Grecia: Militari contro la repressione

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20 Gennaio 2009 - 18.51


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di Alessandro Cisilin – da Galatea European Magazine

La verità più scottante degli scontri in Grecia è che ha coinvolto tutti. I tumulti, esplosi lo scorso 6 dicembre dopo l”uccisione da parte della polizia del quindicenne studente Alexandros Grigoloupulos, e proseguiti nelle prime settimane di quest”anno, hanno mobilitato – oltre al rimpasto il mese scorso della metà dei membri del governo Karamanlis – interminabili riflessioni sociologiche, dibattiti televisivi, editoriali sulla “giovinezza” della crescita economica greca,

 

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culminata nel trionfo mediatico alle Olimpiadi del 2004, nonché della sua democrazia, trionfante sui colonnelli solo nel 1974, con relative insicurezze caricate sulle spalle di segmenti di giovani.

Nessuno o quasi ad aprire semplicemente gli occhi, e a prender atto che in piazza non è sceso alcun “segmento“, ma un intero paese. Contro un”intera classe politica e i suoi orientamenti economici bipartisan. Un”autentica rivolta popolare, con tanto di solidarietà testimoniata perfino dall”esercito.
La risposta dei partiti ai disordini è stata pressoché univoca: una mera condanna delle violenze, ferma, senza ambiguità, e in fondo senza analisi, con la sola eccezione della sinistra radicale e anti-ideologica degli Ecologisti Verdi e del Synaspismos, che hanno espresso vicinanza con le rivendicazioni dei manifestanti. Silenzio assoluto invece dai socialisti del Pasok, timorosi di giocarsi l”attuale vantaggio nei sondaggi, nutrito dall”elettorato cosiddetto moderato. E presa di distanza anche dai comunisti del Kke, senza esclusione per la sezione giovanile, che hanno accusato Synaspismos di “coprire i provocatori con il volto coperto“.
Le violenze indubbiamente ci sono state, ad Atene, Salonicco e altrove. E c”era anche qualcuno col volto coperto. Sono stati danneggiati nel solo mese di dicembre oltre trecentocinquanta negozi, e il solo municipio di Atene ha calcolato più di duecento milioni di euro di danni. Ma che si trattasse di qualcosa di più di qualche gruppuscolo di “black bloc“, magari alimentato come fu a Genova da alcuni infiltrati, emerge dal solo dato dei fermi eseguiti, circa cinquecento. Era una rabbia collettiva, che ha coinvolto decine di migliaia di giovani, affiancati da famiglie, lavoratori e pensionati. Una rabbia esplosa dalla più grave delle violenze, l”omicidio, con l”aggravante del seguito di una catena di menzogne, molto simili a quelle su Carlo Giuliani: una situazione di assedio, smentita da video amatoriali, cui sarebbe stata vittima la polizia, e un colpo sparato in aria e accidentalmente deviato verso il ragazzo, denigrato per giunta come una “testa calda, allontanata da varie scuole“, mentre non lo fu da alcuna.
La dinamica degli scontri scaturiti dopo l”assassinio è risultata del resto colma di ambiguità, sfociando quasi sempre da cortei capeggiati da slogan del tipo: “No alla violenza, disarmiamo la polizia“. Per molti le violenze sono servite da giustificazione ex post dell”accaduto, per altri da diversivo confusionale rispetto al contenuto della rabbia dei dimostranti. A ben vedere, la manifestazione incriminata non era stata infatti indetta da enigmatici gruppi eversivi, ma dalle infermiere messe in mezzo alla strada da una “riforma” ospedaliera che, come ha riconosciuto anche il quotidiano conservatore Le Figaro, ha di fatto azzerato il servizio sanitario nazionale.
I cortei, del resto, non sono iniziati lo scorso dicembre. Si tengono a ritmo settimanale dal maggio dell”anno scorso, culminando più volte nello sciopero generale.

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La ragione è che oltre alla sanità sono in discussione altre cosiddette riforme, dalla privatizzazione delle università alle pensioni, traslate nell”età, falcidiate nelle cifre e moltiplicate nei contributi richiesti ai lavoratori. Il “piano anticrisi” del governo greco parte dall”attacco ai più deboli, ovvero al welfare.
Per fermare le proteste l”esecutivo chiesto l”aiuto dell”esercito, rifornito di apposite armi e dell”ordine di sparare se minacciato.

La risposta è stata la più clamorosa delle denunce della repressione: “Siamo civili in uniforme. Ci rifiutiamo di diventare una forza di terrore, strumenti gratuiti della paura che alcuni cercano di instillare nella società“. Firmato da centinaia di soldati.

acisilin@yahoo.it

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