di Sergio Cesaratto.
Un mantra con cui politici ed economisti si sciacquano continuamente 
la bocca è quello delle riforme, quelle che “famiglie e imprese ci 
chiedono†e che “ci faranno crescereâ€, come veniamo ammoniti ogni sera 
da esponenti di destra come di sinistra, ora capeggiati da Renzi. 
A tal 
proposito Maurizio Zenezini dell’Università di Trieste – un valoroso 
economista vicino alla tradizione della gloriosa Facoltà di Economia di 
Modena nata sull’intreccio di Sraffa-Keynes e lotte operaie – ha curato 
un prezioso numero di Economia e società regionale (13/2 2013), una rivista legata all’IRES-CGIL veneta, dedicato a “Le riforme e l’illusione della crescita†(una versione più ampia e aggiornata del saggio di Zenezini è disponibile qui.)
Quello che opportunamente Zenezini denomina “riformismo competitivoâ€,
 per distinguerlo dal ben diverso riformismo socialista, altro non 
appare come una copertura allo svuotamento di una vera azione di 
politica economica, questo dovuto sia dal ritorno dell’egemonia di 
teorie solo momentaneamente scalzate dalla rivoluzione keynesiana, che 
dallo spostamento delle decisioni presso gli organismi europei. 
Risulta 
così svuotato ogni esercizio democratico nazionale nelle scelte di 
politica economica: “bloccata, date le caratteristiche del palinsesto 
della politica economica europea, ogni possibilità di significativo 
impiego della politica macroeconomica a sostegno della crescita e della 
domanda, la crescita viene consegnata alle politiche dell’offerta la cui
 efficacia è affidata al funzionamento flessibile dei mercati†(p.5).
 Il
 “patto faustiano†proposto ai lavoratori è fra “sacrificio dei diritti e
 l’impoverimento della democrazia in cambio della crescita†(p.6).
 Ma è 
poi vero che il “riformismo competitivo†porta a maggiore crescita? Gli 
studi presentati nel volume sembrano documentare una risposta in larga 
misura negativa. Così Elena Podrecca nei riguardi delle riforme nel 
mercato dei beni, Laura Chies nei confronti delle riforme del lavoro 
tedesche, Visentin e Gentile su quelle spagnole. 
Nel proprio saggio 
Zenezini esamina con certosina meticolosità le valutazioni quantitative 
sui risultati attesi dalle riforme presentati nei documenti del governo 
italiano (i Piani Nazionali di Riforma allegati al DEF) e dagli 
organismi internazionali ricavandone un quadro desolato di stime che 
dicono tutto e il suo opposto. I modelli impiegati sono, Ã§a va sans dire,
 di stampo neoclassico “in cui vengono inseriti rigidità e frizioni†la 
cui rimozione in seguito alle riforme dovrebbe sortire magici effetti di
 crescita. 
Come al solito il modello racconta quello che gli si è 
insegnato – per cui pluralismo e onestà intellettuale vorrebbero che il 
Ministero dell’Economia impiegasse una pluralità di modelli, per esempio
 anche keynesiani. E come sempre le risultanze quantitative sono così 
sensibili ai valori assegnati ai parametri che “ci troviamo di fronte ad
 esercizi largamente arbitrari che richiedono una certa dose di fede e 
devono fare affidamento sulla credulità degli interlocutori†(p. 100).
L’obiettivo ultimo dell’agitazione riformista nei riguardi del 
mercato del lavoro, neppure tanto simulato, è quello di ridurre il 
potere contrattuale dei lavoratori con l’obiettivo della riduzione di 
salari reali (p.101). 
Il paradosso è che molti risultati anche ufficiali
 mostrano come le riforme abbiano ostacolato la crescita, deprimendo per
 esempio l’aumento della produttività del lavoro. Peraltro le medesime 
fonti ufficiali ammettono che l’Italia già si trova prossima alle 
“migliori pratiche†(cioè a una piena liberalizzazione) ma ciò 
nonostante gli effetti di tali riforme sono “relativamente piccoli†(p. 
106). Ciò nondimeno si continua ad agitare la necessità di “ulteriori 
riforme†per aumentare la flessibilità.
Le riforme del mercato dei beni e servizi sono il cuore ideologico 
del “riformismo competitivo†in quanto pongono al centro il benessere 
del consumatore e non più quello dei lavoratori e delle loro famiglie. 
 Nei fatti, argomenta Zenezini, “le riforme del mercato dei beni e dei 
servizi sono sempre state, almeno in parte, riforme del mercato del 
lavoro en travesti (le privatizzazioni come messi per ridurre 
alla ragione i sindacato delle imprese pubbliche, le liberalizzazioni 
degli orari nei supermercati come occasione di contratti flessibili dei 
commessi)†(p. 107). 
Da dubitare che i salari reali si avvantaggino di 
prezzi più bassi in seguito alla “maggiore concorrenza 
sicch頠“l’argomento che le persone possono essere protette come 
consumatori dopo essere state punite come lavoratori non è molto di più 
di un’offa propagandistica†(ibid).
Impietoso è il giudizio di Zenezini sulle riforme volte a ridurre il 
carico burocratico sulle imprese da cui, nei documenti dei governi 
italiani, ci si ripromettono mirabolanti effetti di crescita definiti 
“scrosci di cifre quasi senza senso†(p. 109). 
“Surreali†sono certe 
stime dell’Ocse per cui gli effetti dei vari pacchetti di riforme 
adottate nel 2010-12 varierebbero fra 0% e 11% del Pil, che è come dire 
“non li conosciamoâ€; ma invece di stare zitta l’Ocse ricorre a 
ragionamenti “metafisici†sostenendo che senza le riforme sarebbe 
comunque andata peggio.
Sarebbe naturalmente sbagliato che la sinistra si presentasse solo 
con dei dinieghi come se tutto in Italia andasse bene. Ma più che di 
riforme il paese sembrerebbe aver bisogno di competenza e spirito civico
 a ogni livello, pubblico e privato, e anche di flessibilità positiva, 
quella che non smantella i diritti ma piuttosto colpisce privilegiati e 
imboscati. Ma questo non ha nulla a che vedere con il vacuo 
chiacchiericcio “riformista†di politici incompetenti e in malafede che 
solo copre lo svuotamento della democrazia economica nel nostro paese 
sacrificata, in particolare, sull’altare di un’Europa matrigna del 
“riformismo competitivoâ€. C’è chi crede che quest’Europa sia riformabile
 in una direzione diversa. Com’è noto noi ne dubitiamo assai.
Fonte: il manifesto (1/5/2014)
Tratto da: http://keynesblog.com/2014/05/12/le-riforme-strutturali-e-il-riformismo-liberista/#more-5442.