La Siria e “i nostri asset”

I maggiorenti occidentali commentano giulivi la fine della Repubblica Araba Siriana, sostituita da una coalizione jihadista guidata da Abu Muhammad al-Jawlani, che nel curriculum ha una lunga militanza in ISIS e al-Qa'ida

La Siria e “i nostri asset”
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9 Dicembre 2024 - 07.00


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di Pino Cabras.

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È molto interessante leggere la parata di brevi dichiarazioni di tanti maggiorenti occidentali sulla fine della Repubblica Araba Siriana, oggi conquistata e sostituita da una coalizione jihadista guidata da Abu Muhammad al-Jawlani, che nel curriculum ha una lunga militanza nell’ISIS e in Al-Qa’ida e che come primo provvedimento libera dalle carceri siriane tutti i capi dell’ISIS.

Le dichiarazioni dei pezzi grossi dell’Ovest sono interessanti anche per l’uniformità dello stile e degli argomenti, esposti tutti con lo stesso cliché: 1) esultanza per il rovesciamento di Assad, additato come “dittatore”; 2) generico e blandissimo richiamo ai rischi associati ai nuovi capi per via del loro passato, quasi mai menzionato esplicitamente; 3) fiducia nella buona opportunità di fare buoni accordi con i nuovi capi; 4) letizia bellicosa per una sconfitta strategica di Putin. Cercate in rete le dichiarazioni di BidenScholzVon Der LeyenMacronMetsolaStarmerKallas: i vertici di istituzioni che in certe fasi hanno fatto di tutto per impaurirci con il pericolo del fondamentalismo terrorista oggi festeggiano il primo vero grande trionfo del jihadismo che si fa Stato, e lo fanno leggendo e diffondendo la medesima velina, come pappagalli, come meri ripetitori di idee ricevute, come zelanti esecutori di uno schema predefinito.

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Siete sorpresi? Per chi segue queste vicende da molti anni, come chi vi scrive, nessuna sorpresa. Il 19 gennaio 2016 sul quotidiano «The Times of Israel» uscirono le chiare dichiarazioni dell’allora ministro della difesa di Tel Aviv, Moshe Ya’alon, che spiegava che l’Iran rappresentava una minaccia maggiore dello Stato Islamico, e che nel caso il regime siriano fosse caduto, Israele avrebbe preferito che la Siria andasse sotto il controllo dell’ISIS piuttosto che della potenza iraniana. Quella di Ya’alon suonava proprio come una dichiarazione di guerra all’Iran, una guerra totale in cui ogni mossa, palese o sotterranea, veniva preventivamente coperta e giustificata da Tel Aviv. Ya’alon spiegava senza fronzoli quel che già sapevamo, ma che milioni di cittadini occidentali non sanno perché i giornali non li informano: gli ospedali israeliani nel pieno dell’aggressione jihadista alla Siria di dieci anni fa curavano i miliziani jihadisti siriani feriti, per poi rispedirli a combattere e così indebolire lo Stato siriano.

L’intervento russo nella guerra siriana aveva cambiato gli equilibri, e chi aveva scommesso per equilibri diversi si lamentava rabbiosamente: lo fecero pure i grandi vecchi dell’imperialismo USA, Zbignew Brzezinski (1928-2017) e John McCain (1936-2018), che imputavano a Mosca di “distruggere i nostri asset”, cioè i militanti delle formazioni terroristiche, considerati risorse organiche rispetto alle strategie geopolitiche imperiali. McCain, in particolare, aveva incontrato diversi boss jihadisti il 27 maggio 2013 dopo aver attraversato il confine turco-siriano per discutere di invio di armi pesanti e altri appoggi.

È interessante rileggere oggi un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da William Roebuck, che in quel momento era incaricato di affari presso l’ambasciata americana a Damasco, il quale diceva:

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«Pensiamo che le debolezze di Bashar al-Assad risiedano nella maniera in cui lui decide di reagire ai problemi incombenti, siano essi reali o percepiti, come per esempio il conflitto tra le riforme economiche (ancorché limitate) e la forza radicata della corruzione, la questione curda, e la minaccia potenziale al regime rappresentata da una crescente presenza di estremisti islamisti. Questo comunicato riassume la nostra valutazione su queste vulnerabilità e suggerisce che ci possano essere azioni, affermazioni e segnali, da parte del governo USA, che potrebbero far crescere la probabilità che queste potenzialità si verifichino». Tradotto in modo meno felpato: “soffiamo sul fuoco e su tutto ciò che può bruciare Assad, compresi gli schifosi tagliagole, che ci tornano utili».

Poco importa se sino a pochi anni prima al-Qa’ida e i fantasmi dei loro leader, al-Zarqawi e Osama Bin Laden, fossero esecrati dall’Occidente come terroristi espressione del male assoluto in modo da sfruttare ogni tecnica di manipolazione della paura di massa e imporre nuove guerre e leggi draconiane sulla sicurezza. Chi – come vi scrive – esibiva fior di documenti per dimostrare la contiguità esistente da sempre fra le organizzazioni terroristiche islamiste e i servizi occidentali nonché con le operazioni sporche dei servizi israeliani veniva tacciato di “complottismo”. Oggi le azioni di quel mondo sono oggetto di giubilo su tutti i social da parte di tutto il gotha dei governanti occidentali.

Prima lezione che arriva dai fatti: ciò che comunemente si definisce “terrorismo” è, perlopiù, uno strumento di manipolazione delle masse, sostenuto da entità statali e orchestrato con il consenso dei pochi detentori della quasi totalità dei media tradizionali. Questi ultimi hanno il compito di alimentare a comando isterie collettive e paure, evidenziando alcune vittime innocenti e ignorandone altre. Con un controllo così ferreo della narrazione, si riesce anche nell’operazione contraria: trasformare i tagliagole in nuovi statisti.

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Seconda e non meno importante lezione: l’uniformità pappagallesca dei capi di governo e degli eurocrati nel salutare la svolta siriana dimostra che anche loro, così come i quadri di al- Qa’ida, non sono “leader”: sono solo dei semplici “asset”. Risorse interamente in mano a chi davvero guida l’Impero. Fra “asset”, che non sono altro, sapranno intendersi.

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