Riflessioni di fine d’anno sul significato del 'Venerdì Nero'

I rischi di una nuova, grande crisi sono ancora tutti davanti a noi. Poi leggi le 'previsioni' e scopri con stupore che prevale un 'prudente ottimismo'. In attesa di una settimana nera. [Giulietto Chiesa]

Riflessioni di fine d’anno sul significato del 'Venerdì Nero'
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5 Dicembre 2017 - 15.24


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di Giulietto Chiesa.

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A fine d’anno tutti si affollano attorno alle tabelle per cercare di capire cosa succederà l’anno successivo. Ma il lavoro di previsione dovrebbe essere preceduto, specie dopo i rovesci delle previsioni precedenti, da una riflessione sulla modalità con cui la previsione viene fatta.

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In realtà la procedura è molto simile a una catena di montaggio, dove ciascuno degli addetti si occupa del suo segmento di conoscenza, senza però avere il quadro d’insieme. Così gli economisti calcolano le dinamiche che a loro sembrano probabili circa lo stato della crescita, dell’occupazione, dell’inflazione. Sui computer di qualche altra parte del mondo gli specialisti della politica monetaria ponderano gli orientamenti delle banche centrali, prevedono l’evoluzione dei tassi d’interesse e dei cambi. Altrove gli strateghi azionari estraggono le previsioni sugli utili.

È chiaro che le protagoniste di questa catena di montaggio sono le Banche Centrali, le quali distillano le politiche monetarie. Mosse ponderate che fanno seguito a misteriose e supersegrete consultazioni. Qualche volta si “lasciano leggere”, qualche altra volta si riservano di cogliere tutti di sorpresa. Ma il tutto con una certa “prevedibilità”. Le fughe di notizie sono tutte programmate da loro.

In questo caso sembrano generose di informazioni. Sappiamo cioè che la liquidità globale toccherà il massimo storico tra il secondo e il terzo trimestre del 2018 e che la crescita sarà buona (meglio in USA, meno bene in Europa). Sappiamo già che nel 2019 sarà meno buona. Di quanto non ce lo dicono, anche perché molto probabilmente non hanno idea di cosa accadrà.

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Infatti quanto siano valide le previsioni non lo sappiamo noi, ma neanche loro lo sanno. E l’esperienza ci dice che dovremmo essere diffidenti. Perché troppe volte sono state smentite dai fatti e non poche volte sono state addirittura grossolanamente smentite. Basti pensare a ciò che è accaduto nel 2007-2008, lasciando tutti di stucco. Dunque potremmo essere soddisfatti se esse fossero, se non proprio impeccabili, almeno basate su dati completi e veritieri. Il che non è mai.

Il fatto è che, in queste previsioni, manca la politica e la geopolitica. Le quali, certo, sono difficili da sintetizzare in modelli chiari. Ma noi sappiamo che questi due fattori sono in grado di modificare radicalmente il quadro delle previsioni tecniche. E noi viviamo un periodo di straordinaria turbolenza geo-politica. E una tale turbolenza — fatta di paesi e popoli reali — influenza tutte le grandezze tecniche delle previsioni economiche.

Basti pensare, per esempio, agli effetti economici delle tensioni USA-Russia e USA-Cina e USA-Iran, e al loro ripercuotesi sulla politica degli armamenti e sui debiti pubblici degli Stati, o sugli effetti delle politiche energetiche di tutti i protagonisti.

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Faccio un esempio: è noto che siamo in presenza di un eccesso di capacità produttiva. Dato globale accertato e inequivocabile. Per giunta persistente e, al momento, nessuno ha idea sul come invertire questa tendenza. Eppure non è difficile capire che esso ha una componente fondamentale nella pessima distribuzione della ricchezza e in una sua concentrazione in poche mani (sempre meno). Dunque è un fattore politico e sociale. Che, a sua volta, crea un problema finanziario globale. Ci si può limitare a constatare che c’è. Ma bisognerebbe anche guardare meglio ai suoi effetti.

Che si spiegano abbastanza facilmente in questo modo: i compratori di merci e servizi (cioè noi, consumatori) hanno meno soldi da spedere a causa di una enorme e crescente sperequazione nella distribuzione dei redditi.

Meno domanda, più invenduto che si accumula. Cioè mancati introit delle imprese. Che contringono queste ultime a contrarre nuovi prestiti (ovvero nuovi debiti) col sistema bancario.

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Le banche dove prendono il denaro per i prestiti che erogano? Non certo dai depositi dei risparmiatori (che, per giunta, risparmiano sempre meno): esse creano denaro dal nulla ogni volta che concedono un prestito. Che, per il recettore, è un debito.

Questo ha un effetto globale. Non è la sola Banca Centrale a creare denaro. Le grandi banche private, tutte too big to fail, ne creano quasi a piacimento. Cioè le banche Centrali non controllano direttamente la quantità di moneta. Ed è ragionevole concludere (per meglio dire, constatare) che in queste condizioni si determinerà una crescita dell’offerta di moneta.

Ma una tale situazione accresce la necessità delle stesse banche di disporre di liquidità (ogni qual volta la bonaccia sparisce e si alza il vento) per fare fronte alle richieste dei clienti. Questa non è fantasia: è esattamente ciò che è accaduto con l’esplosione della crisi dei mutui subprime del 2007-2008.

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Al vero e proprio disastro di nove anni fa, come ben sappiamo, hanno fatto fronte le Banche Centrali con il quantitative easing, creando enormi quantità di denaro “fiat”, cioè moneta elettronica. Acquistando, con questa, titoli carta-straccia ormai inutilizzabili che riempivano i forzieri delle banche. Cioè le banche sono state salvate dal denaro elettronico creato dalle Banche Centrali.

Mi chiedo: è cambiato qualche cosa di sostanziale dal 2008 ad oggi? Sembra proprio di no, anche se adesso il quantitative easing si è ridotto e la Federal Reserve fa capire che alzerà i tassi per tre volte nel corso del prossimo anno.

Il fatto è che perdura e si accresce la capacità inutilizzata dell’economia mondiale. Pensate, a cosa siamo ridotti: qualche giorno fa, all’improvviso, è apparso sulla scena il “Venerdì Nero”. Un grande Circo Barnum mondiale di vendite scontate montato in fretta e furia nel disperato tentativo di convincere la massa dei consumatori a tirare fuori dalle loro tasche gli ultimi spiccioli. Aspettiamo di vedere il consuntivo. Ma una cosa è certa: con questi trucchi si vive alla giornata. L’eccesso di capacità produttiva rimane.

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E, con esso, lo sconsolante dato che gl’investimenti nell’economia reale restano molto meno convenienti degl’investimenti finanziari. I denari del quantitative easing non fanno ripartire l’economia. E vanno invece ad alimentare vertiginosamente la speculazione finanziaria. Si espande a macchia d’olio, nel frattempo, (con rapidità crescente determinata dalla digitalizzazione sempre più spinta delle transazioni automatiche), la massa dei derivati. Essa, a livello globale ha già superato largamente il milione di miliardi di dollari, cioè venti volte il volume del PIL mondiale. E il rapporto debito/PIL condiale è arrivato a livelli prima inimmaginabili.

Il tutto appare (a chi vuole vedere) come una mostruosa mongolfiera che si libra ad altezze sempre più rarefatte. Cioè i rischi di esplosione di una nuova, grande crisi sono ancora tutti davanti a noi. Poi leggi le “previsioni” e scopri con stupore che prevale un “prudente ottimismo”. In attesa di un altro “Venerdì Nero”, poi di un sabato nero e poi di una settimana tutta nera. 

 

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Fonte: https://it.sputniknews.com/opinioni/201712055362741-economia-venerdi-nero/ 

 

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