di Ugo Bardi – Il Fatto Quotidiano.
Margaret Thatcher si è meritata il titolo di “Lady di Ferro†per via del suo stile come primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990. Ma pochi hanno notato come la sua rapida ascesa abbia coinciso con l’altrettanto rapida ascesa della produzione petrolifera del Mare del Nord. A partire dalla metà degli anni 1970s, nel pieno della crisi petrolifera che era cominciata nel 1971, l’Inghilterra e altri paesi che avevano una sponda sul Mare del Nord davano inizio a un vero e proprio “boom†petrolifero che, insieme a quello dell’Arabia Saudita, avrebbe poi generato il crollo dei prezzi e la percezione generale che risorse petrolifere globali erano abbondanti e sarebbero durate ancora molto a lungo. (Salvo poi la doccia fredda del nuovo millennio, ma questa è un’altra storia). Il periodo di Margaret Thatcher ha coinciso con la fase in cui il suo paese si trovava in una condizione particolarmente favorevole: un paese industrializzato che, quasi all’improvviso, si trovava a non dover pagare più la bolletta petrolifera a fornitori esteri ma, al contrario, si trovava in attivo e non di poco. l’Inghilterra era diventata una specie di Arabia Saudita del Nord Europa e l’economia andava a gonfie vele.
Così, Lady Thatcher ha vinto una battaglia dopo l’altra sfruttando il petrolio e la crescita economica che ne derivava. Per esempio, le è stato facile stroncare i sindacati dei minatori di carbone, già profondamente indeboliti dal declino delle produzione carbonifera e che si sono trovati completamente fuori mercato con l’arrivo del petrolio del Mare del Nord. A livello internazionale, la Thatcher si è potuta permettere una guerra vittoriosa contro l’Argentina senza mandare il paese in bancarotta. Gira anche la leggenda che sia stata lei, in combutta con i Sauditi, a dare il colpo decisivo alla già traballante Unione Sovietica facendo abbassare i prezzi del petrolio. Non sappiamo se sia vero, ma è certo che la produzione del Mare del Nord ha inondato il mercato mondiale con una gran quantità di greggio a basso prezzo e questo ha privato i sovietici della valuta forte che gli arrivava dalle loro esportazioni di petrolio.
Di questi successi, l’interpretazione comune è stata che fossero dovuti tutti all’ideologia ultra-liberistica della ferrigna signora. E’ un eredità che dura ancora oggi; tanto e vero che qui in Italia stiamo disperatamente cercando di applicare la stessa ricetta per toglierci dai guai. Ma, per qualche ragione, non funziona: più cerchiamo di far crescere l’economia liberalizzandola, peggio le cose vanno. Per forza: noi non esportiamo petrolio; anzi, l’anno scorso abbiamo importato energia, in gran parte fossile, per un totale di 66 miliardi di euro. Con una palla al piede del genere, c’è poco da stupirsi se le cose vanno male e poco da ammirare le ricette della Thatcher che si applicavano a un paese la cui economia era resa florida dalle esportazioni petrolifere.
Anche in Inghilterra, l’epoca delle vacche grasse è finita da un pezzo. Dopo il picco del 1999, la produzione petrolifera è in crollo verticale. Dal 2006, il Regno Unito è di nuovo un paese importatore di petrolio e non è che l’economia vada molto meglio che da noi. La signora di ferro, più che altro, era una signora di petrolio. Finché è durato.