Pastores e carabineris

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31 Dicembre 2010 - 01.14


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di Efisio Arbau.*

“La legge è uguale per tutti”, leggo sempre nelle aule dove discuto i processi, e ci credo pure. Tuttavia, quando mi raccontano notizie come quella che mi è arrivata il 28 dicembre da Civitavecchia, capisco che per qualcuno la legge è molto disuguale.

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I fatti. Duecento pastori del movimento si sono imbarcati la notte prima ad Olbia con l”obiettivo di raggiungere Roma al mattino e manifestare pacificamente le loro ragioni. Non hanno l”autorizzazione della competente autorità di pubblica sicurezza ma non hanno neanche annunciato nessuna manifestazione. In teoria sono dei pellegrini che si recano nella città eterna per pregare.

 

Sbarcati a Civitavecchia vengono fermati per un”identificazione di massa. Di fatto è la scusa per bloccarli in porto.

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Cresce la tensione e qualche pastore viene pure ammanettato.

Questo è lo Stato italiano, quello degli arresti preventivi (tecnicamente una sciocchezza) annunciati da Gasparri.

La sola colpa: voler portare la propria voce vicino ai palazzi del potere, che in Sardegna sono chiusi a qualsiasi istanza della comunità regionale.

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* Efisio Arbau è un giovane avvocato, pastore e sindaco di Ollolai (NU). Alle elezioni provinciali del 2010 ha guidato una coalizione indipendente che ha ottenuto un clamoroso 24% dei voti su tutta la provincia. Ha fondato un movimento politico, La Base, radicato in diverse aree della Sardegna e orientato a sfidare la partitocrazia sui temi economici, ambientali e della buona amministrazione.

 

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SEGUE:

 

Lettera di Gian Luca Artizzu (da Roma) pubblicata su «la Repubblica» del 30 dicembre 2010

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Decine di pastori sardi su una nave da Olbia a Civitavecchia. Forse duecento. Organizzano un sit-in, una protesta che si dice pacifica, a Roma, il centro del potere, o delle decisioni, o della comunicazione. Vorrebbero sfilare per le vie della Capitale, farsi vedere, magari distribuire qualche volantino che spieghi, sedersi davanti al Palazzo, far sentire il rumore dei campanacci (un tempo si faceva così), organizzare una conferenza stampa.

Sono gli stessi pastori che qualche mese fa misero da parte una pecora a testa, le raccolsero tutte in un grande gregge di più di mille pecore e le portarono ai pastori abruzzesi in nome di un”antica usanza sarda, “sa paradura”, che vuole che così sia fatto per chi perde il proprio gregge e per chi è colpito da una grande sfortuna. Usanze antiche di solidarietà e di civiltà, vive dentro chi ancora le porta con sé e le pratica; folclore da programma domenicale per molti altri, indifferenza per chi rimane.

Da mesi, che sono ormai anni, i pastori denunciano la loro condizione: il latte è pagato dagli industriali meno del costo di produzione. Non poco meno: il 50% sul pagato: 60-65 centesimi, contro un costo di circa 90 centesimi -1 euro. La globalizzazione. L”importazione sleale di latte dall”Est europeo che, mischiato con quello sardo (che con una percentuale minima è in grado di dare sapore anche a quello) finisce per costituire la base di altri formaggi. Il cambiamento dei gusti dei tradizionali clienti americani (meno sale: per la pressione), in atto da un decennio ma che nessuno, né gli industriali, né gli enti regionali preposti, avrebbe saputo prevedere, come se prevedere il passato fosse un”arte esoterica. Il mancato utilizzo di fondi europei per il sostegno. La mancata istituzione di un marchio “dop” che desse merito ad un latte e a dei prodotti caseari ricavati attraverso il libero pascolo su terre incontaminate, in una delle zone più selvagge e spopolate d”Europa, su luoghi che solo pochi esperti nativi conoscono.

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Ma veniamo alla cronaca dell”altro giorno. Decine di poliziotti e carabinieri. Stipendio tra i milleduecento e i milleseicento euro al mese. Anfibi, caschi, scudi, manganello e tutto il resto. Quelli sulla nave vogliono raggiungere il centro. Vogliono fare casino. Come gli studenti qualche settimana prima. Sono pastori: hanno la “pattadese“, sono pericolosi. Sfasceranno tutto. Già l”hanno fatto a Cagliari, ad ottobre. Allora i poliziotti bloccano i pullman per Roma, bloccano il porto di Civitavecchia. Sferrano un calcio alla responsabile della comunicazione del movimento, manganellano un ragazzo. Devono identificare tutti, dicono. Ma quelli non si vogliono far identificare. Perché dovrebbero? Non sono più uomini liberi? Il porto di Civitavecchia, la città più vicina alla Sardegna, viene chiuso. Le persone, i pastori, sono chiusi nel porto come se avessero chiuso uno stazzo. Chi tenta di uscire dal recinto viene bastonato. Devono rimanere lì. Fino a sera: poi saranno reimbarcati e scortati e sorvegliati in nave fino al rientro in Sardegna. Il resto del territorio non è per loro. Solo il recinto del porto.

Adesso dicono che si trattava di una manifestazione non autorizzata, può darsi. Ma la manifestazione non c”è stata. In nome di che queste persone sono state private del loro diritto costituzionale di muoversi liberamente sul territorio nazionale? Mi sfugge l”articolo della Costituzione che ammette le azioni preventive sulla libertà.

 

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