di Marcello Foa.
Chissà perché, ma il recente articolo goffamente diffamatorio de L’Espresso (a proposito: il dossier, come promesso, è nelle mani del mio avvocato), evoca, ancora una volta, il concetto di Fake News; soprattutto di quelle che la grande stampa mainstream diffonde ogni giorno, senza mai avere l’onestà di rettificare i propri errori.
Vi ricordate l’attacco chimico a Douma, quello che suscitò le ire di Macron e che indusse Trump a sparare un po’ di missili sulla Siria? Nell’aprile scorso, alcuni osservatori, tra cui chi scrive, sollevarono dubbi sull’attendibilità di quelle accuse; quei dubbi non trovarono spazio sulla stampa, che, in coro, grondava indignazione. Ebbene, l’altro giorno la Missione d’inchiesta dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC) ha pubblicato un primo rapporto da cui risulta che non è stata trovata nessuna traccia di gas nervino a Douma. Ma come al solito a dare la notizia con la giusta evidenza sono stati solo blogger e siti alternativi e, come sempre, la grande stampa, salvo rare eccezioni, l’ha ignorata.
E chi non si è commosso davanti alla foto straziante del bambino messicano che piange disperato dopo essere stato separato dai genitori? Quell’immagine è diventata il simbolo della protesta contro le misure del governo Trump (e da quest’ultimo poi ritirate). Era troppo bella, troppo emozionante per non essere vera! Peccato che non lo fosse; in realtà è stata scattata durante una manifestazione di protesta a Dallas, il 10 giugno. Le sbarre non erano di una prigione ma di gabbie simboliche e il bambino non è mai stato separato dai genitori. Recitava. E’ bastato prendere quello scatto e pubblicarlo decontestualizzato per scatenare l’indignazione internazionale. E ancora una volta solo in pochi hanno denunciato l’inganno, la grande stampa non ha mai rettificato.
, ma questi episodi mi inducono a segnalare un altro ottimo lavoro di Enrica Perrucchietti “Fake News. Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post verità”, che rappresenta un complemento ai miei studi e di cui ho avuto il piacere di scrivere l’introduzione. Come tutti gli autori davvero controcorrente, l’autrice è affascinata da Orwell e dal suo capolavoro “1984”. In quest’opera tenta, a mio avviso con successo, di rileggere le dinamiche della nostra società alla luce di alcuni concetti fondamentali del grande autore britannico. Non si tratta, sia chiaro, di una banale trasposizione, né di un’inutile e stantia ricostruzione a posteriori; insomma, non è una visita in un virtuale museo di Orwell, bensì un viaggio palpitante e preoccupato nella nostra realtà, che appare agli occhi dell’autrice come geneticamente modificata, mentre mai come ora c’è bisogno di autenticità, di aderenza alla realtà, di onestà intellettuale; soprattutto per chi fa il giornalista.
E il libro della Perrucchietti rappresenta un ottimo antidoto ai veleni che difformano l’informazione quotidiana.