6 mesi di reclusione e un rimpatrio forzato per aver visitato la sua famiglia

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23 Luglio 2010 - 09.02


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di FabioNews

Espulso il ragazzo tunisino che protestava dal CIE di Torino, il 13mo rimpatrio dal 12 luglio

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Dopo tre giorni e tre notti di permanenza sul tetto, Sabri, il ragazzo tunisino di 32 anni rinchiuso nel CIE di Corso Brunelleschi a Torino, è stato costretto dall”intervento delle forze dell”ordine a interrompere la sua coraggiosa protesta e probabilmente è stato deportato in Tunisia. “Probabilmente” poiché dal momento dell”intervento non si sa che fine abbia fatto Sabri e neppure il suo avvocato è stato in grado di reperire ulteriori informazioni. “Desaparecido” nel buio della sospensione dei diritti dei CIE.

 


La protesta di Sabri non è stata solitaria. Durante la sua permanenza sul tetto, i richiusi del blocco viola hanno bloccato l”accesso al tetto cercando di attirare l”attenzione degli italiani sulla drammatica situazione in cui vivono, mentre il movimento antirazzista di Torino ha mantenuto un presidio permanente (giorno e notte) da lunedì 22 davanti al centro, sostenendo Sabri nella sua lotta.
Lo stesso movimento ha organizzato ieri sera una manifestazione di protesta dopo le numerose azioni di informazione e sensibilizzazione dei giorni scorsi iniziate dal quartiere dove sorge il CIE.

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La storia di Sabri è assurda ma simile a molte altre storie di chi viene privato di ogni diritto e rinchiuso in questi centri.
Arrivato in Italia 7 anni fa senza i documenti ha trovato un lavoro ad Ancona come pescatore, logicamente in nero. Questo gli ha permesso di costruirsi una vita nel nostro paese, ma dopo 7 anni ha deciso di rischiare e ritornare a salutare la sua famiglia in Tunisia sebbene senza documenti (impossibili da ottenere senza un lavoro in regola). Una decisione che gli è costata molto cara: al rientro in Italia è stato catturato e rinchiuso per 3 mesi nel CIE di Crotone per poi essere trasferito a Torino dov”è rimasto per altri 3 mesi.
Sei mesi durante i quali, come tutti “gli ospiti” del CIE, è stato privato della sua libertà e “incarcerato” anche se non ha commesso alcun reato.

Se sei extracomunitario e commetti un reato, infatti, finisci in carcere, mentre nei CIE si tratta di “detenzioni amministrative”: ovvero l”unico “reato” è quello di non avere un permesso di soggiorno valido nel momento del fermo.

La libertà di movimento è solo il primo dei diritti negati, poiché i CIE sono a tutti gli effetti luoghi nei quali i diritti basilari vengono sospesi e i rinchiusi sono lasciati in balia dell”arbitrarietà di chi gestisce i centri ed esposti alle brutalità delle forze dell”ordine. I pestaggi sono all”ordine del giorno; si sono registrati casi di tentati stupri (l”ultimo venuto alla luce, il caso di Joy a Milano), di mancate cure sanitarie, di somministrazione di farmaci scaduti (come per Maer, sempre a Torino, e rimpatriato durante questo mese) e di sedativi mescolati nei pasti.

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A chi è rinchiuso nei centri – a differenza di un carcerato – non essendo sotto processo, non gli viene assegnato un avvocato difensore né sa quale sarà il suo destino. Dopo 6 mesi di detenzione può, infatti, essere rimpatriato o rilasciato con un foglio di VIA.

Sabri sarebbe il tredicesimo nordafricano a essere deportato in Tunisia dal CPT di Torino dal 12 Luglio, data in cui è entrato in vigore l”accordo tra Italia, Algeria e Tunisia per “facilitare i rimpatri”.

Fanno parte del movimento antirazzista di Torino alcune associazioni, i sindacati di base, gruppi per i diritti degli omosessuali nonché Emergency, oltre ai “pericolosi squatter dei centri sociali e gruppi anarchici”; nessuna realtà istituzionale, nessun partito o sindacato ne fa parte, né ha sentito la necessità di portare la propria solidarietà ai migranti in lotta passando dal presidio in questi giorni.

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Tutto questo avviene nel nostro democratico paese, nelle nostre città, giorno dopo giorno, mentre noi passiamo davanti ai cancelli dei CIE indifferenti e indaffarati.

Troppo occupati per fermarci a guardare e cercare di capire, troppo di fretta per avere il tempo di indignarci.

A volte pensiamo che “i nostri rappresentanti” istituzionali siano peggio della società che rappresentano. Sul tema dei migranti purtroppo bisogna constatare che a parte rare eccezioni la società civile non sembra meglio delle istituzioni che la rappresentano.
Forse è più semplice mobilitarsi davanti a violazioni dei diritti umani che avvengono dall”altra parte del mondo, meglio ancora se sospinti dall”indignazione telecomandata dei media, anzichè per quelle che capitano nel nostro paese che possono farci sentire, in parte, più direttamente colpevoli.

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Articolo originale Qui

 

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