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di WSI – www.wallstreetitalia.it
L”Iran sta iniziando ad accettare yuan cinesi per alcune delle forniture di petrolio che vende alla Cina. È quanto hanno riportato al Financial Times alcuni dirigenti con sede a Dubai e in Kuwait. La decisione, confermata da dirigenti del settore che operano a Pechino, si spiega in parte con le sanzioni americane che hanno come obiettivo quello di limitare il programma nucleare di Tehran.
Lo yuan cinese è utilizzato dall”Iran per acquistare beni e servizi che importa dal paese asiatico. “La crisi finanziaria globale ha accelerato i movimenti che dall”Occidente vanno verso l”Oriente”, ha detto l”amministratore delegato di una banca di Dubai – E queste misure, come le sanzioni americane contro l”Iran rafforzeranno ora l”utilizzo dello yuan cinese come moneta di transazione”. Tra l”altro, a essere colpita dalle sanzioni, agli inizi dell”anno, è stata la stessa società cinese Zhuhai Zhenrong, accusata di avere rapporti di business con l”Iran e di consegnare anche del gasolio al paese (accusa negata dall”azienda).
Di fatto, comunque, la maggior parte del petrolio che l”Iran esporta alla Cina è gestita da Sinopec, il braccio di trading di Unipec e compagnia petrolifera numero due nel paese e dalla stessa Zhihai Zhenrong. Pechino sta tentando di convincere sempre più i propri partner commerciali a utilizzare lo yuan, al fine di trasferire il rischio del rapporto di cambio alle sue controparti, visto che il prezzo del petrolio è fissato in dollari americani. In questo modo, Pechino ha anche un bisogno minore di detenere dollari sotto forma di riserve.
Gli acquisti di yuan sono iniziati qualche mese fa; tuttavia, a seguito delle sanzioni degli Stati Uniti, alcune banche nazionali della Cina tra cui la stessa Bank of China hanno smesso di fare affari con la Cina. Gran parte della valuta cinese è trasferita a Tehran attraverso le banche russe, che ricevono cospicue commissioni sulle transazioni.
Da segnalare che l”Iran vende il 21% delle sue esportazioni alla Cina; Pechino è dunque cruciale per permettere a Teheran di far fronte alle sanzioni unilaterali imposte dagli Stati Uniti.
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