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Due ricerche prodotte recentemente da McKinsey e da Standard Chartered annunciano come sicuro e imminente un ciclo formidabile di crescita economica. I protagonisti di questo balzo in avanti saranno quei paesi che chiamavamo fino a dieci anni fa “sottosviluppati”, come Cina, India, ma anche America Latina e persino Africa. Questa previsione, che sicuramente allieta i cultori dello sviluppo infinito e li convince della bontà dei loro presagi, suscita comprensibili preoccupazioni, soprattutto fra gli ecologisti. Anche Vladimiro Giacchè su «Il Fatto Quotidiano» non perde l”occasione per manifestare apertamente i suoi dubbi, tuttavia lo fa in modo assai diverso da come lo farebbe chi nei conti del gioco economico inserirebbe anche i costi ambientali. Due estratti del suo articolo bastano per mettere a fuoco il vizio di fondo del suo ragionamento.
Eccoli:
«. i paesi emergenti continueranno a essere grandi esportatori, ma saranno sempre più importanti come consumatori; e non soltanto di materie prime, ma anche di prodotti finiti. Non si tratta di un futuro lontano: nel 2010 le importazioni della Cina sono cresciute di 400 miliardi di dollari, attestandosi a 1.400 miliardi. Insomma: la crescita di quello che una volta consideravamo il Terzo mondo rappresenta una gigantesca opportunità [.] In questo nuovo scenario il successo dei Paesi più sviluppati dipenderà più che mai dalla ricerca, dalla tecnologia e dalla capacità di innovare».
È facile capire dove Giacchè voglia andare a parare. La ricetta per rimanere competitivi e cogliere le opportunità offerte dalla globalizzazione è quella di sollecitare il capitale ad investire seriamente nell”innovazione di prodotto e di processo, al fine di sommergere di beni ad alto tasso tecnologico (e di lusso, c”è da scommetterci) i nuovi mercati emergenti.
La prospettiva del noto economista – che pure è un eminente studioso che conosce Marx in dettaglio – rimane tutta nel solco “riformista e progressista”, essendo mirata a contestare il modo di fare impresa dei vari Marchionne, manager insensibili e poco lungimiranti, che non capiscono l”importanza di separare la produttività del lavoro (sacrosanta) dalle ore effettivamente lavorate.
Insomma: invece di massacrare la salute e la dignità dei lavoratori, il capitale investa per creare valore aggiunto sul versante della ricerca e dell”innovazione, magari sognando una sterminata classe media cinese che riproduca il nostro modello di mobilità urbana alla guida di una Cinquecento appena più moderna.
Questa logica ci avvisa che stiamo entrando nel deserto di una sinistra che ancora crede alla possibilità di conciliare “qualità del lavoro” e una certa “modernizzazione” (una di quelle parole che fregano). Su questa illusione hanno scritto pagine imprescindibili Marino Badiale e Massimo Bontempelli.
Ci chiediamo infatti come sia possibile pensare a un Occidente (intendendo con questo termine impreciso la Vecchia Europa e il Nord America) che continui a crescere, seppur indirettamente, approfittando dello sviluppo vertiginoso dei nuovi protagonisti mondiali.
L”inquinamento, l”erosione del suolo, il surriscaldamento globale e altri segnali di turbolenza che annunciano la transizione sono già numerosi, a volerli vedere. Per questo va affermato che alla crescita inarrestabile dei paesi emergenti – che non può ricalcare il nostro modello – deve affiancarsi una decrescita guidata del miliardo d”oro: una decrescita che, una volta governata in modo pacifico e democratico, ci restituirà il diritto di dialogare in modo franco e aperto con chi oggi si affaccia sul balcone dello sviluppo senza sapere che l”edificio sta per crollare.
Ciò è fondamentale poiché, piaccia o meno agli economisti progressisti, non si dà alcuna possibilità di riforma del capitalismo globale, nato per distruggere ogni principio di conservazione in nome dell”innovazione continua e della mercificazione di ogni relazione e creazione umana, una dinamica in sé mentecatta. Per allontanarsi dal baratro autodistruttivo del capitalismo terminale occorrerà qualche spinta teorica più coraggiosa che immaginarci concessionari di chincaglierie tecnologiche nei paesi BRIC.
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