Siamo tutti Sarkozy

Il leader perfetto per un Occidente ipocrita e coloniale. [Fulvio Scaglione]

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21 Marzo 2018 - 13.49


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di Fulvio Scaglione

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Il “caso Sarkozy”, ovvero la curiosa vicenda del Presidente di Francia che si fece finanziare la campagna elettorale (2007) dal colonnello e autocrate libico Muhammar Gheddafi e qualche anno dopo (2011) gli dichiarò guerra e lo fece ammazzare, può essere affrontato in due modi. Come una storiaccia della politica politicata, un esempio da manuale di arrivismo e pelo sullo stomaco, per concludere che dopo tutto il buon Nicolas ha sempre avuto un’aria da stronzo. Oppure sempre come un esempio da manuale, ma non di un occasionale scandalo francese bensì dello scandalo permanente costituito dalla politica che l’Occidente conduce, dove può e appena può, fuori dai suoi tutto sommato ristretti confini.

Secondo i magistrati, che indagano su una serie di documenti usciti dalla Libia e sulle testimonianze di diversi portaborse e mediatori, sia libici sia francesi, Sarkozy avrebbe ricevuto da Gheddafi, forse estorcendoli in cambio di promesse di appoggio politico, quasi 50 milioni di euro che l’aiutarono a conquistare l’Eliseo. Poi sappiamo com’è andata: dopo quattro anni di presidenza, e nel bel mezzo di una crisi di consensi clamorosa, lo stesso Sarkozy decise all’improvviso, e con il solo appoggio iniziale del Regno Unito, di fare la guerra alla Libia.

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Ai magistrati francesi questo secondo aspetto non interessa. A loro importa solo stabilire se Sarkozy ha violato le leggi francesi sul finanziamento della politica e il riciclaggio. La nostra prospettiva, invece, è quella opposta. Che ci frega se Sarkozy truffa e ricicla? Ci penseranno i magistrati. A noi interessa, invece, il giudizio politico sull’ennesimo “statista” europeo o americano che prima munge il Medio Oriente o l’Africa e fa accordi con il dittatore di turno e poi, finito appunto il turno, alza la bandiera della libertà e della democrazia e in nome di quella si dà alla strage. Secondo il Consiglio nazionale di transizione, ovvero l’organismo provvisorio che governò la Libia durante e subito dopo la guerra civile, tra febbraio e ottobre del 2011 morirono tra 25 e 30 mila libici. A loro vanno aggiunti tutti quelli che sono morti in questi sette anni di guerriglia e instabilità, e tutte le sofferenze inflitte alla popolazione di un Paese che nel 2010 vantava il 36° posto come Prodotto Interno Lordo tra 152 Paesi emergenti e nel 2017 era sprofondato al 62°. Per non parlare dei migranti: prima della guerra di Sarkozy (e Cameron, buono anche quello), la Libia era un punto d’arrivo per molti lavoratori dell’Africa e dell’Asia, che lì trovavano impiego. Dopo la guerra, è diventata un mero punto di transito e tortura per migranti che muovono verso l’Europa e fin troppo spesso trovano sepoltura nel Mediterraneo. Certo, la Libia era una dittatura. E allora? Vi piace di più adesso?

Ma la domanda vera è questa: uno che distrugge uno Stato e una nazione, che provoca la morte di migliaia e migliaia di persone, innesca un processo distruttivo per cui per anni e anni altre migliaia di persone soffrono e muoiono, e per di più si era fatto finanziare da quegli stessi che poi ha attaccato, può andarsene in giro come se niente fosse? Può ripresentarsi alle elezioni presidenziali in un Paese che, come la Francia, si dice civile? O non dovrebbe piuttosto finire sotto processo, almeno almeno come Slobodan Milosevic? Forse che i diritti dell’uomo e i crimini contro l’umanità hanno due versioni, una per tutti gli altri e una più morbida per noi?

Il problema è proprio questo: Sarkozy, politicamente parlando, è uno di noiUno di quelli che piangono per Ghouta e se ne fregano di Afrin. Uno di quelli che condannano la Russia per l’appoggio ad Assad e poi riempiono di armi l’Arabia Saudita che le gira all’Isis, ad Al Qaeda e ad Al Nusra. Uno come il suo successore Emmanuel Macron, per esempio, che da ministro dell’Industria e della Finanza nel Governo Valls, andò appunto in Arabia Saudita a firmare sontuosi contratti per la vendita di armamenti. Era il 2015 e anche i cani, a quell’epoca, sapevano che le petromonarchie del Golfo Persico sostenevano con armi e denaro i terroristi. Macron,quando si dice affranto per questo o per quello, pensa mai a quanti civili iracheni e siriani, tra i quasi 70 mila censiti dagli studi più affidabili nel solo periodo 2014-2017, abbiano fatto fuori le armi che lui ha venduto agli amici dei terroristi? Solo 3 mila? Cinquemila?

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Se passiamo la Manica, stessa storia. Nel 2003 Tony Blair, in associazione a delinquere con George Bush junior, fece invadere l’Iraq. Anche lì, ovviamente, libertà e democrazia per tutti. Certo, c’era quel piccolo particolare che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non esistevano, era tutta un’invenzione, ma che cosa non si farebbe per il progresso dei popoli. Iraq Body Count ha documentato almeno 200 mila vittime civili nel post-invasione, un incubo così spaventoso di cui nemmeno il Rapporto Chilcot, l’indagine del Governo inglese che ha sputtanato Blair come manco il più accanito pacifista potrebbe fare, ha voluto occuparsi. E anche Blair se ne va in giro come se niente fosse, anzi: dal 2007 al 2015 lo abbiamo pure messo a dirigere il Quartetto, la missione diplomatica internazionale che voleva fare la pace tra Israele e palestinesi, con i risultati che vediamo. Un processino anche a lui non ci starebbe male, no?

Come se non bastasse, le più che affidabili indagini giornalistiche del Guardianhanno rivelato che dal 2001 (Torri Gemelle) al 2007, cioè finché Blair restò in carica come premier, i servizi segreti inglesi intrattennero una cordiale collaborazione con gli omologhi del colonnello Gheddafi a base di extraordinary rendition di dissidenti libici, riportati a forza in patria e qui incarcerati, interrogati, spesso torturati.

Poi, nel 2011, con il premier David Cameron che non aveva la maggioranza assoluta in Parlamento e andava a caccia di consensi, ecco l’attacco al vecchio amico libico. E per lui, soldi intascati in nero a parte, vale lo stesso discorso fatto per SarkozyNon è per nulla un caso, quindi, se Francia e Regno Unito sono sempre stati, accanto agli Usa, i più accaniti interventisti nella questione siriana. È un vizietto, sono fatti così.

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Degli Usa, poi, non merita parlare. L’Iraq nel 2003. La Libia nel 2011, quando Barack Obama diceva: «Non finirà come l’Iraq». Il sostegno spudorato ai Paesi finanziatori e sostenitori dell’Isis, fino ai record nella fornitura di armi raggiunti da Donald Trump. La retorica sulla brutalità di Assad, salvo stare a guardare se le vittime civili in Siria (perché i curdi di Afrin sono cittadini siriani, proprio come quelli di Ghouta) si facevano e si fanno anche con le armi e gli alleati nostri, se ora le fa Recep Erdogan alla testa di un esercito che è sempre stato un baluardo della Nato proprio come quelli di Usa, Francia e Regno Unito.

Se persino l’Italia mise un piede nella guerra contro la Libia del 2011, entrando nella missione Nato “Unified Protector” e concedendo l’uso delle proprie basi aeree(contribuendo così ad abbattere Gheddafi con cui aveva da poco firmato un trattato, salvo firmarne poi uno analogo con i suoi molto meno credibili successori), se persino la Danimarca ha sentito la necessità di svolgere qualche centinaio di missioni aeree nei cieli della Siria, allora vuol proprio dire che Sarkozy è uno di noi. Teniamone conto, quando ci raccontiamo che stiamo solo cercando di regalare la libertà a tutti.

 

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