'L''arcipelago della decrescita'

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1 Maggio 2010 - 07.57


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di Federico Demaria – carta.org.
La conferenza internazionale sulla decrescita, che si è tenuta a Barcellona, ha mostrato la ricchezza geografica e sociale di un movimento in grande espansione. Un articolo di Paolo Cacciari e Marco Deriu su questi temi è anche nel settimanale in edicola dal 30 aprile.

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La proliferazione di progetti politici é sintomo di un vuoto, o meglio della ricerca di cammini nuovi per riempirlo. I giovani vivono spesso con la credenza di essere immortali, lo stesso succede alla società. I limiti ci sono, e per tutti. L”ingenuità sta nel non rendersene conto. Siamo chiamati a uno sforzo di auto cura collettiva.
La chiave sta nella ripoliticizzazione del dibattito sulla [in]sostenibilitá. Ad esempio, concentrare i nostri sforzi solo sul cambiamento climatico, sarebbe diventare cani al guinzaglio del discorso dominante [come lo é la sinistra italiana]. La crisi è sistematica [economica, ecologica e sociale], caratterizzata da urgenza, incertezza e una posta in gioco alta. Che fare?

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I detentori dell”ordine costituito propongono di uscire dalla crisi con la causa come soluzione: la crescita economica. Questo dimostra l”esistenza di interessi non dichiarati, mancanza di creativitá e paura per una specie di «tragedia del cambio». Qualcosa tuttavia potrebbe cambiare.

A Barcellona, tra il 26 ed il 29 Marzo 2010, si sono riunite oltre cinquecento persone provenienti da piu di quaranta paesi per discutere una delle visioni emergenti dai movimenti sociali: la decrescita.
Un congresso accademico con la partecipazione della societa civile, un esempio di ricerca cooperativa che ha riunito ricercatori, attivisti, praticanti e amministratori. Oltre duecento articoli scientifici presentati, ma soprattutto la volonta di elaborare, discutere e sviluppare proposte politiche concrete e priorita di ricerca. L”intenzione di sperimentare un nuovo modello di conferenza introducendo metodi partecipativi attraverso i trenta gruppi di lavoro su svariate tematiche chiave come monete, lavoro, infrastrutture, pubblicitá, risorse naturali, reddito minimo, etc. In altre parole l”elaborazione partecipata di un progetto politico attraverso metodi di micro-democrazia.
Articoli, risultati dei gruppi di lavoro, dichiarazione finale e progetti futuri sono consultabili nel sito della conferenza.

L”appoggio istituzionale e l”attenzione mediatica, ricevuti dalla conferenza internazionale sulla decrescita, dimostrano una ricettivitá a un progetto politico radicale prima sconosciuta. C”é una crescente coscienza collettiva sul fatto che «le cose cosi non possono continuare». Quasi cento persone hanno reso possibile l”organizzazione dell”evento contribuendo volontariamente con il loro entusiasmo, la loro energia e le loro capacitá.

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Come dimostra l”apertura alla societá civile della conferenza, sul che fare, come farlo e farlo, siamo tutti chiamati a partecipare. I nostri cosiddetti rappresentati politici, la tecnologia e il mercato, non affronteranno i problemi per noi. Il protocollo di Kyoto propone una riduzione del 5,2 per cento delle emissioni [rispetto al 1990] con un sistema flessibile [troppo] formato da offsets, meccanismi di sviluppo pulito ([Cdm], mercati del carbono [carbon trading schemes]. Il target sará forse rispettato da alcuni paesi grazie alla crisi economica e il vulcano islandese Eyjafjallajokull. Tuttavia, secondo il principio di precauzione [e l”Ipcc] dovremmo optare per una riduzione del 45 per cento con un obbiettivo di concentrazione nell”atmosfera di 350 ppm [parti per milioni] di CO2, oltre a prendere in considerazione la responsabilitá storica e per tanto il debito climatico dei paesi ricchi con quelli impoveriti. Come discusso a Cochabamba tra il 19 ed il 22 aprile, oltre il feticismo della CO2, c”é la giustizia climatica.

Una questione altamente rilevante per la decrescita che é un movimento plurale composto da diverse anime che co-esistono: critica allo sviluppo e alla modernitá [Serge Latouche, André Gorz, Ivan Illich,.]; semplicitá volontaria [Henri Thoreau, Mahatma Ghandi.]; ecologismo; aspirazione all”approfondimento e rilocalizzazione della democrazia [Takis Fotopoulos, Marco Deriu.];
economia ecologica o bioeconomia [Nicholas Georgescu-Roegen, Meadows, Mauro Bonaiuti.];
rivendicazioni per la giustizia sociale, economica e ambientale [Joan Martinez Alier.]; crisi delle societá industriali: benessere, senso della vita e spiritualitá [Abbé Pierre, Tim Jackson.].
La diversitá intrinseca del movimento porta a una molteplicitá di strategie complementari e per lo piú coerenti.

Tre sembrano essere le priorità.

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In primo luogo, andare al di lá dell”infostrazione [o info-distrazione] per ampliare la presa di coscienza delle questioni politiche rilevanti per noi e le generazioni future. Un approccio radicale, ovvero che affronta il problema nelle sue radici, che vuole mutare lo stato dai suoi fondamenti.
Il capitalismo si fonda sulla crescita. Il credito e il consumo sono la benzina. La finanziarizzazione dell”economia, a cui abbiamo assistito durante vent”anni di neoliberalismo, spinge il sistema al collasso per strangolamento. Siccome i salari, e il loro potere d”acquisto, hanno continuato a diminuire, il sistema ha fatto crescere i debiti [vedi ipoteche subprime]. Debiti creati col credito facile e poi assunti dagli stati attraverso il rilevamento delle banche. Chi pagherá i debiti pubblici e privati? I debiti si pagano con l”inflazione [difficile con l”euro] o con crescita economica. Si entra cosi in un circolo vizioso, dove si creano debiti, per stimolare la crescita economica, con la speranza di pagare i precedenti. In poche parole stiamo ipotecando il futuro.

In secondo luogo, sono importanti le costruzioni di alternative e le sperimentazioni di stili di vita che permettano rendere piú armoniosa la nostra relazione con il resto dell”umanitá e l”ambiente. Ci sono buone pratiche che vanno diffuse e rafforzate, come i bilanci di giustizia, le reti di economia solidale, la permacultura, le cooperative di consumo ed i mercati di prodotti locali.

I principi guida potrebbero essere la prossimità, data l”importanza della rilocalizzazione, l”autoproduzione [”do it yourself”], l”autonomia e la resilienza [in ecologia, la capicità di un sistema di autoripararsi dopo un danno]. Queste esperienze permettono di rafforzare le comunitá, la coerenza con i nostri principi nella vita quotidiana e l”adattamento ai cambi a cui stiamo assistendo. Tuttavia, non possiamo rispondere a problemi collettivi e globali solamente con risposte individuali e locali.

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Il movimento delle Cittá in transizione é un buon esempio pratico delle prime due prioritá; ovvero promuovere la presa di coscienza, in particolare sul picco del petrolio e il cambiamento climatico. Si lavora poi sulla costruzione di una visione del futuro e su come attuare di consequenza nella propria comunitá [orti comunitari, energie rinnovabili, compost.].

Come evidenziato dal Trapese Collective, manca forse una messa in discussione delle radici del problema, una proposta di soluzioni senza lavorare sulle cause. Nessuno è perfetto.

In terzo luogo, dobbiamo pertanto continuare a riflettere e lavorare sull”articolazione e la sistematizzazione di queste pratiche. Il fine é la costruzione di un progetto politico [non partitico] ovvero di una visione alternativa della società futura. Cosi facendo, potremo rivendicare un cambio istituzionale e strutturale della nostra società. Sarà cosa buona e giusta che l”elettricità di casa nostra venga da fonti rinnovabili, ma se non saremo capaci di fermare l”estrazione dei combustibili fossili, il cambiamento climatico farà il suo corso.

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Un ottimo esempio é l”iniziativa Itt Yasuni promossa dal governo di Ecuador, in particolare da Alberto Acosta, ex-presidente dell”assemblea costituente. L”idea é di lasciare il petrolio sotto terra, in cambio di una compensazione monetaria della comunitá internazionale come pagamento di una rata del debito climatico. Cosi facendo si eviterebbero gli impatti dell”estrazione, tra cui la deforestazione e perdita di biodiversitá, la violazione dell”isolamento volontario delle comunitá indigene e l”emissione di 407 milioni di tonnnelate di CO2. Per di piú il governo dell”Ecuador si compromette ad investire i fondi nella sua transizione socio-ecologica, da un paese basato su un economia estrattiva ad uno fondato sulle energie rinnovabili, rispetto della biodiversità ed equità sociale.

La seconda conferenza internazionale sulla decrescita a Barcellona é un importante passo avanti. Simbolizza la internazionalizzazione di un dibattito che fino ad ora era principalmente rimasto in Italia, Francia e Spagna. Fino a due anni fa la parole in inglese degrowth non esisteva, mentre oggi si moltiplicano articoli scientifici e di divulgazione, documentari ed eventi [per esempio la conferenza di Vancouver, Canada].

Gruppi locali e reti per la decrescita nascono come funghi dal Messico alla Danimarca; si parla di una rete internazionale e potenziali alleanze con movimenti del sud come l”ecologismo dei poveri e il buen vivir. Perdipiú, mentre negli ultimi dieci anni il dibattito era rimasto confinato tra attivisti di base e ricercatori, adesso si apre sempre piú alla societá [organizzata e non], ai media e alla politica. Le azioni rimangono locali, ma gli incontri a livello nazionale e internazionale permettono un costruttivo scambio di informazioni ed esperienze. Un buon esempio di localismo aperto.

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La serietá della crisi sistemica sembra apra le porte a un nuovo momento di mobilitazioni. Se sapremo mantenere la luciditá e andare oltre le nostre differenze [spesso piú individuali, che ideologiche] potremo accompagnare e consolidare il confluire tra le diverse anime del movimento. La decrescita é uno degli slogan candidati a facilitare questi processi e rafforzare la convergenza di gruppi e soggetti in un movimento a strategie multiple e complementari che promuovono una trasformazione della societá verso la sostenibilitá ecologica e l”equitá sociale.

La decrescita plurale“”:http://http://www.carta.org/rivista/settimanalewww.carta.org/campagne/decrescita/19367
[Mauro Bonaiuti]

Euro decrescita [Paolo Cacciari e Marco Deriu]

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  • Federico Demaria, l”autore di questo articolo, è ricercatore all”Istituto di Scienze e tecnologie ambientali dell”Università Autonoma di Barcellona, tra i promotori dell”associazione Research and Degrowth e co-organizzatore delle conferenze internazionali sulla decrescita.

Tratto da: carta.org

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