Dopo la repressione sui NoTav - Intervista a Gubitosa: «la nonviolenza è una tecnica efficace da studiare»

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22 Febbraio 2010 - 08.56


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di Davide Pelanda – Megachip.

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«La storia si ripete da sempre: il potere violento di pochi cerca di reprimere il potere nonviolento della gente comune che cerca di dire no alle ingiustizie. Il problema è cambiare le regole di un gioco deciso da altri, e spostare il conflitto sul fronte psicologico della comunicazione,

 

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perché sul livello fisico vincono inevitabilmente i manganelli, che all”occorrenza possono diventare anche pistole.

Corsi di formazione alla nonviolenza per le forze dell”ordine, inviti alla disobbedienza civile, vademecum legali che spiegano agli uomini in divisa il loro diritto di disobbedire a ordini ingiusti o illegittimi, incontri con le organizzazioni sindacali dei poliziotti più sensibili ai temi dell”impegno civile, tutto è utile per trasmettere le proprie persuasioni. L”unico limite è la fantasia».

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A parlare così delle violenze verso il movimento NoTav dei giorni scorsi è Carlo Gubitosa, giornalista e scrittore italiano con la passione per l”impegno civile. Con il suo lavoro serio e documentato incide enormemente sulla realtà: basta leggere il suo libro “Genova nome per nome. Le violenze, i responsabili, le ragioni. Inchiesta sui giorni e i fatti del G8” (Ed. Altreconomia/Terre di Mezzo, 2003) scritto dopo i fatti del G8 del 2001, di cui è stato testimone reale.

 

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Lo abbiamo intervistato per una analisi sul movimento NoTav e la nonviolenza.

 

 

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C”è chi dice che «la dissobbedienza civile, come è stata usata anche a Genova in via Tolemaide si è dovuta poi scontrare con una forte repressione. Da qui i gravi incidenti che portarono alla morte di Carlo Giuliani. Infatti l”accusa mossa dopo il G8 fu quella che la dissobbedienza civile aveva fallito». Condividi?

«In via Tolemaide non ha fallito la disobbedienza civile, ma il metodo di ”teatralizzazione” del conflitto che in altre occasioni e in altri vertici aveva portato a violazioni simboliche delle varie zone rosse istituite dal potere. Il copione era chiaro: si arriva al limite, qualcuno entra per dimostrare che i popoli non accettano ordini dai potenti, si fa un po” di scaramucce, qualcuno viene fermato e/o identificato, e la cosa finisce lì. Ma a Genova, e ancora prima a Napoli, qualcosa è saltato. Da una parte un potere sempre più arrogante non accettava più nemmeno le sconfitte simboliche, dall”altra strategie fallimentari di comunicazione portavano a dichiarazioni di guerra che alimentavano l”escalation del conflitto e allontanavano dalla protesta la gente semplice non abituata a grandi paroloni, e il risultato di questa escalation è stata la violenza di piazza che ha avuto il suo culmine in Piazza Alimonda. Si è imparato qualcosa da questo? Spero di si, temo di no».

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Mass-media e nonviolenza. Nella situazione dei NoTav che da oltre 20 anni lottano per evitare uno scempio sia economico sia in difesa dell”ambiente, l”informazione mainstream (La Stampa, Repubblica, le agenzie, le tv come i TG della Rai e Mediaset ecc.) viene fortemente criticata: i NoTav dicono (ed è dimostrabile facilmente) che sia asservita al potere e che quindi stravolga la realtà dei fatti nell”accusare questo movimento di essere ”terrorista” e ”anarco-insurrezionalista” ecc. Rimane solo internet come canale preferenziale di questo movimento dove le informazioni e le foto, nonché i video rendono più vere le situazioni e le violenze. Che fare dunque?

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«Non ho una risposta collettiva, posso fornirti solo la mia personale risposta alla disinformazione. Da molto tempo ho smesso di leggere quotidiani e di guardare la televisione. Il tempo dedicato a giornali e TV è più che sufficiente per leggere un libro alla settimana. Questo mi permette di essere meglio informato degli altri, anche se vengo esposto a una minore quantità di informazioni. Il potere dei giornali è quello che gli dà la gente che li legge. Chi compra Repubblica convinto di fare un bel gesto, non sa che in alcune regioni d”Italia questo giornale favorisce di fatto i potentati locali dell”informazione, come accade a Catania dove l”unico giornale locale è quello di Mario Ciancio e Repubblica si è tirata cortesemente indietro per fargli un favore. La mia ricetta personale quindi è “meno tv, meno giornali, più libri”».

 

Oggi la nonviolenza attiva è ancora efficace? Può essere usata in questa ed altre circostanze in maniera efficace? Con quali risultati?

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«Il manuale di Aldo Capitini “Le tecniche della nonviolenza“, scritto mezzo secolo fa, è ancora oggi un vademecum attualissimo per singoli e gruppi che vogliono lottare con strumenti diversi da quelli che usa il potere. A volte basta un semplice atto di disobbedienza o di non collaborazione per innescare meccanismi inarrestabili di liberazione. Ma prepararsi alla Nonviolenza è molto più difficile che prepararsi alla guerra, perché per sparare o manganellare basta una preparazione fisica, mentre per la lotta nonviolenta è necessaria anche una grande preparazione mentale e spirituale, che va ricercata non solo a livello individuale, ma anche e soprattutto a livello di comunità e gruppi locali. Se gli amici della Nonviolenza dedicassero alla lotta per la giustizia solo una briciola delle risorse che si dedicano per alimentare le strutture di potere violento, gli abusi che piovono dall”alto non riuscirebbero mai ad attecchire. Ma purtroppo il più delle volte ci si accontenta di far numero in piazza, come se agli eserciti bastassero le parate militari. Detto questo, rimando alla lettura del libro di Capitini tutte le persone interessate a imparare le tecniche della nonviolenza al di là delle loro espressioni esteriori».

 

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Cosa rispondi ad un abitante della Valsusa che scrive nella Rete: «A) LA RABBIA ED AGRESSIVITÀ è loro o dei loro entourages, dei loro circostanti amici:

B) (.) è assiomatico, cioè diretto: se hai avuto guai con la giustizia o con la polizia, la polizia ti può liberamente lasciare per morto, può eseguire una condanna non prevista dal codice penale, ha diritto di vita e di morte su qualsiasi cittadino italiano, purché si sia al buio e in un bosco, e nessuno veda e fotografi». A questa forte affermazione cosa rispondi? È veramente così? È vero che dopo i gravi fatti di Genova 2001 la gente ha paura delle divise e delle forze dell”ordine?

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«Messa così la stessa cosa si può dire dei medici. In sala operatoria possono far morire qualcuno sotto i ferri sapendo che sarà molto difficile dimostrare il dolo intenzionale delle loro azioni. Ma non è questo il problema, secondo me. Il punto della questione non è la possibilità di un abuso violento del proprio potere, io temo il silenzio della massa più degli eccessi dei singoli. E quindi non mi fanno paura i poliziotti pazzi che esercitano la violenza impunemente, ma le decine di colleghi attorno a loro che guardano, tollerano, lasciano correre, non segnalano ai superiori i piccoli abusi di oggi e li lasciano degenerare fino a quando si trasformano nelle grandi violenze di domani. L”omertà a freddo delle forze di polizia nel loro insieme mi ha fatto più paura delle violenze nella scuola Diaz. Se c”è in giro una ventina di pazzi, la cosa mi inquieta, ma se quando si indaga su questi pazzi le massime autorità dello stato mettono i bastoni tra le ruote della magistratura consegnando minuscole e vecchissime fototessera per identificare i responsabili, la cosa mi fa venire davvero i brividi sulla schiena. E poi dicono che la disobbedienza civile non serve! Bisognerebbe insegnarla a ogni poliziotto che viene istigato al silenzio omertoso dai suoi superiori o dai suoi colleghi».

 

Tiziano Terzani scriveva: «Oggi l”economia è fatta per costringere tanta gente a lavorare a ritmi spaventosi per produrre delle cose perlopiù inutili, che altri lavorano a ritmi spaventosi, per poter comprare, perché questo è ciò che dà soldi alle società multinazionali, alle grandi aziende, ma non dà felicità alla gente». Condividi?

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«Purtroppo sì».

 

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