Draghi: più moneta più finanza più diseguaglianza

La politica monetaria della BCE gonfia la finanza senza rilanciare l'economia reale. E la diseguaglianza aumenta [Enrico Grazzini]

Draghi: più moneta più finanza più diseguaglianza
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23 Novembre 2017 - 18.57


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di Enrico Grazzini.

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Alla fine di ottobre la Banca Centrale Europea guidata dall’italiano Mario Draghi ha prolungato, con grande plauso dei commentatori, la manovra di espansione monetaria, il cosiddetto Quantitative Easing. Le politiche monetarie della BCE di Draghi si sono confermate espansive mentre quelle fiscali dettate dal trattato di Maastricht e dall’assurdo Fiscal Compact imposto da Berlino, sono invece restrittive. E allora tutti a ripetere ancora una volta che Draghi “è il salvatore dell’Europa”.

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Da quando Draghi, l’ex banchiere della Goldmann Sachs, ne è diventato presidente, la BCE è acclamata come salvatrice dell’Europa (e della patria Italia, l’anello debole tra le grandi economie continentali). Tutti riconoscono che la BCE è in effetti l’unica istituzione che è riuscita a difendere l’eurozona dalla speculazione finanziaria e a controbilanciare con la sua politica espansiva la brutale e stupida austerità teutonica. Senza il supporto della politica monetaria della BCE di Draghi l’euro non esisterebbe più da anni. E quindi la BCE è diventata un mito e un tabù.

Ma la politica della BCE non difende solo la moneta unica europea: aiuta soprattutto le banche e aumenta le diseguaglianze. La BCE affianca attivamente l’Unione Europea nelle sue politiche di contro-riforme strutturali, cioè di destrutturazione del mercato del lavoro e di riduzione selvaggia del welfare. Grazie alla politica monetaria della BCE che alimenta i mercati finanziari i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E non è detto che la sua azione alla fine sarà efficace. L’euro è ancora una moneta fragile, e resterà tale per la sua struttura intrinsecamente deflattiva. La moneta unica europea – nonostante la difesa della BCE – è in crisi permanente; e il crollo di questa moneta insostenibile – come la definisce il premio Nobel dell’economia Joseph Stiglitz) resta sempre uno sbocco possibile, se non probabile1.

Non c’è dubbio che senza la politica monetaria espansiva della BCE l’eurozona (il nucleo centrale dell’Unione Europea) da anni sarebbe andata in mille pezzi. L’annuncio di Draghi “within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro, and believe me it will be enough”, ovvero “nel rispetto del mio mandato farò tutto il necessario per difendere l’euro, e credetemi sarà sufficiente” – è stato fondamentale nel luglio del 2012 per salvare la moneta unica.

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La BCE ha salvato l’euro. ma in fondo ha fatto, e fa, solo il suo mestiere: stabilizzare la moneta europea. Per il resto la BCE non è la miracolosa fatina salvatrice dell’Europa che a sinistra come a destra molti economisti e commentatori credono e vogliono fare credere. La politica monetaria e bancaria della BCE non è stata sempre efficace e soprattutto non è mai neutrale: più che salvare l’economia europea e l’Europa – che resta una istituzione malata e in via di disintegrazione (soprattutto dopo le elezioni tedesche) -, la BCE ha invece salvato le maggiori banche tedesche e francesi alimentando i mercati finanziari con droga monetaria. Con risultati assai dubbi e incerti.

Per analizzare l’attività della BCE occorre esaminare tre aspetti: l’impatto delle politiche monetarie della BCE sull’economia; l’intervento politico della BCE e le riforme strutturali che essa suggerisce; l’illusione della sua indipendenza.

 

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Il Quantitative Easing per le banche

La politica recentemente (fine ottobre 2017) annunciata da Draghi tende a 1) mantenere a lungo, a tempo indeterminato, i tassi di interesse a zero o quasi a zero; 2) continuare, anche se in forma leggera, il programma di Quantitative Easing, ovvero l’acquisto di titoli di stato (da 60 a 30 miliardi di acquisti mensili fino a settembre 2018). Il Q.E. non ha scadenza e potrebbe estendersi oltre il settembre del prossimo anno; 3) garantire che i ricavi dei titoli acquistati e giunti a maturità (circa 2,5 triliardi, migliaia di miliardi alla fine del Q.E.) verranno in gran parte utilizzati per rinnovare l’acquisto di altri titoli di stato – il ché in pratica comporta il congelamento di una quota sostanziale dei debiti pubblici dei paesi dell’eurozona -.

Quale è allora l’effetto del Q.E.? L’allentamento quantitativo è una politica monetaria non convenzionale con la quale una banca centrale acquista titoli di Stato o altri titoli sul mercato secondario (ovvero principalmente dalle banche) per abbassarne i tassi di interesse e aumentare l’offerta monetaria. L’espansione monetaria prevista dal Q.E. è considerata come un’arma estrema della banca centrale quando i tassi di interesse a breve termine sono a zero, il credito bancario è fermo e l’economia non riprende. L’obiettivo dichiarato del Q.E. è raggiungere lo scopo statutario della BCE, ovvero iniettare denaro per ottenere un’inflazione pari a poco meno del 2%. Ma l’obiettivo ufficiale non è stato raggiunto. Del resto il controllo dell’inflazione è praticamente un pretesto. I veri obiettivi del Q.E. sono altri.

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L’allentamento quantitativo ha avuto altri e molto diversi effetti principali: quello di inondare di denaro le istituzioni finanziarie; di aumentare il prezzo dei titoli di stato acquistati dalla BCE; e di comprimere gli interessi che gli stati devono pagare sul debito. Attraverso la scusa di aumentare l’inflazione, Draghi è riuscito a fare delle politiche che secondo lo statuto della BCE (deciso a Maastricht) gli erano precluse: aiutare gli stati in difficoltà (come soprattutto l’Italia) e, insieme, le banche che avevano acquistato i titoli di debito degli stati in difficoltà.

L’ultima mossa di Draghi spingerà la dimensione complessiva del programma di Q.E. al di sopra di 2,5 miliardi di euro, una somma enorme, pari a circa un quarto del PIL dell’eurozona (e più del doppio delle dimensioni originariamente previste). In teoria questa montagna di soldi dovrebbe non solo rimettere in sesto i bilanci delle banche colpite dalla crisi ma anche (e soprattutto) aumentare il credito bancario e riattivare l’economia reale.

Il problema è che una banca centrale può offrire fondi aggiuntivi alle banche ma non può costringerle a prestare questi fondi a privati e imprese. E non può costringere le imprese e i privati a chiedere nuovi prestiti, cioè a indebitarsi ancora. Se i redditi cedono e non c’è domanda, allora non ci sono prospettive di profitto e le imprese non investono più e quindi non chiedono soldi alle banche. Capita così che il denaro emesso dalla BCE con il Q.E. aumenti le disponibilità e le riserve bancarie – che in effetti sono aumentate di sette volte dall’inizio della crisi – ma non arrivi all’economia reale. In pratica i prestiti della BCE alle banche non aumentano i crediti bancari e quindi sono in gran parte inefficaci per stimolare l’inflazione e l’economia.

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Non è un caso che il Q.E. non abbia raggiunto il suo scopo. L’inflazione è ancora lontana dal 2%. Tanto che la BCE è costretta, dopo ben dieci anni dallo scoppio della crisi, a continuare il Q.E. anche se diminuisce le dosi. Secondo i dati esposti da Wolfgang Munchau sul Financial Times la disoccupazione reale nell’eurozona è pari al 18%, il doppio degli USA2. Inoltre gli indicatori di mercato (i futures) scommettono sul fatto che l’inflazione resterà sotto il 2% per parecchi anni. La ripresa che l’eurozona registra attualmente è più apparente e temporanea che strutturale e duratura.

Anche sul fronte bancario i 2,5 triliardi concessi agli istituti di credito europei hanno dato risultati dubbi. I sistemi bancari periferici sono ancora instabili. Le banche dei paesi periferici, come l’Italia, soffrono per montagne di crediti deteriorati dovuti proprio alla austerità imposta da Bruxelles, Berlino e Francoforte. Le banche dei paesi centrali dell’eurozona – a partire dalla maggiore banca tedesca, la Deutsche Bank – sono ancora cariche di titoli tossici che costituiscono una bomba ad orologeria. Ma su questi titoli derivati però la vigilanza della BCE – guidata dalla francese Danièle Nouy – chiude tutte e due gli occhi. L’Unione bancaria del resto è fasulla, dal momento che i tedeschi non vogliono realizzare il pilastro fondamentale dell’integrazione bancaria: l’assicurazione europea sui depositi.

Il Q.E. e il basso tasso di interesse hanno avuto un grande effetto collaterale: hanno aumentato la ricchezza finanziaria. Buona parte dei soldi prestati dalla BCE alle banche sono finiti non all’economia reale ma sui mercati finanziari. Le borse registrano aumenti record mentre le economia languono. Chi ha liquidità in eccesso e accesso ai crediti bancari investe sui mercati finanziari. I ricchi diventano così molto più ricchi; la ricchezza aziendale è sempre più concentrata; i prezzi immobiliari sono saliti nuovamente; e i bassi rendimenti dei titoli di stato hanno aumentato la propensione a finanziare le attività più rischiose e remunerative. E’ probabile che prima o poi la bolla finanziaria scoppierà.

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Il mercato dei derivati è aumentato. La maggior parte dei mercati finanziari e immobiliari è ancora una volta sovra-valorizzata mentre un costante senso di crisi ha scoraggiato gli investimenti di capitale produttivo, e quindi l’occupazione stagna. E i salari reali o diminuiscono o comunque non crescono. La ripresa europea è quindi fragile e i problemi strutturali non sono risolti.

Munchau spiega che, se la BCE non continuasse a drogare il mercato bancario e finanziario con le sue politiche monetarie espansive, potrebbe scoppiare rapidamente un’altra crisi: e la prima vittima della speculazione finanziaria sarebbe proprio l’Italia a causa del suo alto debito pubblico. I falchi del governo tedesco stanno già pensando al piano B per la prossima crisi: la loro proposta è che i debiti degli stati in difficoltà non vengano tutti pagati con i soldi del fondo comune europeo. I falchi propongono che anche i mercati – cioè le grandi banche d’affari – siano coinvolti nelle perdite. Questa prospettiva – avverte Munchau – porterebbe rapidamente alla fuga di capitali dagli stati in crisi, alla ripresa della speculazione finanziaria, e alla probabile rottura dell’eurozona. Insomma: la politica della BCE finora ha tamponato le falle della costruzione europea ma è tutt’altro che risolutiva.

 

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Soldi alle banche o per i cittadini europei e le politiche pubbliche?

Per capire fino in fondo la politica monetaria della BCE si può fare un rapido conto: dal marzo del 2015 al settembre del 2018 (43 mesi) la BCE ha previsto di realizzare il Q.E. con un finanziamento di circa 2,5 triliardi di euro. Se la BCE avesse distribuito questi soldi invece che alle banche ai 340 milioni di individui dell’eurozona (compresi neonati, bambini e anziani) avrebbe dato a ogni singolo cittadino un reddito aggiuntivo di 170 euro in più al mese (altro che gli 80 euro di Renzi!) per 43 mesi (oppure, se volete, 85 euro a testa in più al mese per 86 mesi, cioè per più di … sette anni!).

L’imponente incremento della domanda avrebbe rivitalizzato immediatamente la capacità produttiva e saremmo usciti subito dalla crisi e dalla deflazione con un’economia molto più dinamica e vivace. Si sarebbe raggiunto l’obiettivo di aumentare l’inflazione e anche la piena occupazione. Invece la BCE ha POLITICAMENTE preferito inondare le banche di liquidità e inflazionare gli asset finanziari piuttosto che aumentare il reddito dei cittadini. O piuttosto di offrire risorse monetarie agli stati europei per investimenti pubblici.

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Non a caso un nutrito gruppo di illustri economisti suggerisce alla BCE di attuare una politica completamente diversa, quella cosiddetta dell’helicopter money. “La politica monetaria tradizionale non funziona più. La mancata considerazione di nuovi approcci prolungherà inutilmente la stagnazione e l’elevata disoccupazione. È giunto il momento per la BCE e le banche centrali della zona euro di bypassare il sistema finanziario e di collaborare con i governi per iniettare la moneta appena emessa direttamente nell’economia reale”3. Ovvero la BCE dovrebbe dare direttamente soldi alle imprese, alle famiglie e agli stati per riattivare l’economia, invece di sprecare gran parte delle sue munizioni (denaro fresco) per aumentare le riserve delle banche private e gonfiare così i mercati finanziari.

 

Le riforme strutturali della BCE contro il welfare, il lavoro e i sindacati.

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Draghi, sa perfettamente che le sue politiche monetarie non possono rilanciare strutturalmente l’economia europea, e sa anche che le politiche fiscali restrittive di Berlino e di Parigi sono insostenibili. Ma ovviamente non può contestare i governi che lo hanno fatto diventare presidente della BCE. Perciò ha preferito perorare le cosiddette riforme strutturali per ristrutturare il mercato del lavoro e comprimere il welfare, cioè i diritti sociali.

Sempre di più la BCE sconfina nel terreno propriamente politico che le dovrebbe in teoria essere proibito: vedi per esempio le sue indicazioni sulle riforme costituzionali, sulla controriforma dei contratti di lavoro e sulle liberalizzazioni e privatizzazioni contenute nel testo della famigerata lettera riservata inviata dalla Bce al Governo italiano il 5 agosto 2011, firmata dall’ex presidente Jean Claude Trichet e dal numero uno dell’Eurotower, Mario Draghi. Vale la pena riportare le parti più significative della Missiva BCE al governo italiano.

Sarebbe appropriata una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio… Sono necessari accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende, rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione (quello nazionale, ndr)… Il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi… È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali… Questa dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala…. . Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate. Firmato: Mario Draghi, Jean-Claude Trichet”.

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Il risultato di queste politiche anti-sinistra e anti-sindacali è che perfino Draghi, ora si lamenta del fatto che i salari non crescano abbastanza, e che la domanda aggregata (e quindi l’economia) è ancora troppo debole. Eppure proprio l’ex banchiere della Goldman Sachs è stato ed è l’alfiere della grande moderazione salariale e dei programmi di restrizione della spesa pubblica che hanno provocato la precarietà del posto di lavoro per milioni di giovani. E’ stupefacente, e perfino commovente, come sindacati e sinistra in Italia continuino a “tifare” per la BCE e la UE quando proprio queste istituzioni sono le principali responsabili della crisi economica nazionale e la aggravano irrimediabilmente con le loro politiche.

 

Una istituzione non neutrale condizionata da Berlino.

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Il Consiglio direttivo è il principale organo decisionale della BCE. Comprende:

i sei membri del Comitato esecutivo e i governatori delle banche centrali dei 19 paesi dell’area dell’euro. Il Comitato esecutivo a sua volta comprende: il presidente e il vicepresidente e altri quattro membri. Tutti i membri sono nominati dal Consiglio europeo composto dai capi di Stato o di governo dei paesi membri dell’Unione europea e dal Presidente del Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata. Quindi ovviamente gli organi decisionali della BCE sono di nomina governativa e politica. E i vertici della BCE sanno benissimo di dovere rispondere ai loro governi per le loro attività e decisioni. E sanno che il loro maggiore azionista di peso è il governo tedesco che controlla la Bundesbank.

Tuttavia la BCE è formalmente autonoma e indipendente sia sul piano decisionale che organizzativo e finanziario (i fondi della BCE non vengono dai governi ma dalle banche centrali). In teoria né la BCE, né le banche centrali nazionali, potrebbero sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi dell’Unione europea, dai governi degli Stati membri o da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi dell’UE nonché i governi degli Stati membri sono tenuti a rispettare tale principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE (articolo 130 del Trattato).

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In effetti occorre riconoscere che Draghi è riuscito ad avviare e realizzare il Q.E. anche contro i rappresentanti della Bundesbank e di altre banche centrali del nord Europa. La BCE e Draghi hanno potuto prendere delle decisioni che non sempre Bundesbank e governo tedesco hanno condiviso. Tuttavia bisogna fare due considerazioni: la prima è che Draghi non riuscirebbe ad attuare nessuna politica se non fosse almeno appoggiato dalla parte più europeista del governo tedesco. Il suo “whatever it takes” non sarebbe stato possibile se non avesse avuto l’approvazione della signora Angela Merkel, capo del governo tedesco.

Inoltre il concetto formale di indipendenza di una banca centrale è sempre sostanzialmente anti-democratico perché sottrae la politica monetaria a ogni controllo politico per darla invece in appalto a dei tecnocrati – come sono in realtà i banchieri centrali – che esercitano le loro politiche senza essere responsabili di fronte ai rappresentanti eletti dal popolo. Non a caso le banche centrali indipendenti operano spesso più a favore delle banche che dovrebbero controllare che delle economie reali.

E non per caso socialisti come Jeremy Corbyn vorrebbero riportare la banca centrale sotto il controllo parlamentare: Corbyn propone anche che le attività dell’istituto centrale siano strettamente coordinate con quelle del ministero del Tesoro. Le strategie della Banca Centrale dovrebbero essere decise e monitorate dal potere politico democratico, mentre essa dovrebbe mantenere solo autonomia operativa.

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I finanzieri – che maneggiano ogni giorno decine e centinaia di milioni di euro e conoscono bene la natura del denaro – sanno perfettamente che le banche centrali costituiscono il cuore e il cervello del capitalismo, che le loro politiche non sono neutre e che rappresentano la cabina di regia del credito e della finanza, e quindi dell’economia intera. Mentre paradossalmente i maggiori intellettuali europei e italiani – e anche la migliore intellighenzia di sinistra (spesso sedicente addirittura marxista) – stentano a comprendere il ruolo essenziale e di classe giocato dalla BCE nel capitalismo europeo.

Quasi tutti gli economisti – sia quelli più allineati che quelli più critici – comunicano al pubblico una visione sbagliata, acritica e deferente (o addirittura riverente) della banca centrale: quella di una istituzione tecnica e super partes che gestisce con successo senza condizionamenti politici la politica monetaria nella maniera più neutra possibile. Mentre al contrario nulla è più politico della moneta. Da qui la necessità di riportare le politiche monetarie sotto il controllo democratico dei Parlamenti e dei governi eletti dai cittadini.

 

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NOTE

1 Joseph Stiglitz “ Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa” 2017, Einaudi

2 Wolfgang Munchau “Why an ailing eurozone still requires extreme treatment” 29 ottobre 2017.

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3 FT 27 marzo 2015 “Better ways to boost eurozone economy and employment” appello firmato tra gli altri da David Graeber, Steve Keen, Christian Marazzi, Bill Mitchell, Ann Pettifor, Lord Skidelsky, Richard Werner.

 

 

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Fonte: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=23555

 

 

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