NOTA PRELIMINARE
di Pino Cabras, deputato del M5S
Si moltiplicano i segnali che fanno ritenere possibile l’arrivo di una fortissima pressione finanziaria internazionale sull’Italia ancora prima che in autunno il parlamento approvi il prossimo bilancio. Per qualche settimana il tema era passato in secondo piano, ma era sempre lì, minaccioso, a fare capolino.
È stato talmente presente da aver accompagnato sin dall’inizio la formazione del governo M5S-Lega, come un convitato di pietra, come un latente “stato di eccezione” pronto a spostare gli equilibri in favore di chi aveva il potere di dichiarare quella eccezionalità. Tutti giocavano secondo le regole, ma alcuni giocavano con la regola che annichilisce le altre e fornisce la vera sovranità: su tutto, lo spread (e la conseguente paura di incenerire il risparmio).
In Italia, visti i precedenti che risalgono anche a tempi vicini, lo stato di eccezione si compone di un miscuglio terribile di speculazione internazionale, differenziali di tassi d’interesse, decisioni di pochi soggetti non controllati dalla rappresentanza democratica che portano il Presidente della Repubblica a forzare la mano e a scegliere governanti non eletti, ossia tecnocrati dalle mani di forbice disposti ad azzerare in una notte diritti sociali esistenti da decenni. L’esecutivo denominato governo Monti è stato, più che altro, un governo Napolitano. E anche Sergio Mattarella ha influito profondamente sulle fasi di formazione del nuovo governo rivendicando un’interpretazione rigidissima dei poteri presidenziali al momento di negoziare la scelta del presidente del Consiglio e dei ministri chiave. Non dimentichiamo che a un certo punto Mattarella aveva dato l’incarico di premier a Carlo Cottarelli, da presentare alla Camere a capo di un governo tecnico di minoranza, per fortuna scongiurato dal successivo formarsi del “governo del cambiamento” retto da Giuseppe Conte, forte di un fresco consenso delle formazioni politiche che hanno trionfato il 4 marzo 2018.
Si era giunti a questo giro di valzer, ricordiamolo, perché il Colle agiva da inflessibile garante di coloro che a tutti i costi non volevano che Paolo Savona diventasse ministro dell’economia, per il solo fatto che costui aveva teorizzato la necessità di non presentarsi sguarniti e disarmati di fronte alle possibili convulsioni dell’euro, dipendenti da fattori da noi non controllabili. Non appena qualcuno evoca un Piano B diventa un reprobo da rieducare con ogni consentita durezza, magari con una di quelle campagne di stampa manganellatrici in cui si sono specializzati gli organi del vecchio mainstream mediatico italiano.
Il problema è sempre attuale, e per parte mia non l’ho mai perso di vista: lo considero un problema politico della massima importanza per chiunque voglia governare. Incombe un sistema di potere che vuole politiche di dura austerità per spolpare meglio e in pochi anni ricchezze costruite in generazioni. È un sistema che non accetta volentieri di spostare verso Roma il nucleo della sovranità che ha il baricentro in altre capitali (e in altri capitali).
Ragione per cui da molti mesi seguo e incontro con grande attenzione il gruppo di economisti e studiosi che si stanno battendo per l’istituzione della “Moneta Fiscale”, una misura di politica economica che potrebbe garantire un argine formidabile contro la speculazione e a sostegno del recupero economico della Repubblica Italiana. Si tratta della proposta di una “quasi-moneta” complementare basata su sconti fiscali differiti su imposte non ancora maturate e in grado di creare la liquidità di cui abbiamo bisogno. Qui di seguito potete leggere la mia traduzione di un recente articolo di questo gruppo, che spiega bene in che modo la Moneta Fiscale funzioni e quali importantissimi risultati ci si attende da essa. Mi riservo un ulteriore commento in calce all’articolo, e aggiungerò anche alcune note biografiche sugli studiosi nonché alcuni riferimenti bibliografici che possono aiutare a inquadrare pienamente la questione. Conviene conoscere a fondo la proposta perché saremo probabilmente chiamati molto presto a schivare alcune terribili trappole della tecnofinanza che ci obbligheranno a ripensare l’approccio alla politica economica al di fuori delle strade già battute.
Buona lettura.
Una valuta parallela per l’Italia è possibile
Roma può riprendere il controllo della sua politica monetaria senza infrangere le regole della zona euro.
di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa e Stefano Sylos Labini.
7/5/18,
da POLITICO Global Policy Lab.
Nel recente articolo di Joseph Stiglitz per il Global Policy Lab di POLITICO (“How to Exit the Eurozone” – Come uscire dall’Eurozona”, 29 giugno 2018), l’economista insignito del premio Nobel propone che l’Italia emetta una valuta parallela quale modo atto a riprendere il controllo della sua politica monetaria.
È un’idea perspicace e vale la pena esplorarla. Tuttavia, Stiglitz ha torto quando suggerisce che «l’introduzione di una moneta parallela, anche in modo informale, violerebbe quasi certamente le regole della zona euro e sarebbe certamente contro il suo spirito».
La nostra organizzazione – il Gruppo della Moneta Fiscale – è stata assai attiva nello sviluppo e nella promozione di un tale schema a doppia valuta. La definiamo “Moneta Fiscale” e riteniamo che potrebbe essere usata per evitare le incertezze di un’uscita dall’euro, consentendo al contempo all’Italia di recuperare dal punto di vista economico senza infrangere alcuna regola dell’Unione Europea.
Ciò che proponiamo è che il governo emetta delle obbligazioni trasferibili e negoziabili, che i portatori possano utilizzare per i rimborsi fiscali due anni dopo l’emissione. Tali obbligazioni sarebbero portatrici un valore immediato, dal momento che incorporerebbero titolarità certe a ottenere risparmi fiscali futuri. Potrebbero essere immediatamente scambiate con euro nel mercato finanziario o utilizzate (parallelamente all’euro) per acquistare beni e servizi.
La Moneta Fiscale verrebbe assegnata, a titolo gratuito, per integrare il reddito dei lavoratori dipendenti, per finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale nonché per ridurre le imposte delle imprese sul lavoro. Queste allocazioni aumenterebbero la domanda interna e (nell’emulare una svalutazione del tasso di cambio) migliorerebbero la competitività delle imprese attraverso una riduzione del costo del lavoro. Di conseguenza, il divario fra la produzione potenziale e quella reale italiana – ovvero la differenza tra il PIL potenziale e quello effettivo – si chiuderebbe senza incidere sulla bilancia dei pagamenti del paese.
“A differenza della conclusione che trae Stiglitz, la nostra proposta è pienamente coerente con le regole dell’eurozona e potrebbe benissimo essere un riordinamento permanente per l’intera eurozona da qui in avanti.”
Si noti che, in base alle regole di Eurostat, le obbligazioni della Moneta Fiscale non costituirebbero un debito, in quanto l’emittente non avrebbe alcun obbligo di rimborsarle in contanti. Inoltre, in quanto costituiscono non-payable tax assets [attività fiscali non pagabili, NdT] (di cui esistono già molti esempi), esse non verrebbero registrate nel bilancio fino a quando non fossero utilizzate per i rimborsi fiscali, cioè due anni dopo l’emissione, una volta recuperati la produzione e le entrate fiscali.
Intanto che verifichiamo estesamente questa materia legata al debito sia dal punto di vista legale che da quello contabile, è anche importante aggiungere che il motivo per non includere le passività fiscali non pagabili (e la Moneta Fiscale in quanto tale) nei calcoli del debito pubblico di un paese che ottempera al trattato di Maastricht è una questione di sostanza, non solo di forma. Il motivo è che una passività non pagabile non sopporta alcun rischio di insolvenza che sia causato dalla mancanza di capacità di rimborso da parte dell’emittente della passività.
Sulla base di ipotesi prudenziali, calcoliamo che la crescita del PIL dell’Italia nel biennio genererebbe entrate fiscali aggiuntive sufficienti a compensare i rimborsi fiscali. Le proiezioni mostrano che tali picchi si attesterebbero intorno ai 100 miliardi di euro l’anno, rispetto al totale delle entrate pubbliche dell’Italia di oltre 800 miliardi di euro. Pertanto, il rapporto di copertura (ossia il rapporto tra le entrate lorde del governo e i rimborsi fiscali in scadenza ogni anno) sarebbe sufficientemente ampio da tener conto di eventuali carenze dovute a future recessioni.
In ogni caso, delle garanzie verrebbero fornite all’interno della legge che disciplina la Moneta Fiscale per garantire la piena conformità dell’Italia alle norme fiscali dell’UE. Tali misure consisterebbero in tagli alla spesa e/o rettifiche fiscali da attivare in automatico qualora si verificassero prestazioni fiscali ridotte, compensate da ulteriori emissioni di Moneta Fiscale a favore di coloro che sarebbero altrimenti colpiti dall’aggiustamento fiscale. L’alto rapporto di copertura permetterebbe abbastanza spazio per tutto questo.
Nell’attivare un programma di Moneta Fiscale, l’Italia avrebbe colmato il divario fra la produzione potenziale e quella reale senza chiedere nulla a nessuno. Non sarebbe necessaria alcuna revisione di trattati europei. Non sarebbero necessari trasferimenti finanziari. Il debito pubblico smetterebbe di crescere e inizierebbe a calare rispetto al PIL, raggiungendo così gli obiettivi di bilancio dell’UE previsti dal Trattato di Maastricht.
Abbiamo forse trovato la pietra filosofale? Certamente no – ma in un’economia con un grande margine di risorse, il moltiplicatore opera i suoi effetti in gran parte sulla produzione e moderatamente sul prezzo. E se le perdite esterne sono contenute (cosa che farebbe aumentare la competitività), gli effetti moltiplicatori risultano essere i più elevati. La Moneta Fiscale mobiliterà risorse non utilizzate, accelererà gli investimenti e indurrà le banche a riprendere a prestare.
Il lato negativo è quasi nullo. Anche se l’Italia dovesse attenuare la propria disciplina fiscale e decidere di sovra-emettere Moneta Fiscale, solo i suoi destinatari correrebbero il rischio; il valore della doppia moneta diminuirebbe, ma il valore dell’euro non ne risentirebbe. Né ci sarebbe il rischio di default su uno strumento privo di default.
In ogni caso, l’ampio tasso di copertura renderebbe lo scenario del tutto improbabile. Oltre a ciò, è soltanto corretto ricordare che l’inabilità dell’Italia a contenere la spesa pubblica netta è un falso mito. Tra il 1998 e il 2017, l’Italia è stato l’unico paese dell’Eurozona a non aver dato corso a un deficit primario di bilancio (tranne che nel 2009). Casomai, l’Italia ha sofferto di un eccessivo contenimento della spesa pubblica, che ha portato al suo drammatico declino produttivo.
A differenza della conclusione che trae Stiglitz, la nostra proposta è pienamente coerente con le regole dell’eurozona e potrebbe benissimo essere un riordinamento permanente per l’intera eurozona da qui in avanti.
Biagio Bossone (biografia QUI)
Marco Cattaneo
Massimo Costa
Stefano Sylos Labini
Membri del gruppo della Moneta Fiscale
Milano, Italia
Il POLITICO Global Policy Lab è un progetto di giornalismo collaborativo che mira a trovare soluzioni a problemi politici pressanti. Aderisci alla comunità.
ULTERIORI CONSIDERAZIONI
di Pino Cabras
Al fondo della questione posta dal Gruppo della Moneta Fiscale c’è un dato strutturale enorme: se si raffronta la situazione economica di oggi della Repubblica Italiana con quella del 2007, si nota un livello del PIL reale più basso di 100 miliardi di euro, un tasso di disoccupazione raddoppiato, un precariato lavorativo intensificato, un tasso di povertà assoluta tre volte tanto, un’emigrazione di massa giovanile. Le anticipazioni del rapporto Svimez descrivono un quadro drammatico del Mezzogiorno e delle Isole.
Il rimedio a cui sta intanto lavorando il ministro per gli Affari Europei Paolo Savona, ossia un grande piano di investimenti pubblici, è una proposta importantissima che richiede l’approvazione presso i padroni del discorso europeo. Abbiamo visto che l’atteggiamento dell’Europa verso il governo Conte si è ammorbidito di fronte all’assertività del nuovo esecutivo su vari temi, ma molti coltelli sono ancora tenuti dalla parte del manico a Bruxelles e Francoforte, a partire dall’annunciato esaurimento delle politiche non convenzionali della Banca Centrale europea che immettono liquidità nel sistema (Quantitative Easing).
Che lo vogliamo o no, è necessario un piano B. Non l’uscita dall’euro, che funzionerebbe da detonatore per una catastrofe geopolitica incontrollabile, bensì proprio la moneta fiscale, nella forma dei Certificati di Credito Fiscale, ovvero CCF. I CCF sono strutturati esattamente come dei “Non-Payable Deferred Tax Credits” in conformità ai criteri di Eurostat. Dunque non costituiscono debito e non vanno iscritti in bilancio se non allorché siano utilizzati come sconti fiscali (due anni dopo loro emissione). Nessun trucco contabile (cosa alla quale, per propria storia professionale, i proponenti sarebbero allergici), ma uno strumento in linea con le regole in vigore. Così strutturati, i CCF non comportano pagamenti futuri da parte dello Stato che li emette (come nel caso dei titoli di debito), e di conseguenza non implicano obblighi finanziari in capo al bilancio pubblico, il tutto senza possibili ambiguità.
Per molti versi la moneta fiscale trae notevole ispirazione dall’esperienza ormai studiata in tutto il mondo del Sardex, sviluppata da un gruppo di giovani sardi che hanno visto lontano. Il Sardex è basato su un circuito commerciale in cui le imprese che aderiscono accettano di essere pagate in Sardex in luogo dell’euro in rapporto di 1 a 1. Al pari del Sardex, la Moneta Fiscale potrebbe circolare molto fluidamente in presenza di un circuito commerciale a livello nazionale al quale sarebbero chiamate ad aderire le grandi imprese pubbliche (ad esempio ENI, ENEL, Ferrovie dello Stato, Poste, e così via), oltre alle imprese di settori che innescano importanti scambi come l’edilizia. Sarebbe il modo di creare un ampio sistema di accettazione degli sconti fiscali che, prima di arrivare a scadenza, potrebbero funzionare come un mezzo di pagamento complementare all’euro su base volontaria. L’espressione “su base volontaria” non è casuale, è molto sostanziale, e definisce la sostenibilità giuridica della proposta, senza la necessità di rotture costituzionali o giuridiche, neanche su scala europea.
Per chi voglia approfondire, di seguito potrà aprire il link a un pezzo degli stessi autori dell’articolo commentato, che spiega molto bene la proposta e ha ulteriori rimandi ad articoli in argomento:
https://megachip.globalist.it/kill-pil/2017/12/14/moneta-fiscale-le-bugie-di-bankitalia-2016380.html.
Segnalo anche l’e-book che illustra la proposta di Moneta Fiscale, con prefazione di Luciano Gallino:
“Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro”
SCARICA L’EBOOK: |
C’è un ulteriore tema che accompagna la questione della liquidità da liberare: il debito pubblico italiano. Al lettore attento ripropongo qui una soluzione originale sulla mitigazione del debito, scritta da un notevole esperto, Alberto Micalizzi, che riesce a proporre una soluzione pragmatica e svincolata dagli schemi:
“La ‘devitalizzazione’ del debito pubblico”.