Basta tasse: come trovare, gratis, 70mld€ l'anno

Ripartire risparmiando fino a 70 mld € l’anno.
Soluzione? Nell’art.123 del Trattato sul Funzionamento UE. Il governo può creare una banca statale che finanzi il debito.

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15 Marzo 2014 - 14.04


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di Giovanni Zibordi e Claudio
Bertoni

sintesi a cura di
libreidee.org
dell’intervento “Il debito pubblico è un problema di interessi,
non di deficit eccessivi e si può risolvere”, ripreso dal blog
di
Marco
Della Luna
.

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Possiamo far ripartire l’economia
risparmiando fino a
70 miliardi di euro
l’anno.

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Il governo può creare una banca di
proprietà statale
che lo finanzi.

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Il sistema è semplice: la Bce
crea il denaro e lo presta alla banca pubblica allo 0,25% e la banca
pubblica lo presta allo Stato a tassi di interesse nettamente
inferiori all’attuale 4%.

Lo abbiamo chiesto all’Unione Europea
e il 14 gennaio 2014 abbiamo ricevuto la risposta. Si può fare.

Ecco i dettagli tecnici e la
corrispondenza con la Bce.

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L’immagine che ognuno di noi ha
dell’Italia è di un paese in cui “non ci sono soldi” e
la spiegazione che ci viene fornita è che i governi da decenni
spendono di più di quello che incassano, per cui l’accumulo dei
deficit pubblici cronici ha creato un enorme debito rendendo
necessaria l’austerità.

In realtà, la causa dell’elevato
debito pubblico
, attualmente
di circa 2.100 miliardi
, sta nel fatto che negli ultimi trenta
anni lo Stato italiano ha pagato più di 3.000 miliardi di
interessi
.

La soluzione del problema è
quindi ridurre il costo degli interessi sul debito ad un
livello pari o inferiore all’inflazione, come accade in Gran
Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Cina o come si faceva anche in
Italia fino al 1981.

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Il problema
del debito pubblico non è, quindi, un problema di deficit eccessivi,
ma di interessi eccessivi
: ce lo dicono i dati. Basta
notare che dal 1992-1993 le spese delle Stato in Italia sono sempre
inferiori alle entrate e addirittura, se guardiamo alla situazione
attuale nel mondo, l’Italia è oggi il paese in cui lo Stato ha
il surplus di bilancio più alto!
Il debito pubblico italiano è
esploso di colpo tra il 1982 al 1993, quando la spesa per interessi
passò da 35 a 156 miliardi (traslando le lire di allora in euro di
oggi).

Si può quindi sostenere che, a parità
(presumibilmente) di sprechi e corruzione, il debito pubblico è
raddoppiato in percentuale del Pil a causa della spesa per interessi.

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I deficit annui (differenza tra
spese ed entrate) hanno oscillato intorno ad una media di 40 miliardi
annui e in percentuale del Pil hanno oscillato dal 3% al 7%, ma la
spesa per interessi è raddoppiata in quattro anni, dai 35 miliardi
del 1980 ai 69,8 miliardi del 1984 e di nuovo è raddoppiata a 142
miliardi nel 1991 per toccare un picco a 157 miliardi nel 1992. Dal
1992 lo Stato italiano ha applicato politiche di austerità, cioè di
aumento delle tasse, aumentando le sue entrate in modo da avere
sempre un avanzo di bilancio (differenza tra spese ed entrate prima
degli interessi). Nonostante più di venti anni di politiche di
austerità, cioè di imposizione fiscale crescente iniziate con i
governi Ciampi e Dini nei primi anni ’90, lo Stato non è poi
più riuscito a ridurre il debito
pubblico a causa della
“rincorsa” degli interessi che si cumulavano. La ragione
di questa esplosione di spesa per interessi è che nel 1981 è caduto
l’obbligo della Banca d’Italia di comprare debito pubblico
calmierandone gli interessi
(e dal 1989 si è vietato
formalmente
, nel Trattato di Maastricht ogni finanziamento
dello Stato da parte della sua banca centrale).

La “Troika” (Ue, Banca
Centrale Europea e Fondo Monetario) e i governi Monti, Letta e ora
Renzi, non menzionano mai
, però, questo semplice fatto, che il
debito pubblico si è cumulato a causa del fatto che lo Stato è
stato costretto a finanziarsi sul mercato
e quindi pagare
interessi reali elevati, mentre prima usufruiva del finanziamento di
Banca d’Italia che ne riduceva il costo ad un livello pari o
inferiori all’inflazione e quindi il debito non si accumulava (in
percentuale sul Pil). In aggiunta, come molti sanno, con l’euro
circa metà dei Btp sono stati comprati da investitori esteri, per
cui almeno metà degli interessi pagati sono usciti dalla nostra
economia
(a differenza di quanto avveniva fino a metà anni ’90).

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Detto in parole semplici, lo Stato
italiano
è stato obbligato a farsi prestare denaro a costi di
interessi dettati dalle banche estere (diciamo dal mercato
finanziario estero
), quando invece avrebbe potuto continuare a
farsi finanziare a costo zero dalla Banca d’Italia. Se quindi
eliminiamo questo laccio finanziario che costringe all’austerità
permanente
, l’Italia potrebbe ridurre le tasse in modo
sostanziale e tornare ad essere un paese con un’economia
paragonabile agli altri paesi europei e non un caso quasi disperato
di depressione economica come accade ora.

La soluzione. Lo Stato
italiano può invertire questo meccanismo e da subito
. In
apparenza non sembra possibile farlo senza uscire dall’euro e
rompere i trattati europei perché l’Unione Europea ha vietato alla
Banca Centrale Europea di finanziare l’acquisto diretto di titoli
di Stato e l’unica azione che la Bce può fare è quella di creare
denaro per prestarlo alle banche. È vero che la Bce ha anche
comprato nel 2011-2012 titoli di Stato di paesi in difficoltà, ma
come misura di emergenza e in misura molto limitata perché appunto è
vincolata dai trattati europei (a differenza delle banche centrali
dei paesi anglosassoni e asiatici). La Bce da quando è iniziata la
crisi finanziaria nel 2008 ha però creato (“dal niente” e senza
costi) circa 2,800 miliardi di euro e ha di recente fornito
alle banche più di 1.000 miliardi ad un costo vicino a zero,
usati da queste per comprare titoli di Stato a lunga durata come i
Btp. In pratica le banche italiane hanno ricevuto prestiti ad un
costo inferiore allo 0,5% con cui hanno comprato Btp che rendevano
più del 4%.

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È
evidente che se lo Stato potesse prendere a prestito dalla Bce
lo stesso denaro che ha fornito alle banche a questo tasso,
risparmierebbe decine di miliardi e del famoso “spread”
non si sentirebbe più parlare, ma come sappiamo questa
strada sembra sbarrata, oltre che dall’opposizione dei quattro
paesi nordici, dai trattati europei che l’Italia ha firmato.

In realtà il comma 2 dello stesso
articolo 123 offre una scappatoia agli Stati dell’Eurozona, perché
prevede che gli enti creditizi di proprietà pubblica possano anche
loro ricevere finanziamenti dalla Bce. E poi niente impedisce che
girino questi soldi allo Stato. Uno stato della Ue che controlli enti
creditizi potrebbe farsi finanziare da loro i deficit, pagando un
interesse vicino a quello che la Bce offre, cioè vicino allo zero e
comunque non superiore all’inflazione. L’ideale sarebbe non
continuare ad emettere Btp, ma utilizzare prestiti diretti, ad
esempio a tre anni
, che rispetto all’acquisto di Btp offrono il
vantaggio che il loro valore a bilancio non oscilla di anno in anno a
causa di andamenti di mercato e quindi elimina il problema degli
attacchi speculativi sul Btp
.

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Su un debito pubblico italiano attuale
di circa 2.000 miliardi questo significa arrivare a pagare interessi
per ad esempio 10-20 miliardi annui invece che gli oltre 80 miliardi
attuali. Anche se occorre del tempo perché man mano il debito a
scadenza venga rifinanziato con prestiti diretti di banche pubbliche,
in pratica l’effetto di “calmiere” sul mercato lo
sentiresti da subito, perché il mercato finanziario si renderebbe
conto che lo Stato italiano ha di nuovo accesso diretto alla
liquidità
. In pratica avresti un effetto calmieratore sul costo
del debito simile a quello che ottengono in Giappone, Gran Bretagna,
Stati Uniti con l’accesso diretto alla liquidità della loro banca
centrale. La sostanza è che se il debito pubblico venisse man
mano rifinanziato tramite prestiti diretti di banche pubbliche
(che
hanno accesso al finanziamento della Bce), il suo costo non
verrebbe più determinato dal mercato finanziario
. Si tornerebbe
cioè alla situazione pre-1981, quando il costo del debito pubblico
non era un problema perché era costantemente pari o inferiore
all’inflazione.

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Va sottolineato che non ci sarebbe
alcun rischio per le banche pubbliche, perché lo Stato italiano,
al netto degli interessi, è un ottimo “pagatore”. Infatti
lo Stato italiano sarebbe in attivo negli ultimi 20 anni di 500
miliardi di euro (sempre al netto degli interessi). È chiaro che è
un ottimo cliente per qualsiasi banca e una banca pubblica può
prestare senza fini di lucro
, ad un costo che copra le sue spese
amministrative. Senza contare che prestare allo Stato non è
considerato nei regolamenti bancari europei un rischio che richiede
di accantonare capitale
e di conseguenza è possibile per le
banche prestare 500 o 1.000 miliardi senza dover aumentare di un euro
il loro capitale (cosa dimostrata dal programma di Draghi chiamato
“Ltro” lanciato a fine 2012, in cui appunto le banche hanno
comprato centinaia di miliardi di Btp senza accantonare alcun
capitale addizionale).

Esiste quindi la strada per lo Stato
italiano per arrivare a risparmiare anche 70 miliardi di euro di
interessi all’anno. Abbiamo voluto verificare questa possibilità,
(applicata in Germania e Francia tramite due enti pubblici,
rispettivamente Kfw e Bpi), contattando gli uffici
dell’Unione Europea circa la fattibilità dell’utilizzo di banche
pubbliche per finanziare lo Stato.

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La risposta ricevuta per email (a nome
della Bce) è stata affermativa:

«Il divieto di scoperto bancario e di
altre forme di facilitazione creditizia in favore dei governi non si
applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel
contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali,
devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca
Centrale Europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati».

Inoltre, in riferimento a banche
pubbliche:

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«Gli istituti di credito possono
liberamente prestare i soldi ai governi o comprare i loro titoli di
Stato, nonché prestare soldi a qualsiasi cliente».

È quindi possibile per lo Stato
italiano nazionalizzare una banca, la quale acceda alla
liquidità della Bce e finanzi il suo debito ad un tasso di interesse
appena superiore a quello applicato dalla Bce stessa e in ogni caso
sempre molto inferiore a quello di mercato, che va ricordato è
attualmente superiore del 3% all’inflazione.

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Stiamo
parlando qui di come “trovare” non due o tre miliardi con l’Imu
o qualche privatizzazione o risparmiando sulla sanità, le scuole, le
infrastrutture, ma risparmiando sugli interessi, sulla rendita che da
decenni lo Stato italiano paga a investitori esteri, banche e anche a
investitori italiani.

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Si tratta alla fine di scegliere tra
rendita finanziaria o lavoro e imprese
. La rendita finanziaria ha
incassato in trenta anni dallo Stato, lo ricordiamo ancora, più di
3.000 miliardi di euro di interessi, mentre le imprese e i lavoratori
italiani venivano schiacciati da una tassazione soffocante,
giustificata con il peso del debito pubblico di 2.000 miliardi,
creato dall’accumularsi di questi interessi.

Gli italiani devono rendersi conto che
non è vero che “non si può fare niente” contro il peso del
debito pubblico e delle tasse a causa dei trattati firmati e delle
posizioni degli altri governi all’interno delle istituzioni
europee.

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In realtà, un governo italiano
competente e che abbia a cuore gli interessi degli italiani invece
che del “mercato finanziario” può muoversi anche all’interno
dei trattati europei
. Il nostro, oltre che un articolo, è anche
un appello ai cittadini italiani che trovino convincenti i
fatti che abbiamo esposto e diffondano, ovunque possano, questa
soluzione pratica al problema del debito
, allo scopo di mettere
la parola fine alle politiche di austerità che stanno soffocando
l’economia italiana.

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