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Moneta Fiscale: la via giusta per l’economia italiana

Il governo emetta titoli trasferibili e negoziabili, che i possessori potranno usare, due anni dopo l’emissione, per sconti fiscali. Avranno immediatamente valore e essere mezzi di pagamento

Moneta Fiscale: la via giusta per l’economia italiana
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7 Aprile 2019 - 20.53


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a cura del Gruppo Moneta Fiscale*.

La depressione dell’economia italiana dura da anni e non accenna a risolversi. A prezzi costanti, il Pil italiano 2018 è stato inferiore di circa ottanta miliardi di euro rispetto al 2007 – un decremento del quattro per cento! Nel medesimo periodo, le esportazioni sono aumentate dell’undici per cento – non una prestazione stellare in undici anni, ma comunque una chiara indicazione che il problema principale è la carenza di domanda interna. Se il Pil italiano fosse cresciuto allo stesso ritmo delle importazioni, oggi sarebbe più elevato del quindici per cento circa – oltre 250 miliardi di euro.
Questa situazione genera un tasso di disoccupazione U-6 (che prende in considerazione anche gli scoraggiati nonché i lavoratori involontariamente part-time) vicino al trenta per cento. Indiscutibilmente, esiste un enorme output gap.
Il 2019 non si presenta certo sotto auspici più favorevoli, anche a causa del generale rallentamento delle economie mondiali (e in particolare dell’Eurozona). Tra l’altro, le aspettative incerte sul futuro dell’economia tendono a limitare consumi e investimenti, tengono bloccato l’ingente risparmio della popolazione italiana (1.370 miliardi di conti correnti su un totale di 4.300 miliardi di attività finanziarie), restringono il credito bancario e abbassano la velocità di circolazione di moneta nell’economia, alimentando ulteriormente il circolo vizioso.
L’economia italiana sicuramente soffre anche di altri problemi. La crescita della produttività è irrisoria da vent’anni a questa parte. Ma di nuovo, almeno in parte questo nasce dalla depressione della domanda. In termini reali, gli investimenti sono stati inferiori di oltre il quindici per cento nel 2018 rispetto al 2007. La bassa domanda del settore privato, le restrizioni alla spesa pubblica, e il basso impiego della capacità produttiva esistente producono effetti negativi e perduranti su investimenti e produttività.
Il governo in carica sta cercando di immettere più potere d’acquisto nell’economia, ma i vincoli fiscali lasciano pochissimo spazio di azione. Si può discutere se il reddito di cittadinanza e la “quota cento” sulle pensioni siano le forme d’intervento più adeguate, ma il problema di gran lunga più grave è che la dimensione assoluta di queste manovre è del tutto insufficiente.
Dato che i vincoli fiscali impediscono di reflazionare la domanda emettendo debito, e poiché la politica monetaria non può diventare più accomodante di quanto sia già oggi, è necessaria una strada alternativa. La Moneta Fiscale è lo strumento necessario.
La proposta su cui stiamo lavorando da oltre cinque anni è che il governo emetta titoli trasferibili e negoziabili, che i possessori potranno usare, a partire da due anni dopo l’emissione, per conseguire sconti fiscali. Questi titoli avranno immediatamente valore in quanto incorporano diritti certi a risparmi d’imposta futuri, e potranno essere immediatamente scambiati contro euro o utilizzati come strumenti di pagamento (in parallelo all’euro) per acquistare beni e servizi.
La Moneta Fiscale verrebbe assegnata, senza corrispettivo, per integrare i redditi dei lavoratori, finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale, e ridurre il cuneo fiscale sul lavoro in favore delle aziende. Queste assegnazioni incrementerebbero la domanda interna e (replicando gli effetti di una svalutazione del cambio) migliorerebbero la competitività delle aziende. L’output gap verrebbe colmato senza peggiorare i saldi commerciali esteri del paese.
Va notato che in base ai principi contabili internazionali, questi titoli fiscali non costituirebbero debito, in quanto l’emittente non assumerebbe alcun obbligo di rimborsarli in euro. Sulla base delle regole Eurostat, quindi, sarebbero trattati come “non-payable deferred tax assets” e non avrebbero impatti sui conti pubblici fino al loro utilizzo per conseguire sconti fiscali (cioè due anni dopo l’emissione, quando produzione e gettito avranno recuperato).
Sulla base di ipotesi molto prudenziali (moltiplicatore fiscale pari a uno e ripresa degli investimenti privati in misura tale da recuperare metà della caduta rispetto al 2007) l’incremento del Pil produrrebbe gettito fiscale incrementale sufficiente a compensare gli sconti fiscali. Questi ultimi raggiungerebbero un massimo di cento miliardi annui, che si confronta con oltre ottocento di entrate totali del settore pubblico italiano. Il rapporto di copertura (cioè le entrate pubbliche lorde divise per gli sconti fiscali che diventano utilizzabili ogni anno) sarebbe più che sufficiente per gestire eventuali ammanchi dovuti a future recessioni.
Si tratta della pietra filosofale? No davvero: semplicemente, in un’economia con un forte sottoutilizzo delle risorse produttive, immettere potere d’acquisto spinge principalmente la produzione, e solo marginalmente i prezzi. E se le dispersioni esterne sono sotto controllo (come consentito dal miglioramento di competitività) l’effetto moltiplicativo è ai massimi. La Moneta Fiscale mobilita risorse inutilizzate, accelera gli investimenti e spinge le banche a far ripartire il credito.
Attivando un programma di Moneta Fiscale, l’Italia risolverebbe il suo problema di output gap senza chiedere nulla a nessuno. Non sarebbero necessarie revisioni dei trattati, né trasferimenti finanziari (che peraltro non sono nemmeno contemplabili). Il debito pubblico smetterebbe di incrementarsi e inizierebbe a declinare in percentuale del Pil, realizzando così gli obiettivi del Fiscal Compact. Le finanze pubbliche sarebbero del tutto sostenibili, data la stabilizzazione del debito e la ripresa della crescita.
Peraltro, seppure l’Italia peggiorasse in futuro la sua disciplina fiscale ed emettesse un eccesso di Moneta Fiscale, solo i riceventi ne sarebbero danneggiati: il valore dello strumento scenderebbe ma senza impatti sull’euro e senza che si creino rischi di default. Oltretutto, se dovessero crearsi carenze temporanee di entrate, potrebbero essere attivate misure di salvaguardia quali, ad esempio, il finanziamento di alcune spese con titoli fiscali (in luogo di euro), un innalzamento del prelievo fiscale compensato da assegnazioni supplementari di titoli fiscali, incentivi ai possessori di titoli per posporne l’utilizzo, o il collocamento di titoli fiscali per rifinanziare debito in scadenza. Sono misure che eviterebbero effetti pro-ciclici e incertezze di mercato.
In ogni caso, l’ampiezza del rapporto di copertura sopra descritto rende questo scenario del tutto improbabile. Inoltre, è giusto ricordare che l’incapacità italiana di controllare le finanze pubbliche è un mito. Tra il 1998 e il 2018, l’Italia è stato l’unico paese dell’Eurozona a non conseguire mai deficit primari di bilancio pubblico salvo che nel 2009. Casomai l’Italia ha sofferto di un eccesso di contenimento dei deficit pubblici e, di conseguenza, di un pesante impatto negativo sulla produzione.
Una forte ripresa dell’economia italiana (e verosimilmente di altri paesi meridionali dell’Eurozona, che potrebbero replicare lo schema Moneta Fiscale) è una precondizione indispensabile per la cooperazione efficace ed armoniosa delle economie europee. La Moneta Fiscale è lo strumento appropriato per raggiungere questo obiettivo.

* GRUPPO DELLA MONETA FISCALE

Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini.

Fonte: https://ytali.com/2019/04/04/moneta-fiscale-la-via-giusta-per-leconomia-italiana/

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