, da leggere bene ma con occhio critico).
Ma ecco allora anche il secondo compito della Legione Straniera ex ISIS riciclata: condurre un pressing terroristico contro la UE per evitare che segua le sirene orientali (e questa minaccia dobbiamo denunciarla a squarciagola prima che succedano tragedie).
Se dunque il riavvicinamento Arabia Saudita-Russia servisse ad evitare queste nuove carneficine, sarebbe già un buon risultato.
 
La successione degli eventi in Arabia Saudita è stata frenetica, tipica della frenesia delle fasi finali (e lunghe) delle crisi sistemiche. Pochi giorni dopo la sua visita a Mosca il principe reale Mohammad Bin Salman, in quanto presidente di un’Alta Commissione Anticorruzione creata ad hoc dal padre, re Salman, ha ordinato una clamorosa retata: 11 principi della Casa Saud, 4 ministri in carica, dozzine di altri funzionari. Tra di essi il principe al-Waleed Bin Talal, ultramiliardario, azionista di riferimento di Twitter, CitiBank, Four Seasons e Lyft (è stato anche socio di Rupert Murdoch). E, soprattutto, il punto di riferimento della CIA in Arabia Saudita.
Diversi commentatori “addentro alle segrete cose”, dicono che Mohammad abbia fatto il passo più lungo della gamba, che si è isolato dal resto della Casa, essendo sostenuto solo dal padre che è sì re, ma ha contro quasi tutti i parenti. Ed è un avventurista perché si è messo in rotta di collisione con la CIA e con l’Esercito del Regno. Cioè sostanzialmente è un pazzo che si è scavato la fossa da solo.
Ma Mohammad non sembra un folle.
Penso invece che a Mosca abbia ricevuto la promessa di qualche tipo di appoggio, di “copertura aerea”. E non solo a Mosca. Prima del sorprendente e inedito viaggio a Mosca di Mohammad, a Riad ne aveva compiuto uno Donald Trump. Che Mohammad sia anche una pedina della lotta tra il Presidente e la CIA/neo-liberal-cons? Una lotta che sembrava persa dal presidente in carica che però è improvvisamente tornato alla controffensiva con la minaccia delle carte segrete sull’omicidio Kennedy, con lo scandalo Weinstein-Hollywood (centro di propaganda per i Democrats e di riciclaggio dei loro fondi neri), con lo scandalo Uranium One e quello “del Dossier Russia”, una controffensiva che ha fortemente indebolito Hillary Clinton (con sempre meno potere e sempre più scaricata dal suo fronte, dai media che la osannavano e persino dagli amici e dalle amiche – automaticamente accusati di essere agenti della propaganda russa, siamo e ormai alle patologie psicotiche; una Clinton vista come una palla al piede e da qualcuno addirittura già con un piede in galera).
Una lotta fuori dai radar dei media mainstream ma davanti agli occhi di tutti.
Ebbene, che rassicurazioni avrà dato il Presidente al Principe? Perché di sicuro Mohammad ne deve aver ricevute per arrestare il beniamino locale della CIA e altri mammasantissima, posto, per l’appunto, che non sia un folle.
Perplessità ha suscitato tra i commentatori anche la sua Vision 2030, ovverosia il piano di differenziazione dell’economia saudita che per quella data non dovrà più basarsi sull’esportazione netta di petrolio. Mohammad deve avere buone ragioni per perseguire questo progetto. Di esse dovremo riparlare, perché coinvolgono le risorse energetiche planetarie. Qui sottolineo solo che di sicuro questo piano implica un cambiamento sensibile nella politica estera dell’Arabia Saudita e la fine del rapporto privilegiato e a doppio filo con gli Stati Uniti, a favore di uno slittamento verso il Gruppo di Shanghai, cioè verso l’Eurasia. E’ la logica della crisi sistemica che detta questi slittamenti (e ogni Paese sta lavorando alla propria Vision 2030, spesso senza dirlo troppo in giro, vedi i Paesi europei: da che altro deriva la famosa “instabilità europea”?).
La retata è un atto dovuto in questa Vision, per via dei legami politici di alcuni arrestati coi neo-liberal-cons americani (e Trump si ricorda bene i milioni dati dai Saud alla Clinton per la sua campagna elettorale) e per via della loro visione delle cose, totalmente statica, legata alle rendite petrolifere e allo status quo delle relazioni internazionali saudite.
Lo status quo, così come il legame doppio Washington-Riad, è infine basato sul wahhabismo, la visione settaria, estremistica, fondamentalista dell’Islam che da più di due secoli fa da sostegno ideologico alla Casa Saud. Ecco allora il principe Mohammad che auspica che l’Arabia Saudita si faccia promotrice di un “Islam moderato, aperto al mondo e a tutte le religioni” (e questo vorrebbe dire anche fine della strategia di radicalizzazione per arruolare carne da cannone e quadri jihadisti da scatenare in mezzo mondo – un’operazione che adesso ha come oggetto i Curdi).
Se è questo che gironzola dentro la testa quasi-coronata di Mohammad Bin Salman, o è veramente matto da legare o ha fatto i suoi conti, ma con l’aiuto di qualcuno.
 

 

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