Scenari economici e scemari politici

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14 Agosto 2012 - 09.47


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Il paradosso dei modelli previsionali: quando la loro attendibilità scientifica diminuisce, il loro “peso politico” aumenta

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di Aldo CarraSbilanciamoci

Adesso il Fondo Monetario Internazionale di scenari sulla situazione italiana ne ha formulati addirittura sette e lo ha fatto considerando le diverse politiche che potranno essere fatte.

Secondo il documento elaborato dai tecnici dell”Fmi, il rapporto debito/Pil, che per il 2012 è previsto pari al 126,4%, potrebbe salire al 128% se dovessero registrarsi bassa domanda e “fallimento delle riforme“, oppure al 131% se dovessero aggiungersi scarsa fiducia dei mercati sulla sotenibilità del nostro debito e “mancata attuazione delle riforme già fatte“.

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Se poi ci dovesse essere il contagio tra turbolenze dell”area euro e una “frenata delle riforme strutturali”, lo spread potrebbe fare un altro balzo in avanti, il Pil fermarsi ed il rapporto debito/Pil balzerebbe addirittura al 140%. Come si vede i se sono tanti, ma la costante è “l”attuazione delle riforme strutturali” varate e la “prosecuzione” sulla strada intrapresa.

Poiché queste cose le dicono i “tecnici” dell”Fmi, cioè della più importante autorità monetaria, quasi nessuno osa contestarle, e anzi molti politici e i tecnici prestati alla politica si sentono sollevati: adesso sanno cosa dovranno fare e, con certezza quasi matematica, cosa di conseguenza accadrà.

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Potenza della tecnica quando la politica, di fronte alla complessità dei problemi, da in appalto la sua funzione e si riduce a fare i compiti che i tecnici prescrivono. Verrebbe naturale a questo punto chiedersi: ma allora a cosa è servita la terapia shock dei professori che hanno preso in cura il malato con un deficit al 120%? Perché non ci sono stati e nemmeno si intravedono effetti positivi?

Niente paura. Appena due giorni dopo un altro studio ci dà la risposta: è un problema di pazienza, dobbiamo solo attendere 18 mesi e vedremo che i provvedimenti del governo proietteranno i loro effetti positivi sull”economia italiana. Si tratta del rapporto pubblicato da Ernst&Young, una società di consulenza che opera a livello globale. La società ci dice che sì è vero che le cose sono andate peggio di quanto loro stessi non avessere previsto pochi mesi fa, è vero che l”economia è ancora destinata a peggiorare e che la crescita sarà ancora negativa nel 2013, ma nel 2014 il Pil riprenderà a crescere con un aumento dell”1,2%. Questo perché allora comincerebbero a manifestarsi gli effetti benefici della terapia Monti.

Quindi, come scrive Repubblica, “il rapporto è una promozione per i provvedimenti del governo e gli effetti delle riforme strutturali avviate andranno gradualmente ad alimentare l”economia”. Perciò altro ossigeno per la politica: continuate così e sarete premiati. Ma su quali fondamenti scientifici si reggono quelle analisi e quelle previsioni che quasi tutti prendono per buone assumendone le ricette che ne discendono?

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Cominciamo dalle previsioni di crescita del Pil per parlare dopo di come si misurano gli effetti dei provvedimenti di riforma. Che valore hanno oggi queste previsioni? I modelli previsionali sono fondati sulla constatazione che un fenomeno nel corso degli anni manifesta una tendenza e quindi, proiettando questo trend nel futuro, si può prevedere cosa accadrà. Fino a pochi decenni fa questo assunto conservava una sua validità perché eravamo in una fase, non a caso denominata di “sviluppo lineare dell”economia”, che consentiva di individuare i trend e di estrapolare le tendenze.

Ma oggi questo non è più possibile. Le ragioni sono tante e due sono le principali. La prima è la globalizzazione dei mercati che ha visto entrare in campo da protagonisti paesi con strutture economiche profondamente diverse: si sono,così, moltiplicate a dismisura le variabili e le interrelazioni da prendere in considerazione per costruire modelli previsionali. La seconda è l”imporsi impetuoso della finanza: essa ha variabili e modelli di funzionamento profondamente diversi dall”economia reale, tanto che nessuno riesce a prevederne evoluzione, crisi, bolle ed oscillazioni.

L”intreccio tra questi due fattori produce effetti incalcolabili e rende i vecchi modelli previsionali assolutamente inadeguati: se si confrontano gli scenari previsionali formulati negli ultimi anni e i dati effettivi poi registrati c”è da rabbrividire.

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Ma allora perchè autorità che formulano previsioni e società di rating che danno giudizi di affidabilità sono sempre più determinanti ed influenti? Perché le loro analisi riempiono le prima pagine ed influenzano le scelte politiche e gli stessi risultati elettorali come si è visto in Spagna e Grecia? Non è paradossale che proprio quando l”attendibilità scientifica dei modelli previsionali diminuisce, il loro “peso politico” aumenti?

La risposta a queste domande la si trova affrontando il secondo quesito: come si misurano gli effetti dei “provvedimenti di riforma”?

Abbiamo visto durante il parto della cosiddetta riforma del lavoro come la ministra Fornero doveva arrampicarsi sugli specchi per rispondere a una semplice domanda dei sindacati: perchè facilitare i licenziamenti aumenta l”occupazione e favorisce la crescita?

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In realtà un perché dimostrabile non c”era e non c”è perché il ragionamento che sta alla base si fonda su un assunto “ideologico”: se un datore di lavoro può licenziare più facilmente sarà più propenso ad assumere e, se assume, aumentano produzione e produttività.

Ma a chi obiettava che questa relazione non si può dimostrare, la risposta era pazientate, vedrete. Qui si può tornare al nostro ragionamento sulle previsioni.

Esse, quelle dell”Fmi e quelle della Ernst&Young, assumono le politiche di “riforme strutturali” come portatrici di maggiore competitività e di risanamento finanziario, e si sforzano di “quantificarne” gli effetti. È il loro lavoro e lo fanno con gli strumenti di cui dispongono.

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Ma anche qui va precisato che non esistono algoritmi che misurino gli effetti della licenziabilità sulla competitività e sullo sviluppo e che gli scenari che si costruiscono con questi assunti sono influenzati da valutazioni soggettive e fortemente aleatorie.

Avrebbe senso, perciò, dire che possono avere una certa attendibilità le previsioni a brevissimo termine, mesi e al massimo un anno, ma che quelle che vanno oltre hanno un”attendibilità vicina allo zero.

Solo che l”intreccio tra politica e tecnocrazia che si è creato produce una spirale perversa: i tecnici dettano le cose da fare ai politici e se i risultati non si vedono li incoraggiano prevedendo che verranno e invitandoli a proseguire; i politici traggono così coraggio e si autolegittimano dicendo: vedete che i tecnici ci dicono di andare avanti perché dopo le cose andranno bene?

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Insomma è sempre più chiaro che tecnici e politici si sostengono a vicenda.

Ma la realtà è che lo spread aumenta, che tutti i fondamentali non danno segni di miglioramento e che man mano che il tempo passa, le previsioni si fanno sempre più pessimistiche.

Sarebbe ora, perciò, di chiedersi: perché a quasi cinque anni dalla esplosione della crisi e dopo tanti e pesanti interventi le cose non migliorano?

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Per trovare una risposta a questa domanda occorrrebbe un vero e proprio capovolgimento di ruoli: la politica dovrebbe fare uno scatto di autonomia e chiedere conto ai tecnici del perché i tanti interventi non hanno prodotto i risultati attesi.

La politica dovrebbe dotarsi di un”analisi autonoma delle origini e della natura della crisi, riconoscere che se l”origine della crisi è una bolla speculativa e se per tamponarla si è fatto ricorso a debito pubblico, in una fase di stagnazione economica che non genera risparmio, la soluzione non può stare in una perenne austerità, ma nella regolamentazione dei mercati finanziari e nell”addossare anche alle banche il peso del riequilibrio.

E se la crisi di liquidità crea una rincorsa ai titoli degli stati forti mettendo ulteriormente in difficoltà i paesi con un elevato indebitamento, in Europa l”unica via di uscita dalla crisi sta nel farsi carico a livello europeo delle eccedenze di debito oltre una certa soglia.

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Insomma il problema del debito non si può affrontare restandone prigionieri, ma andando alla radice della crisi, neutralizzando la speculazione e dando anche tempi ragionevoli per poter mettere mano alla spesa pubblica, magari cominciando in ordine alfabetico dalle voci Afghanistan e Armamenti.

Se non si fa questo e si continuano a utilizzare gli scenari previsionali per proseguire in politiche che si dimostrano essere fallimentari, un solo scenario rischia di avverarsi: nei prossimi mesi l”attacco finanziario continuerà, saremo costretti a ricorrere al salvataggio europeo e dovremo accettare le condizioni che verranno poste; dovremo perciò proseguire nella politica di austerità e, siccome questa sicurezza ai mercati la può dare solo chi questa politica l”ha iniziata, dovremo assicurare che proseguiremo nella stessa direzione e con la stessa guida.

E così il giro è concluso: i mercati ci hanno fatto liberare di Berlusconi e scegliere Monti, adesso ci imporranno di proseguire con Monti, magari riutilizzando lo spauracchio del vecchio istrione.

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(30 luglio 2012)

Fonte: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Scenari-economici-e-scemari-politici-14399

 

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