Martedì scorso la Commissione europea ha presentato la sua nuova posizione sulla riforma del meccanismo di risoluzione delle dispute tra investitori multinazionali e Stati (l’ISDS) da proporre nell’ambito del negoziato sul nuovo accordo di libero scambio tra Usa e Ue, noto ai più come TTIP.
La Commissione aveva accusato il colpo nel 2014, quando ben 150mila persone avevano risposto alla sua consultazione on-line sul tema rigettando a stragrande maggioranza l’inclusione della clausola nell’accordo. Clausola che, se introdotta, permetterebbe alle multinazionali a stelle e strisce di citare in giudizio presso corti private create [i]ad hoc[/i] e totalmente segrete gli Stati europei, qualora questi ultimi introducessero legislazioni più stringenti con un potenziale impatto negativo sui profitti attesi degli investitori.
Quindi nel marzo scorso la commissione ha abbozzato una prima riforma del meccanismo, promettendo genericamente più trasparenza e criteri chiari nella scelta dei giudici per evitare probabili conflitti di interessi, dal momento che chi è chiamato a giudicare di norma viene pagato dagli stessi investitori che citano in giudizio gli Stati.
La riforma è stata abbozzata per silenziare le critiche sull’attuale capitolo sulla protezione dei diritti degli investitori, già incluso nel trattato di libero scambio Ue-Canada e su cui nei prossimi mesi il Parlamento europeo dovrà esprimersi in maniera definitiva. Ma il testo è già chiuso e solo qualche aggiustamento di forma può essere inserito per soddisfare la difensiva e già inadeguata agenda di riforma della commissione.
Allo stesso tempo il negoziato Ttip infiamma sempre più gli animi in tutti gli angoli dell’Europa, e con la riforma-plus spiegata dalla commissaria Malmstroem la Commissione promette più cautele nel caso dell’accordo con gli Usa. Ma a guardarci bene dentro, quanto avanzato dalla Commissione è ancora inadeguato ed espone i paesi membri al rischio di richieste di danni per decine di miliardi di euro ogni anno da parte degli investitori americani.
Non scompare, infatti, il “favoritismo†nei confronti degli investitori stranieri – mentre quelli nazionali devono continuare a rivolgersi ai tribunali pubblici – le clausole nei testi negoziali sono sempre incentrati su una ampia interpretazione pro investitori e poco risolve l’idea di scegliere per ogni accordo i giudici da una lista scelta di esperti concordata da entrambe le parti, mentre risulta velleitario l’impegno a creare un secondo grado per eventuali ricorsi, o l’aspirazione ad avere addirittura una nuova corte internazionale sugli investimenti.
Ancora più contraddittoria poi è la proposta di lasciare aperta la possibilità per gli investitori di scegliere caso per caso tra tribunali nazionali o corti private internazionali – una domanda retorica per chi non vuole avere problemi con i propri profitti e chiudere in segretezza con un lauto indennizzo. (Per chi vuole saperne di più, [url”la posizione della rete Seattle to Brussels sul tema”]http://www.s2bnetwork.org/isds-statement/[/url]).
Insomma, le parole della Malmstroem in pratica cambiano ben poco, e la clausola ISDS nel TTIP di fatto cristallizzerebbe per sempre i diritti degli investitori a scapito di quelli dei cittadini europei e della democrazia più in generale. Per questo va rigettata senza se e senza ma.
Ma che cosa pensa il governo italiano di un tale marasma? Dietro la spavalderia sul tema del Ttip, in realtà è chiaro che si celano timori quando si parla di ISDS. Palazzo Chigi ha da poco notificato la sua uscita dall’Energy Charter Treaty, accordo plurilaterale su energia e investimenti che prevedeva la clausola ISDS. L’Italia è stato l’unico paese ad abbandonare il trattato insieme alla Russia di Putin, una decisione per cui non ha ancora fornito una spiegazione ufficiale.
Nel frattempo l’Indonesia ha appena deciso di non rinnovare l’accordo bilaterale sugli investimenti – anch’esso con clausola ISDS – con l’Italia, ed anche in questo caso sembra che al nostro governo stia bene così. E c’è chi sospetta che l’Italia possa rivedere o uscire da altri accordi sugli investimenti a breve.
Cosa significa tutto ciò? Che la paura fa novanta e una cosa sono le parole della Commissione, una cosa i fatti. Lo sa bene la Germania, che oggi si deve difendere contro la multinazionale svedese Vattenfall che ha richiesto ben 4,7 miliardi di euro di compensazioni per la decisione di Berlino di uscire dal nucleare al 2021 e chiudere così anche gli impianti nucleari della Vattenfall.
Altro che manovra per le pensioni di cui si discute oggi. Basterebbe un caso grosso di una multinazionale contro Palazzo Chigi che farebbe saltare il banco in futuro. Rottamiamo allora l’ISDS una volta per tutte, Presidente rottamatore?
(6 maggio 2015) [url”Link articolo”]http://www.recommon.org/alla-guerra-sugli-investimenti/[/url]Infografica sul TTIP da [url”http://corporateeurope.org”]http://corporateeurope.org[/url]
[url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it/[/url]