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Anni fa, sfogliando un interessante libro sulla decrescita, trovai tra gli scritti che lo componevano un saggio di uno psicoanalista francese che lasciava ben intendere quale fosse la posta in gioco nel ripensamento dei nostri stili di vita. L”autore parlava, in quelle righe, della necessità di stabilire un nuovo rapporto con il desiderio, mettendo in guardia chiunque pensasse di promuovere politiche di decrescita senza aver compreso adeguatamente la struttura profonda del desiderio umano. Credo a tutt”oggi che questo lavoro di analisi e di consapevolezza sia stato poco sviluppato e meriti, di conseguenza, tutta la nostra attenzione. Ritengo infatti che solo affrontando le dinamiche del desiderio sia possibile comprendere il potere pervasivo dell”odierna cultura votata alla crescita infinita. Lavorare su questi temi è prioritario per chiunque voglia costruire nel tempo una nuova egemonia che metta in discussione il discorso autoreferenziale della società dello spettacolo.  Per prima cosa sarà bene ricordare che l”uomo è un animale assai particolare, la cui eredità filogenetica risente potentemente delle influenze ambientali presenti in un determinato periodo storico; in tal senso possiamo dire che la cultura è per l”uomo una vera e propria “seconda natura”.
Difatti la carenza di una guida istintuale forte e vincolante fa sì che l”essere umano lotti per la sopravvivenza facendo leva su apprendimenti complessi e su continue e graduali trasformazioni dell”esistente.
Questa novità evolutiva la dobbiamo alla nostra rilevante plasticità cerebrale e al processo di imitazione/invenzione che ci caratterizza come animali integralmente sociali.
La doppia natura dell”uomo (biologica e culturale) ha affiancato ad un sistema di bisogni ben identificabili – protezione, nutrimento, sicurezza, contatto, amore, … – la dimensione più misteriosa e indeterminata del desiderio. Ciò che perturba, nel desiderio, è la sua ambivalenza originaria; in esso infatti riscontriamo la convivenza di una mancanza incolmabile e di un”eccedenza immaginativa che rende alquanto difficile (se non impossibile) il raggiungimento di un autentico e definitivo appagamento. In altre parole: una sete di infinito abita tutti i membri della nostra specie, ferme restando le numerose variabili individuali.
Credere quindi che il desiderio umano coincida con la “semplice” soddisfazione dei suoi bisogni vuol dire non aver colto adeguatamente lo iato che ci separa dagli altri animali che condividono con noi la loro vita sul pianeta. Qui, di sfuggita, è bene ricordare che questa differenza qualitativa non va necessariamente imputata ad un disegno trascendente, rimanendo pienamente interpretabile all”interno delle coordinate naturali dell”evoluzione biologica. Comunque, tornando all”argomento principale di questo scritto, possiamo dire che l”impossibilità di colmare definitivamente la misura del desiderio è qualcosa che il capitalismo ha compreso dai suoi albori, sebbene per secoli la febbre relativa all”accumulazione di beni e denaro sia stata contrappesata da valori collettivi improntati al risparmio e all”etica del lavoro. Dagli anni ”60 del secolo scorso, in risposta alle nuove esigenze di accumulazione delle classi dominanti, abbiamo assistito allo sdoganamento completo del desiderio (Romano Mà dera parla di “licitazionismo” per definire questo cambiamento epocale che segna il tramonto definitivo del patriarcato e dei suoi divieti, ormai superati dai mutamenti vertiginosi del sistema produttivo-economico e dalla diffusione massiva dei mezzi di comunicazione di massa).
Oggi desiderare sempre di più e non accontentarsi di ciò che si ha e si è, non solo è diventato lecito ma persino obbligatorio!
La pubblicità ce lo dimostra saturando ogni intercapedine della nostra esistenza, modellando gusti e scelte di consumo, inducendo – insomma – bisogni artificiali ampiamente scollegati dalle normali esigenze dell”organismo. Ma questo è risaputo e non aggiunge molto alla riflessione che stiamo articolando. Più sorprendente, invece, è il fatto che spesso anche i critici più intransigenti nei confronti dell”attuale sistema economico e sociale non si accorgano di quanti aspetti profondi della vita umana siano messi in gioco dal “consumo”.
Qui dobbiamo dotarci di uno sguardo che, senza fermarsi alla superficie del problema, esplori la natura polimorfa del desiderio. Quest”ultimo, abbiamo visto precedentemente, non ha in sé la capacità di fermarsi su un solo oggetto, di acquietarsi nel possesso di qualcosa o, meglio ancora, di un bene qualunque che sia una “cosa”. Il reiterato meccanismo di desiderio e frustrazione prodotto dal marketing e dall”obsolescenza programmata delle merci, si nutre come un cancro di questa dismisura potenziale e la espande volontariamente, illudendo la persona che in un futuro sempre prossimo e mai presente potrà finalmente trovare pace e appagamento.
Ma la rincorsa verso nuovi oggetti del piacere è per sua natura destinata a replicare il fallimento, lasciando il desiderio incompiuto e sospeso. Ciò genera, evidentemente, un eccitamento perpetuo che, moltiplicando l”insoddisfazione, spinge milioni di individui ad accumulare esperienze e merci con la speranza, un giorno, di trovare un qualche sollievo duraturo.
Come uscire, quindi, da questo ingranaggio mostruoso e seducente al tempo stesso?
Pur provenendo da scuole teoriche e percorsi umani diversi, ci aiutano a rispondere alla domanda due psicoanalisti molto apprezzati in Italia e all”estero: Massimo Recalcati (lacaniano, autore fra gli altri dell”ottimo libro “Ritratti del desiderio“, 2012) e il già citato Romano Mà dera (analista filosofo di estrazione junghiana, autore di opere quali “L”animale visionario“, 1999, e “La carta del senso“, 2013).
Per entrambi esistono almeno due vie che permettono all”uomo di godere del proprio desiderio senza approdare ad esiti distruttivi.
La prima riguarda il riconoscimento reciproco del desiderio, la seconda il desiderio di Altrove o di Senso che schiude l”anima dell”uomo all”incontro con il sacro.
Il desiderio, in fondo, è alla continua ricerca di se stesso nell”Altro e attraverso l”Altro.
La sua spinta originaria non può placarsi nel solipsismo del possesso, non c”è oggetto animato o inanimato che possa soddisfarlo a lungo.
Tutto ciò è ancora più chiaro quando ci rivolgiamo al desiderio di Senso ovvero alla sete infinita che ci costringe ad errare (nel senso di vagare, ma anche di sbagliare ripetutamente) per raggiungere un contatto profondo con la sorgente viva della Realtà (alcuni direbbero con Dio).
Come suggerisce Mà dera «Il desiderio non può acquietarsi in oggetti parziali, inadeguati alla sua potenza sempre originante, ma non può neppure essere dismesso, poiché è proprio sul desiderio che si appoggia ogni superamento dei desideri parziali. La figura simbologica che trasfigura entrambe queste vie negative è il riconoscimento che il desiderio infinitamente aperto possa riposare nella sua stessa infinita apertura, cioè che il desiderio giunga a desiderare se stesso, oltre qualsiasi suo oggetto». Ecco dunque il cuore della questione, senza la comprensione del quale siamo destinati a lasciare in mano al Mercato e al dio Denaro la passione per l”infinito dell”uomo, ormai ridotta a banalissima coazione a ripetere.
Queste brevi note vogliono ricordare, a tutti coloro che intendono lavorare per una rivoluzione culturale che contribuisca a superare il dogma della crescita e dell”accumulazione economica, la necessità di far convergere sempre di più le loro iniziative formative, culturali e politiche verso un”idea di convivenza umana che sappia alimentare la dinamica positiva del desiderio, indebolendo in tal modo l”angosciante circuito del desiderio malato che abbiamo sopra descritto. Per far questo sarà indispensabile perseguire, a tutti i livelli della società , tre obiettivi prioritari, fra loro interconnessi:
- redistribuire la ricchezza in modo tale che tutti gli esseri umani possano soddisfare pienamente i bisogni elementari di sopravvivenza e sicurezza umana (cibo, acqua, prevenzione e cure mediche, protezione dal freddo, dalla povertà e dall”insicurezza lavorativa, educazione scolastica, pace, salubrità dell”ambiente);
- diffondere una pedagogia che, dalle scuole Primarie fino almeno alle Superiori, preveda momenti dedicati all”alfabetizzazione emotiva, alla comunicazione empatica e all”educazione ai Media: una vera cultura, insomma, del riconoscimento reciproco e della solidarietà ;
- promuovere in tutte le sedi opportune il dialogo interreligioso e il dialogo tra credenti e non credenti, al fine di recuperare il senso di un comune destino che unisce tutti gli esseri umani, al di là delle singole credenze e differenze di culto.
Queste sono le premesse, forse non sufficienti ma certo necessarie, per preparare la transizione ad una società alternativa capace di decrescere negli sprechi e nell”iperconsumo di risorse naturali, ma ancor più di crescere sul versante della gioia, dell”amore e del ben-vivere.
Su questi punti, in fondo semplici e non lontani dallo spirito della Dichiarazione Universale dei Diritti dell”Uomo, potrebbero crearsi inaspettate convergenze tra soggetti anche molto diversi fra loro, un po” come accadde per la stesura della nostra bellissima Costituzione Italiana.
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