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Il pareggio di bilancio è la stella polare che, negli ultimi tempi, orienta le politiche economiche volte a superare la crisi che tuttora travaglia le economie del vecchio continente. I mezzi per conseguirlo sono rigore, sacrifici, tagli alla spesa sociale e, in definitiva, il lento ma progressivo smantellamento del buon vecchio welfare state.
La Grecia è il laboratorio in cui è possibile osservare i tragici effetti di questo sciagurato esperimento imposto, fra l”altro, da entità (BCE, FMI, Commissione Europea) le quali, pur se chiamate a contribuire finanziariamente, non possono certo vantare un”apprezzabile investitura democratica da parte dei cittadini che quei sacrifici e quei tagli devono subire.
Anzitutto non si vede come il rigore e i sacrifici possano imprimere una svolta positiva a un paese già prostrato da una situazione di ristagno economico, dal crollo verticale della domanda, da una struttura industriale esigua. Invece, le conseguenze negative di tali reiterate imposizioni sono indubitabili, ma non sembra siano tenute in sufficiente considerazione.
Tagliando stipendi, pensioni e spesa sociale è più che logico attendersi – in Grecia come altrove – il rifiuto della politica, l”ostilità nei confronti delle istituzioni europee, i conseguenti rigurgiti di nazionalismo e di estremismo; non si può escludere il disgregarsi della coesione sociale, il manifestarsi di rivalità , più o meno accese, fra classi e categorie. Il costo di questi fenomeni, pur non essendo rilevato dalle statistiche economiche ufficiali, incide profondamente in termini di convivenza civile e di vita quotidiana della gente comune.
Invece negli Stati Uniti – non a caso patria del new deal – l”obiettivo della crescita è stato anteposto a quello del contenimento del disavanzo e del debito. Anche se la situazione degli USA è ben diversa da quella di Eurolandia – basti considerare la consistenza della struttura delle due economie, le possibilità di manovra e le prerogative della Federal Reserve rispetto a quelle della BCE – i dati danno conto dei risultati della politica di sostegno alla crescita, di riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro e delle altre analoghe misure adottate dall”amministrazione Obama, la quale ha anche dovuto fronteggiare l”opposizione della destra repubblicana.
Nell”ultimo trimestre del 2011 il PIL dell”Eurozona è diminuito dello 0,3%, quello USA è cresciuto del 2,8%. A fine 2011 il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti si era considerevolmente ridotto attestandosi all”8,3% contro un valore medio del 10,4% nell”Eurozona. In un recente editoriale del New York Times dal titolo La strada sbagliata dell”Europa si osserva che la rigida austerità richiesta dall”Europa ai paesi in difficoltà ha aggravato la loro recessione ed ha reso più oneroso e più difficile da rimborsare il loro debito. [1]
Negli ultimi tempi, per la verità , l”idea che il rigore da solo non sia sufficiente ma occorra anche promuovere la ripresa sembra farsi strada nelle menti dei reggitori della cosa pubblica dei diversi paesi, ma finora ci si limita a enunciazioni e auspici. Sul piano dei fatti l”evento più rilevante, finora, è costituito dal fiscal compact, approvato il 30 gennaio scorso da 25 paesi su 27 dell”Unione Europea. Si tratta dell”impegno a conseguire e mantenere il pareggio di bilancio e a ridurre progressivamente, ma entro tempi stabiliti, l”ammontare del debito pubblico fino a raggiungere il 60% del rapporto rispetto al PIL.
Nel nostro paese, l”iter della norma costituzionale che prevede il pareggio di bilancio è già stato avviato, sebbene autorevoli commentatori abbiano posto in rilievo l”ingiustificata rigidità di tale obbligo che preclude la possibilità di ricorrere alla politica di bilancio in funzione anticiclica, così come indicato nei (vecchi) testi di politica economica. [2]
Da un punto di vista più concreto, poi, il “decreto salva Italia” (d.l. 16.12.2011) ha introdotto misure che dovrebbero permettere di conseguire il pareggio già nel 2013. Come già ampiamente sottolineato nelle più varie sedi, le misure consistono per la maggior parte in aumenti delle entrate mentre, dal lato della spesa, la voce di maggior risparmio è costituita dalla riforma delle pensioni, applicando così il famoso suggerimento di Petrolini (quando servono soldi prendeteli dai poveri: ne hanno pochi ma sono tanti).
In una situazione di conclamata recessione quale quella italiana non sembra questo il modo migliore di imprimere una spinta all”economia; ma forse un obiettivo non esplicitamente dichiarato ma non certo secondario che il Governo si proponeva con queste misure era anche un altro: quello di dimostrare ai mercati che il paese è in grado di gestire efficacemente e tempestivamente le proprie traversie finanziarie; si è voluto così restituire agli investitori un ragionevole grado di fiducia nei titoli del nostro debito pubblico e ottenere, di conseguenza, una riduzione della misura dell”interesse da corrispondere.
Questo risultato, visto l”esito delle ultime aste e l”andamento del famigerato spread, sembra in parte raggiunto, ma le turbolenze dei mercati sono alimentate da molti e complessi fattori. Come ha osservato in un recente intervento il Governatore della Banca d”Italia “per ridurre il premio al rischio sui titoli pubblici dei paesi impegnati nello sforzo di stabilizzazione e rilancio produttivo occorrono decisioni comuni. È essenziale la determinazione di tutti a rinsaldare la costruzione europea“. [3]
Ma è proprio sul fronte della faticosa concertazione, dell”efficacia e della tempestività degli interventi da parte della Comunità Europea che sussistono le maggiori incertezze. La dicono lunga i rinvii e le titubanze con cui è stata affrontata, fin dal suo primo manifestarsi, la crisi greca, che se fronteggiata in tempo, con maggiore decisione e disponibilità da parte dei paesi “forti”, forse a quest”ora sarebbe stata superata e con costi sensibilmente inferiori, sia dal punto di vista finanziario sia sociale.
Evidentemente non era sufficientemente chiaro che il default di un paese, ancorché poco rilevante, avrebbe comportato conseguenze gravissime anche per le più forti economie dell”eurozona per il tramite delle rispettive banche nazionali; queste, infatti, si sono accaparrate grandi quantità di titoli dei paesi in difficoltà , allettate dagli elevati tassi di interesse: le loro insussistenze si sarebbero ripercosse sia in un drastico taglio del credito alle industrie nazionali sia, nei casi peggiori, in una nuova necessità di interventi di salvataggio da parte dello stato.
Per scongiurare i problemi che potrebbero derivare da carenza di liquidità , in soccorso delle banche europee è invece accorsa la BCE abbassando il tasso di riferimento, concedendo finanziamenti a tre anni per 490 miliardi di euro, ampliando la gamma delle attività accettate a garanzia delle operazioni di rifinanziamento. Il tutto con l”auspicio che ciò si traduca in maggiore disponibilità di credito per le imprese. Cosa che non si è verificata in Italia dove, nello scorcio del 2011, anche per effetto di una sensibile riduzione dei depositi, si è invece registrata una contrazione dei prestiti alle imprese dell”ordine di 20 miliardi di euro; circostanza che è stata puntualmente rilevata e garbatamente ma fermamente deprecata dal Governatore della Banca d”Italia, il quale sul punto ha osservato che “è cruciale che l”economia non entri in asfissia creditizia“. [4]
L”insieme di queste considerazioni porterebbe un commentatore maldisposto all”amara conclusione che le politiche economiche dei governi di Eurolandia si sostanziano in misure in realtà dettate da entità sovranazionali le quali, a loro volta, veicolano le esigenze delle banche e della finanza internazionale. In scarsa o nulla considerazione sono tenute le conseguenze sulla vita quotidiana dei cittadini, di coloro, cioè, che in definitiva saranno chiamati a pagare il conto. E ci si stupisce dell”ostilità montante nei confronti di Bruxelles, delle sempre più diffuse perplessità che inducono taluno a chiedersi se sia proprio questa l”Europa in cui sognavano di vivere.
*già Condirettore Centrale della Banca d”Italia.
Note
[1]Â NewYork Times del 18.2.2012.
[2] Si veda, da ultimo, l”articolo di Giuseppe Pisauro su Lavoce.info.
[3] e [4] ASSIOM FOREX, Intervento del Governatore della Banca d”Italia Ignazio Visco, Parma 18 febbraio 2012.
Fonte: http://www.ticonzero.name/1/cronache_di_politica_economica_di_gianni_camarda_6598200.htmlÂ
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