Costruire la Sovranità (Parte 1/2)

Una rete mondiale di istituzioni finanziarie stratificatasi per decenni non ha più collegamenti con l’economia reale e ha la forma di un organismo autonomo [A. Micalizzi]

Costruire la Sovranità (Parte 1/2)
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16 Gennaio 2017 - 18.30


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di Alberto Micalizzi.


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C’è una matrice che ci imprigiona, una rete mondiale di istituzioni finanziarie stratificatasi nel corso dei decenni che non ha più collegamenti con l’economia reale ed ha preso la forma di un organismo autonomo dotato di proprie logiche di azione ed in grado di controllare la massa monetaria in circolazione. Attraverso questa massa monetaria indebita i Paesi, le famiglie, le imprese ed esercita un’attività di governo etero-diretto, principalmente finalizzato all’assorbimento di risorse dall’economia reale.

A fronte di questa evidente realtà, tra le fila dei movimenti “sovranisti” continua a serpeggiare un pensiero primitivo secondo cui il sistema può essere disarticolato e battuto convogliando il dissenso all’interno di un partito politico. Il punto di partenza sta nell’idea che il potere risieda nei Palazzi delle istituzioni politiche, e che quindi possa essere “preso”.

Purtroppo non è così. La disperazione che serpeggia tra la gente unita ad una miopia endemica impedisce spesso di rendersi conto che i politici sono oggi i narratori di un’azione condotta da altri. Vanno in televisione a ripeterci formule calate dall’alto, cercando di spiegare il perché di ciò che sta accadendo, di fronte al quale nulla possono. Infatti, il potere vero agisce sempre di più in prima persona ed usa i politici di mestiere come semplici portavoce.

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Il sistema finanziario ha operato trasmutazioni antropologiche a livello planetario avviando, attraverso il mondialismo, una temibile omologazione culturale e sociale difficile da contrastare e disarticolare. In conseguenza di ciò, le oligarchie finanziarie assumono in realtà la forma di conglomerate trasversali e transnazionali con partecipazioni incrociate, risultando veri e propri imperi dotati di strutture decisionali, di capacità finanziaria autonoma, di cultura manageriale. Il baricentro di questo potere è dinamico, fluisce e si sposta di continuo, non coincidendo con alcun soggetto fisico o giuridico attaccabile frontalmente.

Il dinamismo di questo potere lo assimila ad un vero e proprio organismo in continua trasformazione, che come la pelle del nostro corpo muore e rinasce più volte nell’arco di poche ore. Questi eventi non indeboliscono affatto l’organismo, anzi ne consentono l’evoluzione dinamica al passo con le esigenze demografiche, climatiche e culturali delle popolazioni imbrigliate nella rete.

Travisando tutto ciò, la radice di un certo pensiero sovranista primitivo confida ancora nelle crisi, nei crolli delle borse, nei fallimenti bancari, dimenticando o non capendo che l’ultimo fallimento eccellente, quello della Lehman Brothers, è stata una decisione politica servita a giustificare l’iniezione di oltre $3.000 miliardi nel sistema bancario, e che il finto salvataggio in atto di MPS verrà utilizzato per giustificare l’accelerazione verso l’unione bancaria europea (se non addirittura il ricorso al MES), uno dei pochi tasselli ancora mancanti al compimento del progetto eurocratico.

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L’attuale sistema oligarchico è impermeabile ad eventi sistemici ed iniziative “convenzionali” quali ad esempio le competizioni elettorali, l’uscita dall’euro, i referendum, le elezioni presidenziali o altro. Tutto ciò è codificato nell’”algoritmo” del potere, è previsto, talvolta addirittura indotto, trattandosi di partite giocate all’interno del perimetro del potere stesso.

Facciamo qualche esempio. L’Euro è evidentemente un sistema di governo etero-diretto da oligarchie finanziarie regolate dal diritto internazionale (Troika, MES etc.). In ciò, rappresenta l’evoluzione sistemica di un lungo percorso iniziato almeno negli anni ’70, da quando cioè la moneta in circolazione era già originata all’esterno della comunità degli utilizzatori, ed a questa concessa in prestito secondo regole e politiche che seguivano ottiche di mercato e non più obiettivi sociali e produttivi. Tuttavia, le formule salvifiche basate sull’uscita immediata dall’Euro, sull’implementazione di politiche di deficit pubblico o su generiche rinegoziazioni dei Trattati europei sono incapaci di leggere la complessità attuale e men che meno sono in grado di formulare una strategia credibile di uscita.

A supporto di questa constatazione, si rifletta su qualche dato. Anzitutto, c’è un debito pubblico (formale) di €2.300 miliardi che per almeno il 35% è in mano a soggetti non residenti che lo reclamano in Euro ma nessuno spiega come intende gestirlo. Secondariamente, la Banca d’Italia è saldamente in mano ad azionisti privati, legittimati peraltro dalla rivalutazione della propria quota consentita dal decreto IMU-Bankitalia, tuttavia nessuno dice come intende “riconquistare” l’istituto centrale di emissione. Poi, in ogni caso, le riserve valutarie della Banca d’Italia sono sostanzialmente rimaste quelle del 1999, stimate pari a circa €87 miliardi nel 2013, contro una media di €3-4.000 miliardi in possesso di ciascuna delle principali banche centrali quali BCE, Federal Reserve, Bank of England e Bank of China, ed ancora una volta non viene spiegato come potrebbe una ipotetica nuova Banca d’Italia competere senza riserve adeguate all’interno del club delle banche centrali dei grandi Paesi per sostenere una effettiva politica del cambio.

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Aggiungerei che solo nel 2016 il sistema bancario europeo aveva in circolazione una massa monetaria M2 di oltre 10.670 miliardi di euro (!) di cui oltre il 90% nella forma di depositi fittizi creati dalle banche commerciali, a testimonianza ulteriore della potenza di fuoco che hanno oggi le istituzioni finanziarie dell’Eurozona.

Non basta. Gli stessi “sovranisti” faciloni dimenticano che buona parte dell’industria nazionale è stata delocalizzata all’estero, i marchi italiani svenduti a conglomerate transazionali, l’agricoltura imprigionata dai diktat di burocrati che si avvalgono di modelli econometrici per stabilire le quote di produzione assegnateci, provocando devastazioni territoriali ed alterazioni dei legami tradizionali tra territori e popolazioni. L’economia domestica (ma europea tutta) è inviluppata in una spirale recessiva artificiale il cui scopo è creare deflazione strutturale, indebitare il Paese ad ogni livello e costringere il settore pubblico e privato a svendere i propri beni, trasferendo dunque ricchezza verso il settore finanziario. Tutta la moneta entra nel sistema contro debito, e questo rende gli interessi passivi simili ad un cancro che erode l’organismo dall’interno.

La sovranità popolare in tutte le sue forme è stata dunque trasferita ma non come un pegno che possa essere recuperato, piuttosto come un fluido che si è disciolto in mare â€¦ne abbiamo cioè perduto le forme, i contenuti, le logiche cosi che nulla tornerà come prima.

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Il disegno oligarchico è ormai compiuto, e sta funzionando alla perfezione. E’ congegnato per etero-governare centinaia di milioni di europei ed estrarre ricchezza dall’economia reale a favore di quella finanziaria, due funzioni che sta compiendo egregiamente, in barba agli illusi che parlano di crollo imminente o implosione del sistema eurocratico.

Alla luce di tutto ciò è evidente che se una via di riscatto è possibile questa passi necessariamente attraverso una vasta azione popolare che produca “virus” benefici capaci di innescare un nuovo modello costruito su basi diverse, su relazioni socio-economiche che questa forma di potere non ha previsto. La strategia di riscatto, dunque, non può essere di “sostituirsi” ai soggetti esistenti, operando una lotta per il controllo del potere perché quello di oggi è un potere che non esprime valori umani e sociali che sentiamo nostri. Questo fu l’errore del PCI negli anni ’70, che pur avendone la forza politica e popolare non disegnò alcun modello sociale ed economico realmente alternativo ma ingaggiò una lotta per conquistare maggiori spazi all’interno di quella stessa matrice che già imprigionava la popolazione, le cui logiche non furono mai messe in discussione.

L’unica strategia di uscita dalla matrice è quella di “mettere in fuori gioco” il sistema, spiazzarlo diminuendo gradualmente la dipendenza da esso attraverso la creazione di strutture e logiche nuove, diverse da quelle esistenti. La sovranità popolare va ricostruita.

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Un esempio vincente ed esportabile di questa strategia di spiazzamento è fornita dagli ultimi eventi politici del 2016 (Brexit, Trump e referendum costituzionale) che hanno mostrato la capacità di influenza del web contro i media main-stream. Chi ha vinto non ha acquisito il controllo delle reti televisive o dei quotidiani nazionali …. Ha vinto perché ha costruito un sistema di comunicazione nuovo al di fuori dei media main-stream di fronte al quale l’informazione di sistema si è trovata spiazzata.

Occorre implementare la stessa strategia con le altre propaggini del potere, cioè con la moneta, le banche, le agenzie di rating, la classe politica attuale, i consorzi di acquisto ed altre strutture economico e sociali che assieme ai canali di comunicazione rappresentano gli ingranaggi della matrice che ci imprigiona (nella seconda parte di questo articolo illustrerò proposte concrete).

L’adozione di strategie di uscita dal debito, inteso come logica, come strumento, come vincolo di dipendenza, la creazione di gruppi di bloggers online, il potenziamento di gruppi d’acquisto che disintermediano la distribuzione organizzata, i circuiti di regolamento degli scambi commerciali paralleli all’euro sono solo alcuni esempi di spiazzamento del sistema. Si tratta di “inneschi” il cui scopo è far partire contro-tendenze che si sviluppino da sole.

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Dobbiamo prepararci a cambiare il modo di fare la spesa, di regolare i pagamenti, di riscaldarci, di concepire il trasporto, di gestire il debito, di partecipare alla gestione dei Comuni. In una parola….dobbiamo definanziarizzare il Paese attuando un’economia cooperativa partecipativa anziché un’economia competitiva oligopolistica.

E’ in questa cornice che un progetto politico-partitico può farsi portavoce di una nuova istanza economico-sociale che nel frattempo ha mosso i primi passi. Un nuovo mondo che deve avere un proprio baricentro, una propria forza di inerzia grazie alla quale si può andare a Bruxelles non ad essere ridicolarizzati come ha fatto Tzipras (nonostante la maggioranza politica bulgara che lo supportava) ma a negoziare la revisione dei Trattati e con ciò lo scioglimento graduale dei vincoli che oggi impediscono alla nostra Costituzione di attuarsi correttamente secondo principi di sovranità popolare.

Questo progetto ampio può solo funzionare se basato su un’ampia forza popolare, trascinata da un’idea forte di Stato e di comunità nazionale, da un nuovo dinamismo culturale, un nuovo senso di appartenenza, persino da nuove correnti artistiche e culturali che esprimano i sussulti che attraversano la società.

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Ci sono state in Italia esperienze invidiabili che hanno spiazzato il neo-liberismo mediante profonde innovazioni economiche e sociali. Lo fece l’IRI negli anni ’30 proponendo una forma nuova ed efficace di valorizzazione e rilancio di importanti comparti dell’industria nazionale in crisi, lo fece la proficua interazione tra libera iniziativa imprenditoriale privata e ruolo guida dello Stato negli anni più difficili del dopoguerra, lo fece l’ENI di Mattei negli anni ’50 affermando un fondamentale principio di sovranità energetica e politica che si erano perduti con la guerra. Tutti esempi che mostrano come il genio imprenditoriale italiano possa sposarsi con un ruolo strategico statale in settori sensibili quali le telecomunicazioni, la difesa, l’energia, le costruzioni.  E’ da questa idea di Paese sovrano che occorre ripartire.

Non sprechiamo energie cercando di afferrare un potere etereo, ricostruiamo la sovranità facendo il nostro gioco. Come ricorda Sun Tzu “il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento bensì sottomettere il nemico senza combattere”.


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