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di Bruno Amoroso.
Consegnamo ai lettori un recente contributo di Bruno Amoroso.
Dopo un”analisi del percorso che ha condotto alla nascita della moneta
unica, quindi del perché essa ha contribuito a esplosivi squilibri,
Amoroso passa in rassegna le soluzioni possibili, che tutte conducono
alla riconsegna ai singoli paesi della loro sovranità monetaria. Una
riconquista, tuttavia non fine a se stessa, ma funzionale a contrastare
il processo di globalizzazione.
Il
dibattito sull’euro, sul quale molto è stato detto e scritto, resta
incollato ad alcune contrapposizioni che non hanno alcuna base reale, né
nei fatti storici né nei dati empirici.
Euro o caos politico e istituzionale
nel progetto europeo, quando è ormai un fatto acquisito che l’euro è la
causa prima dell’attuale situazione di stallo e di crisi del progetto
europeo. Questo per due ragioni. La prima è che la moneta unica
introdotta in alcuni paesi per ragioni di compromesso e opportunitÃ
politica tra due stati europei, la Germania e la Francia, ha introdotto
una divisione tra gli Stati membri dell’UE – tra i 17 dell’eurozona e i
10 che hanno conservato le monete nazionali – arrestando così quello che
era e poteva essere il processo graduale di una ever closer union.
La seconda è che l’auspicato processo di avanzamento verso forme più
strette di cooperazione politica e istituzionale tra gli Stati membri è
stato interrotto e compromesso proprio a causa dell’impopolarità , e
quindi della delegittimazione di entrambi, prodotta dagli orientamenti
neoliberisti delle politiche imposte dalla Troika, cioè dalla BCE, dal
FMI e dalla CE come dimostrato dai referendum popolari in Francia,
Danimarca, e dalla loro crescente impopolarità .
Euro o crisi economica e sociale, quando
noi siamo dentro la più grave crisi economica e sociale del dopoguerra
della quale l’euro è divenuto uno degli strumenti che paralizzano le
possibilità di risposta e di politiche economiche diverse.
Gli effetti
della crisi prodotta dall’euro e dal sistema di poteri
che questo esprime hanno aggiunto un’ulteriore divisione tra gli Stati
membri dell’UE, quella tra nord e sud dell’eurozona. Gli eventi
dell’ultimo decennio, per ciò che si è fatto e che non si vuol fare,
mettono in evidenza che non si tratta di politiche sbagliate o di
passaggi necessari verso una maggiore efficienza dei mercati e una
ripresa dei sistemi economici dei paesi del sud, ma di una vera e
propria attività di rapina dei risparmi dei cittadini europei e di
esproprio dei sistemi produttivi dei paesi del sud. Il successo ottenuto
da queste politiche nel raggiungimento degli obiettivi perseguiti è
dimostrato dal fatto che nessuna modifica è stata apportata alle
politiche e al sistema di potere che ha causato la crisi, e che
provvedimenti nella stessa direzione sono stati messi in atto nel corso
degli ultimi mesi in preparazione di una nuova rapina nel prossimo
autunno. Come documentato nell’indagine ufficiale statunitense sulle
cause e la responsabilità della crisi del 2008 (Financial Crisis Inquiry
Commission, Financial Crisis Inquiry Report, 2011) non si è
trattato di avidità personale e corruzione, ma del fatto che, come
scrive il Rapporto, dagli anni Ottanta sono state rimosse gradualmente
tutte le forme di regolamentazione introdotte dopo la crisi degli anni
Trenta senza introdurne di nuove. Oltre alle responsabilità del
direttore generale della FED Alan Greensplan che realizzò le idee
neoliberiste rimuovendo ogni controllo, il Rapporto attribuisce le
maggiori respnsabilità agli istituti di rating (Moodys, Standard &
Poor og Fitch) che valutarono a pieni voti (AAA) i nuovi strumenti
finanziari e crediti dubbiosi alimentando così la loro attrazione e
legittimità verso I risparmiatori e i fondi pensione. Al contrario degli
Stati Uniti, né l’Italia né l’Unione Europea hanno mai investigato
quegli stessi eventi e i responsabili sono anzi stati promossi a
incarichi di governo e al vertice BCE.
Euro come base per un’alleanza sociale, e per nuove politiche economiche di ripresa e innovazione dei sistemi produttivi (eurobonus, Tobin tax
o altri simili strumenti). Proposte tutte ben documentate e discusse
ma puntualmente respinte o rielaborate per renderle impotenti, il che
dimostra la loro inconciliabilità con le politiche monetarie perseguite.
Al contrario, l’euro ha introdotto una divisione tra paesi e tra gruppi
sociali diversi che si è cementata con il diffondersi di una cultura che
trova la sua più velenosa espressione nel “noi non siamo come i greciâ€,
“l’Italia è superiore alla Spagnaâ€, ecc. La concorrenza sullo spread e sul rating
ha introdotto un elemento di divisione tra Stati che tende a diventare
un elemento fondamentale del sentire comune. Questo è stato fatto
invece di unire i popoli dell’Europa del sud in un’opposizione e in un
fronte politico comune per imporre ai paesi dell’euro nord una nuova
negoziazione che rimetta sui binari il processo d’integrazione europea e
tornando anche a un sistema monetario unico dei 27 paesi dell’UE.
Le ragioni del continuo riproporsi di queste contrapposizioni e false
alternative sono diverse. Tra queste la più comune, a mio avviso, è la
confusione che si fa tra processi reali e processi istituzionali, mentre
la distanza tra i primi e i secondi, in modo particolare nell’Unione
Europea, è enorme e paradigmatica. Esiste un percorso evolutivo di
pensiero nell’Unione Europea intorno all’idea del modello sociale
europeo (coesione sociale interna negli Stati e tra Stati), e della
cooperazione economica e pacifica con altri grandi aree e meso-regioni
(co-sviluppo) proclamato e continuamente riaffermato ma a fronte di una
realtà politica e istituzionale che questi obiettivi contraddice e
combatte. L’affermazione continua di democrazia e di diritti dei quali
sono pieni i trattati e documenti dell’UE non ha alcun riscontro nelle
scelte politiche e istituzionali adottate da Maastricht in poi. Dopo
l’89 i ben noti “deficit democraticoâ€, “deficit socialeâ€, “deficit
strutturale†dell’UE si sono aggravati e organicamente inseriti nelle
nuove configurazioni della governance europea. Tuttavia le
dichiarazioni sono potenti armi di distrazione di massa che consentono
ai sindacati e ai governi di portare a casa principi e diritti ai quali
fanno puntualmente seguito decisioni contrarie che hanno ridotto sia i
primi sia i secondi al ruolo di valletti del potere. In parallelo questo
alimenta la cultura dei principi e dei diritti che tiene occupate le
accademie con sofisticate elaborazioni giuridiche e di “scienza†sociale
e mobilita sul nulla gran parte dei movimenti della società civile.
Il sistema monetario europeo (SME)
Gli eventi successivi al 2008 hanno diffuso la convinzione, o almeno il
sospetto, che l’Unione Economica e Monetaria istituita nel 1999 sia
stata costruita su premesse sbagliate e su un numero troppo
ampio di paesi.
I 17 paesi dell’eurozona hanno differenze troppo forti
nelle loro strutture economiche e preferenze politiche che impediscono
di trarre vantaggio da una moneta comune. Al contrario, si accrescono le
differenze tra i paesi partecipanti come mostra con tutta chiarezza
l’aumento della disoccupazione e il declino dei sistemi produttivi
d’interi paesi e aree. Poiché al centro dell’attenzione ci sono i
sistemi monetari è opportuno ripercorrere brevemente questo percorso
storico.
Il sistema monetario in vigore in Europa nel secondo dopoguerra era
quello deciso dagli Accordi di Bretton Wood (1944) e rimasto in vigore
fino al 1971. Il sistema prevedeva un corso fisso con ridotte
possibilità di variazione per le monete nazionali. Fu la decisione degli
Stati Uniti nel 1971 di sganciare il valore del dollaro dall’oro, al
quale facevano riferimento anche gli Stati europei, che spinse i paesi
della Comunità Europea a istituire un sistema monetario europeo basato
su una cooperazione tra valute nazionali.
Nacque così il Sistema Monetario Europeo (SME), detto anche Serpente
Monetario Europeo, con una rapporto di cambio fisso e limitata
possibilità di variazione delle valute nazionali (-/+ 2 ? %). Il
sistema, in vigore dal 1971, fu aggiornato con l’introduzione di un
nuovo meccanismo di cambio valutario (ERM2) nel 1979. La fissazione del
corso fisso non impedisce ovviamente la possibilità di rinegoziare
questo rapporto sia verso i singoli paesi sia le autorità centrali
monetarie. La ragione di questi aggiustamenti è che si rendono necessari
al variare delle condizioni di concorrenza dei sistemi produttivi e
quindi una revisione semestrale è raccomandabile. Il limite rivelatosi
con il primo serpente monetario (ERM1) fu quello che gli aggiustamenti
dei corsi valutari non avveniva a brevi intervalli e che il margine di
variazione consentito (-/+ 2 ? /%) era troppo limitato. Questo dette
spazio alla speculazione di inserirsi in queste rigidità imponendo così
rapporti reali di cambio maggiori di quelli previsti, come avvenne nel
1992 quando George Soros costrinse la Gran Bretagna e l’Italia a uscire
dal serpente monetario. In conseguenza di questa crisi lo SME fu
rinegoziato consentendo ai singoli Stati una più rapida reazione
nell’aggiustamento dei corsi di cambio in caso di crisi valutaria e
accrescendo il margine di variazione consentito del -/+ 15% (ERM2)
rispetto al cambio concordato.
L’ERM2 è rimasto in vigore fino al 1999 e con risultati positivi per le
economie e la Comunità Europea. L’introduzione dell’euro nel 1999 ha
modificato questo sistema costituito oggi da 11 valute: le 10 valute
nazionali e l’euro adottato da 17 paesi. Questo ha introdotto in tutto
il sistema fattori di rigidità nei cambi con conseguenze negative per le
singole economie e, per i paesi dell’eurozona in particolare, la
perdita di autonomia nelle politiche economiche sancite nei vari
trattati (Fiscal Compact, Patto di Stabilità , ecc.). L’incapacità dei
paesi europei di reagire alle conseguenze della crisi del 2008 ha
origine in questo sistema divenuto una camicia di forza per i singoli
paesi e la stessa UE.
Il buon senso dimostrato nelle precedenti occasioni suggerirebbe una
reintroduzione dell’ERM3 con alcune integrazioni. Non c’è dubbio infatti
che il margine di variazione previsto del -/+15% consentirebbe ai
singoli paesi di difendersi verso le speculazioni. Inoltre, si potrebbe
inserire una regola che obblighi i paesi con surplus nella bilancia dei
pagamenti (Germania, Olanda, ecc.) a rivalutare la loro moneta il che
può avvenire in varie forme tra cui il versamento di una quota (50%) del
loro surplus a un Fondo europeo di solidarietà .
Politica ed economia nell’UE
La descrizione sin qui fatta e le conclusioni tratte corrispondono al
contenuto essenziale delle varie proposte presentate in tal senso da
economisti e movimenti. Il solo scopo è quello di ricordare che le proposte
alternative e di buon senso esistono e che potrebbe aiutare a rimediare
al clamoroso passo falso fatto con l’introduzione affrettata dell’euro.
Resta allora da interrogarsi del perché la ripresa di un percorso di
aggiustamenti graduali del sistema monetario europeo fatto durante i
decenni appaia oggi impossibile e si scontri contro il macigno chiamato
euro.
Il problema, a mio avviso, non risiede nell’assenza di proposte credibili e alternative, come molti keynesiani
continuano a credere cercando di affinare i loro modelli di analisi e
le loro proposte e proponendosi come improbabili mediatori, ma nel fatto
che un’autocritica degli economisti e delle istituzioni europee non può
avvenire perché questi ritengono a ragione di non avere nulla da
rimproverarsi. Il meccanismo messo in moto con l’euro è l’atto finale di
una riforma dei sistemi finanziati e bancari, e della trasformazione
del modo di produzione capitalistico introdotta con la Globalizzazione,
che ha potentemente contributo alla creazione di un nuovo potere in
Europa affermatosi con grande successo. Sono riusciti in pochi decenni a
mettere fuori gioco ogni forma di pensiero e di politica sociale e di
riforma dei sistemi europei, ricostruendo un sistema di produzione e di
finanza sostenibile che sorregge il nuovo modello di economia introdotto
con la Globalizzazione dagli anni Settanta. Cioè un modello di
“apartheid globale†la cui sostenibilità è data dalla coraggiosa
restrizione delle aree e delle persone da includere nel modello di
società e economia previsto. Dal Welfare al Warfare, passando per il Workfare, come illustrato nella letteratura degli ultimi decenni.
Il discorso, quindi, si sposta inevitabilmente sul terreno delle forze
sociali e politiche che possono mettere in moto la ripresa di richiesta
di un diverso progetto europeo basato sulla pace e sulla solidarietà . Il
punto di partenza è rappresentato dalla divisione oggi esistente tra
nord e sud dell’eurozona risultato delle politiche della Troika e della governance europea.
Come ricreare un blocco politico e sociale che ristabilisca un dialogo
tra queste due zone euro e capace quindi di contrastare i centri del
potere finanziario e militare di cui la Troika è espressione? Movimenti
sociali di reazione a queste politiche esistono oggi nei paesi del sud:
Movimento 5 stelle in Italia, Indignatos in Spagna, Syriza in Grecia,
ecc.. Espressioni visibili di un malessere sociale e di una richiesta di
cambiamento molto più ampia che deve comprendere per intero la
riscrittura dei Trattati europei da Maastricht in poi.
Superare la divisione nazionale di questi movimenti, creare una proposta
politica per una nuova Europa che parta dalla più stretta cooperazione
dei paesi del sud, e riconquistare gli spazi della cosa pubblica e del
potere politico per un asse sud europeo capace di imporre una
rinegoziazione con i paesi dell’area nord dell’euro. L’eurozona ha due
elementi centrali: il mercato unico e la moneta. Entrambi vanno
rinegoziati imponendo un sistema sulle linee indicate nel punto
precedente. Il risultato più probabile di questa situazione potrebbe
essere l’uscita della Germania e affiliati dalla zona euro prospettiva
peraltro già ventilata; ma se questi paesi restano nell’UE si può
tornare a forme di cooperazione monetaria del tipo indicato (ERM3). I
paesi dell’Europa del sud potrebbero partecipare a questo sistema
mantenendo strutture di rappresentanza politica e con monete nazionali,
in linea con quanto fanno oggi i paesi dell’UE fuori dell’eurozona,
oppure iniziando in modo autonomo un processo di cooperazione economica e
politica che possa fare da modello a tutti gli altri paesi europei: un
modello di cooperazione democratica e di economia sociale.
Di entrambi le soluzioni esistono precedenti significativi. L’Irlanda,
già parte dell’area monetaria della sterlina, se ne è distaccata e
successivamente è entrata a far parte della zona euro senza disastri
economici o guerre civili ma mediante un processo di negoziazione
possibile e attuato. Un paese dell’UE, la Cecoslovacchia, ha scelto di
dividersi in due entità nazionali distinte e con due monete nazionali
diverse. Entrambi gli Stati sono rimasti nell’UE, e l’introduzione di
due monete nazionali non ha significato flagelli e disastri. Per questo
chi preannuncia tempesta in caso di modifiche dei sistemi monetari o si
reintroduzione di valute nazionali fa solo del terrorismo politico per
affermare principi che non hanno altrimenti alcuna consistenza. Lo
stesso si può affermare quando si auspica il costituirsi di un’area di
più avanzata cooperazione tra i paesi dell’Europa del sud. Esempi simili
già esistono come dimostra sia l’esistenza di un asse tedesco
comprendente Germania, Olanda, Austria e Finlandia, sia la cooperazione
dei paesi Baltici. Inoltre la ricostruzione di aree omogenee dentro il
quadro dell’Europa deve costituire la linea rossa di una ricostruzione
del progetto europeo su basi confederali tra le quattro maggiori aree
europee (Paesi nordici, Europa occidentale, Europa Centrale e Europa
Mediterranea). Questo allontanerebbe dall’Europa le nuvole nere della Globalizzazione
e della centralizzazione dei poteri da questa espressi. Le forme
monetarie di questa cooperazione dovranno essere funzionali a questo
progetto, politicamente dipendenti da questo e dalle scelte dei singoli
paesi e aree.
Tratto da: http://www.sinistrainrete.info/europa/3085-bruno-amoroso-i-falsi-dilemmi.html.
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