‘
Roma. Il recente rapporto del Worldwatch Institute “Vital Signs 2010” (pubblicato dalla Norton , vedasi il sito www.worldwatch.org e http://vitalsigns.worldwatch.org) costituisce una straordinaria messa a punto dei dati più aggiornati su numerosi indicatori fondamentali relativi allo stato di salute dei sistemi naturali e dei sistemi sociali sul nostro bellissimo Pianeta.
Il rapporto ha la capacità di illustrare, in poche pagine e con grafici chiari e riassuntivi, lo stato della situazione mondiale in campi fondamentali per tutti noi, relativi agli andamenti della popolazione, alle quantità e modalità di uso delle risorse naturali come quelle energetiche e alimentari, a importanti informazioni relative alla nostra economia e le nostre società (come, ad esempio, il PIL planetario, le spese mondiali di pubblicità , le spese per armamenti, ecc.) ed allo stato di salute dei sistemi naturali (i cambiamenti climatici ed i loro effetti, lo stato della biodiversità ecc.). Si tratta di un volume fondamentale che accompagna l”ottimo e più famoso rapporto annuale “State of the World” del quale più volte abbiamo parlato nelle pagine di questa rubrica (edito ogni anno in italiano da Edizioni Ambiente).
Credo sia utile, tra i tanti dati, soffermarci ad analizzarne alcuni relativi alla nostra alimentazione perché come ci ricorda Lester Brown, nel suo “Piano B 4.0″ (più volte citato in questa rubrica ed edito sempre da Edizioni Ambiente) la perdita globale di vitalità nell”espansione della produzione alimentare, ci costringe seriamente a pensare alla riduzione della domanda stabilizzando la crescita demografica, semplificando i livelli della catena alimentare e riducendo l”impiego dei cereali nella sintesi di biocarburanti. Uno degli obiettivi previsti dal Piano B proposto da Lester Brown ,è infatti quello di arrestare la crescita della popolazione mondiale, che dovrebbe limitarsi a 8 miliardi entro il 2040. Ciò richiederà uno sforzo educativo che deve coinvolgere tutta la popolazione e deve aiutare a far comprendere a tutti quanto il rapporto fra noi e gli ecosistemi che ci supportano si stia rapidamente deteriorando. Ciò significa anche che abbiamo bisogno di una terapia immediata e sostanziosa per poter rendere disponibili i servizi di salute riproduttiva e di controllo demografico a quei più di 200 milioni di donne che oggi vogliono pianificare le loro famiglie, ma che non hanno accesso ai mezzi per poterlo fare.
Brown scrive : «Una delle domande che spesso mi vengono rivolte è “Quante persone la Terra è in grado di sostenere ?” Io rispondo con un”altra domanda : “Con quali livelli di consumi alimentari?”. Arrotondando le cifre, all”attuale livello pro capite di consumo statunitense di 800 kg di cereali per l”alimentazione e il mangime, considerando la disponibilità di 2 miliardi di tonnellate annuali di raccolto cerealicolo mondiale, avremmo una quantità sufficiente per nutrire 2,5 miliardi di persone. Se prendiamo in analisi i consumi italiani di 400 kg a testa, si potrebbero nutrire 5 miliardi di persone. Il consumo medio degli indiani di 200 kg potrebbe bastare per 10 miliardi di persone».
Come ci ricorda “Vital Signs 2010”, nel 2008 abbiamo consumato 280 milioni di tonnellate di carne (bovina, suina e pollame) con una previsione 2009 di 285 milioni di tonnellate. Il consumo di carne è raddoppiato dalla metà degli anni Settanta e molti esperti prevedono che, se i trend dovessero proseguire con questi ritmi, potremmo avere un consumo al 2050, di 465 milioni di tonnellate. Attualmente abbiamo un consumo medio annuale pro capite di 42 chilogrammi, per un abitante dei paesi cosidetti in via di sviluppo si tratta di 32 kg pro capite annui e per un abitante dei paesi sviluppati sono, invece, 81 kg pro capite annui.
Invece dei quasi 800 kg di cereali consumati individualmente ogni anno negli Stati Uniti, circa 100 kg sono assunti direttamente sotto forma di pane, pasta e cereali per la colazione, mentre gran parte dei cereali viene assunta indirettamente sotto forma di prodotti di origini animale e pollame. Al contrario in India, dove la popolazione consuma poco meno di 200 kg di cereali all”anno, quasi tutti i cereali vengono assunti direttamente per soddisfare le necessità alimentari energetiche basilari. Solo una minima quantità viene destinata alla conversione in prodotti di origine animale.
Le popolazioni che vivono con un livello di apporto proteico molto basso o molto alto, non vivono a lungo quanto quelli che si collocano in una posizione intermedia. Coloro che seguono una dieta di tipo mediterraneo che comprende carne, formaggio e pesce, ma in quantità moderate, godono di una salute migliore e vivono più a lungo. Le popolazioni che si nutrono con alti livelli di apporto proteico, come gli americani o i canadesi, possono migliorare la loro salute riducendo la quantità di proteine che assumono. Per coloro che vivono nei paesi a basso reddito come l”India, dove un alimento a base amidacea come il riso, fornisce il 60 % o più dell”apporto calorico totale, consumare cibi più ricchi di proteine può migliorare la salute e innalzare l”aspettativa di vita.
Una dieta basata su vegetali richiede circa un quarto di energia rispetto a una dieta ricca di carne rossa. Come ci ricorda Lester Brown, passare da una dieta ricca di carne rossa a una dieta basata sui vegetali taglia le emissioni dei gas serra tanto quanto il passaggio da un SUV a una Prius.
Anche passare da forme di proteine animali ad alta intensità di cereali a quelle a bassa intensità , riduce la pressione sulle risorse idriche e terrestri. Per esempio, passare dal bovino che necessita di circa 7 kg di cereali concentrati al giorno per ciascun kg di peso vivo, al pollame o al pesce gatto che necessita di circa 2 kg di cereali al giorno per ogni kg di peso vivo, contribuisce a tagliare drasticamente l”impiego di cereali.
Per quanto riguarda la pesca la produzione totale globale di pesce, combinando le catture di pesca e l”acquacoltura, è cresciuta fino a circa 159 milioni di tonnellate nel 2008 (il dato più recente disponibile) . Questo dato rappresenta l”1.27 % di incremento rispetto alla produzione 2007 . L”acquacoltura , dopo una crescita costante per almeno quattro decenni , oggi contribuisce a circa la metà di tutta la produzione mondiale di pesce e si prevede che sorpasserà le catture dovute alla pesca intorno al 2012. Il 77 % della produzione di pesce è destinato al consumo umano, mentre il rimanente è utilizzato per una produzione non alimentare destinata all”industria dell”olio di pesce e dei mangimi per il bestiame di allevamento.
Nel 2006 la media globale di produzione di pesce pro capite era di 3.3 tonnellate l”anno, alcune regioni presentavano medie più alte, ad esempio, 21.4 tonnellate annue l”Europa e 25.1 tonnellate l”Oceania. L”Asia soltanto 2.5 tonnellate annue nonostante in quel continente vi sia l”85.8% dei pescatori ed acquacoltori a livello mondiale. Per contro Europa ed Oceania presentano, rispettivamente, l”1.7% e lo 0.1% dei pescatori ed acquacoltori a livello mondiale. Il consumo mondiale di pesce è andato incrementando da una media di 9.9 kg negli anni Sessanta a 14.4 kg negli anni Novanta e a 17.1 kg nel 2009.
Ci ricorda Lester Brown che anche se, fin da quando esiste l”agricoltura, la crescita demografica è stata il motivo di una maggiore richiesta, la conversione su larga scala dei cereali in proteine animali, è emersa solamente dopo la II guerra mondiale. La conversione massiccia di cereali in carburanti per auto ha avuto inizio solo qualche anno fa. Se vogliamo capovolgere la tendenza verso il verificarsi di carestie, dovremo quasi certamente ridurre quest”ultimo utilizzo dei cereali. Bisogna ricordare che, i 104 milioni di tonnellate stimate per la produzione di etanolo nel 2009 negli Stati Uniti, rappresentano la razione alimentare necessaria a sfamare 340 milioni di persone a un livello di consumo cereale medio.
Il rapido passaggio a famiglie meno numerose, la semplificazione della catena alimentare, che può avvenire consumando meno proteine di origine animale od indirizzandosi verso proteine di animali più efficienti nel consumo di cereali, l”eliminazione degli incentivi per la conversione del cibo in carburante, sono azioni che potranno assicurare ad ognuno di noi di poter avere cibo a sufficienza.
Tratto da: greenreport.it
‘