'Dell''Utri, i perbenisti e la ''''violenza'''' della legalità'

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2 Settembre 2010 - 11.21


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di Monica Centofante
Per il senatore Marcello Dell”Utri, zittito a Como da “pericolosissimi fanatici della legalità” non si è fatta attendere la levata di scudi dei perbenisti. Quegli appelli al diritto di parola che dev”essere garantito a tutti, e pazienza se il soggetto in questione è stato condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa. Che sarà mai? Attendiamo la Cassazione.

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Quando a dicembre, a Torino, ha deposto il pentito Gaspare Spatuzza, solo l”ultimo caso in ordine di data, gli stessi perbenisti non erano dello stesso avviso. Un criminale non dovrebbe parlare, dicevano, uno che ha ucciso, che ha fatto parte di Cosa Nostra. E se si è pentito e ora attacca quell”organizzazione fornendo un contributo decisivo a decisive indagini son problemi suoi e dei magistrati che gli vanno dietro. E” un vergognoso criminale e deve tacere per sempre.
Sui pentiti non la pensava così Giovanni Falcone, ma in questi casi meglio non tirarlo in ballo, e in quanto al senatore e a quella condanna in secondo grado i perbenisti preferiscono sorvolare sul reale significato di “concorso esterno in associazione mafiosa”.
Eppure leggiamo nella prima sentenza di Palermo, mentre attendiamo le motivazioni dell”appello, “la pluralità dell”attività posta in essere (da Marcello Dell”Utri ndr)” “ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di ”cosa nostra” alla quale è stata, tra l”altro, offerta l”opportunità, sempre con la mediazione di Marcello Dell”Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell”economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che, lato sensu, politici”.
Mentre trattava con il senatore, che contruibiva ad aumentarne forza e prestigio, la mafia siciliana continuava ad uccidere innocenti, ad opprimere, a soffocare l”economia legale, a infiltrare le istituzioni fino a raggiungerne i più alti vertici.
Non era diversa dalla Cosa Nostra in cui era inserito Gaspare Spatuzza. Ma quando si tratta del senatore, qualcuno preferisce chiamarla in un altro modo.
Ci dicano perché i signori perbenisti.
E in quanto al sacrosanto principio del diritto di parola nulla in contrario, ma le regole dovrebbero valere per tutti. Anche per chi non accetta lezioni di storia o peggio di morale da un condannato in appello per i suoi legami, fino adesso accertati dai giudici, con i vertici della criminalità organizzata. Tanto più se il condannato in questione riveste una carica politica e per questo più di altri è sottoposto al giudizio dei cittadini. O come spesso si preferisce chiamarli, degli “elettori”.
Questo, ovviamente, purché non si sfoci nella violenza, cosa che infatti non è accaduta, a dispetto delle critiche pretestuose dei soliti noti.
E allora articolo 21 della Costituzione sì, ma quel diritto è uguale per tutti.

Tratto da: antimafiaduemila.com

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