di Gabriele Pedrini.
Se l’Italia e l’Europa ambiscono a porre fine alla crisi libica la via è una e richiede il dialogo con Mosca e il Cairo.
L’Italia, dopo aver deliberatamente permesso che nel 2011 il suo più importante alleato del Mediterraneo venisse aggredito e rovesciato, si è trovata a recitare la parte del più attendista degli onusiani, salvo poi svegliarsi nel 2019 e scoprire che altri e più attivi attori internazionali l’avevano scalzata dalla sua posizione di preminenza nel Paese nordafricano.
Gli otto anni di guerra e conflitto che hanno devastato la Libia, hanno visto tutti gli attori internazionali agire in ordine sparso, ognuno secondo la propria specifica agenda. Tradotto: ogni Stato si è limitato a perseguire il suo solo interesse. Questo modus operandi si è tradotto in una logica per la quale ognuno degli attori esterni coinvolti si è limitato a individuare e sostenere il suo proprio interlocutore libico in grado di garantire una rappresentanza dei suoi propri interessi. Interessi già presenti o futuribili.
Col senno di poi, a poco o nulla sono valse le iniziative in ambito Onu, perché nessuno ha mai creduto sino in fondo alla soluzione multilaterale. O, peggio, perché alcuni attori esterni hanno sin da subito agito in maniera antitetica rispetto a quanto concordato nell’ambito delle Nazioni Unite.
Ora l’Italia si trova in una situazione di scacco – ancora non del tutto “matto” – e deve affrontare due grosse contraddizioni: la prima nel rapporto di apparente vicinanza tra Roma e Ankara (che in realtà è un rapporto di rivalità); la seconda nella dialettica di antagonismo tra Ankara e Mosca (che in realtà è una dialettica di potenziale reciproco vantaggio).
La prima contraddizione emerge in quella che […]
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