A Palermo il tritolo per uccidere Di Matteo


'A pochi giorni dalle commemorazioni sulla strage di via D''Amelio, a Palermo torna lo spettro di un nuovo attentato. Nel mirino Antonino Di Matteo.'

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25 Luglio 2013 - 15.52


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di Giorgio Bongiovanni.

L”ombra di una nuova strage di Stato

.

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A pochi giorni dalle commemorazioni sulla strage di via D”Amelio, in cui persero la vita il giudice Borsellino e la sua scorta, a Palermo torna lo spettro di un nuovo attentato. Nel mirino c”è il sostituto procuratore Antonino Di Matteo,
magistrato di punta dell”inchiesta trattativa mafia-Stato confluita nel
processo che si svolge a Palermo per “attentato al corpo politico dello
Stato”.

A rivelare il progetto di attentato un confidente che, in base
alla ricostruzione del quotidiano “La Repubblica”, non è un
mafioso ma sarebbe ritenuto attendibile dagli organi investigativi.
L”uomo, i primi di luglio, ha parlato alla squadra mobile di Palermo di
incontri fra capimafia di città e alcuni “paesani”, in cui sarebbe stata
sollecitata l’esecuzione dell’attentato nei confronti del magistrato.
Non solo, in questi incontri si sarebbe anche detto che l’esplosivo era
già arrivato.

La notizia è stata immediatamente girata al Comitato
provinciale per l’ordine e la sicurezza ed una nota riservata è stata
inviata anche all’Ufficio centrale scorte, organismo istituito presso il
ministero dell’Interno che ha deciso di portare il livello di
protezione per Di Matteo al primo.

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Un tipo di scorta che è stato
assegnato solo ad una ventina di persona in tutta Italia, compreso il
Capo dello Stato. Così al palazzo di giustizia sono arrivati i
carabinieri del Gruppo d”intervento speciale, le teste di cuoio, che si
aggiungono al nucleo scorte di Palermo. Di Matteo per la propria
sicurezza ha a disposizione un corteo composto da tre auto blindate, con
una quarta a fare da “staffetta”, mentre sotto l”abitazione del
magistrato cӏ una vigilanza fissa mentre altri carabinieri si occupano
della “bonifica” delle strade e dei luoghi maggiormente frequentati dal
pm.

Le rivelazioni dell”ultimo confidente non sono i primi “avvisi” nei
confronti dei magistrati della Procura di Palermo. A fine giugno,
proprio nel giorno dell”udienza sulla trattativa, ignoti si erano
introdotti nell”abitazione di un altro dei magistrati del pool che si
occupa dell”inchiesta, Roberto Tartaglia, andando a
rovistare tra armadi e cassetti portando via una pen-drive, e altre
minacce erano state portare nei confronti del sostituto procuratore Francesco Del Bene. Anche attorno a loro e al procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che coordina le indagini, è scattata l”allerta. Inoltre non possono essere dimenticate le lettere anonime
arrivate in Procura, una delle ultime ad aprile, in cui si parlava
proprio della preparazione di un attentato nei confronti di Nino Di
Matteo in cui era scritto: “Amici romani di Matteo (Messina
Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo
momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di
ingovernabilità. Cosa nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono
d’accordo”
. L’anonimo scriveva pure di alcune prove di esplosivo fatte in provincia di Trapani.

Alla
luce di queste notizie occorre fare alcune considerazioni. Le ultime
indagini su Cosa nostra rivelano come a Palermo e dintorni vi sia una
nuova schiera di boss rampanti che sarebbero pronti anche a gesti
eclatanti. Probabilmente non è un caso che negli ultimi anni si sia
tornato a sparare con il verificarsi di omicidi di mafia (ultimi quelli
contro i canadesi Juan Ramon Fernandez e Fernando Pimentel). Tuttavia
secondo alcune fonti investigative non vi sarebbe la convenienza, da
parte di Cosa nostra, ad uccidere in questo momento alcun magistrato. Il
collaboratore di giustizia Manuel Pasta ha raccontato
agli inquirenti come nel 2009 lo stesso Matteo Messina Denaro, che a
giugno ha raggiunto i 20 anni di latitanza, si sarebbe opposto ad azioni
mirate contro magistrati e forze dell”ordine. “Questa è una delle
problematiche che in quel momento c”era nel 2009 – ha detto – tanto è
vero che il figlio di questo magistrato fu pedinato perché si doveva
colpire… da quello che mi riferisce il Biondino Giuseppe (parente stretto del boss Salvatore Biondino, autista e fedelissimo di Riina
legato ai servizi segreti e arrestato insieme al “capo dei capi” ndr)
era intervenuto il Messina Denaro, nel senso che consigliava di non fare
assolutamente queste cose e che l”esperienza del passato aveva
dimostrato che non portava a nulla, anzi soltanto guai”.
 Cosa è
accaduto in questi anni tanto da far cambiare idea lo stesso capomafia
trapanese? La causa sarebbe da ricercare non nella serie di colpi subiti
da Cosa nostra con la lunga serie di arresti che hanno portato alla
sbarra i mafiosi. Forse la causa è da ricercare proprio nell”inchiesta
sulla trattativa e sul processo che è ora in corso a Palermo e che vede
come imputati non solo i capimafia ma anche politici e rappresentanti
delle istituzioni. La Cosa nostra di oggi non è più quella del 1992, con
i corleonesi che dovevano intraprendere una strategia stragista.
Tuttavia, così come accadde per Borsellino, si potrebbe “prestare” ad
essere braccio armato di ben altri mandanti. E il sospetto che a
chiedere un attentato possano essere personaggi dello Stato è alto.

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Nell”inchiesta
sulla trattativa, che tra l”altro si sta sviluppando anche in un
secondo troncone che sta cercando di accertare eventuali responsabilità
di ambienti deviati dei servizi segreti, sono coinvolti uomini politici
di centro, di destra e di sinistra. 
Anche la Procura di Caltanissetta
sta conducendo un”indagine sui mandanti o concorrenti esterni (come li
definisce il procuratore Sergio Lari ndr) alle stragi e
le due inchieste di Palermo e Caltanissetta potrebbero portare nel
futuro a importanti novità indagando o arrestando non solo personaggi
potenti dello Stato ma anche appartenenti alla grande finanza criminale,
a servizi paralleli, alla massoneria deviata e all”estremismo eversivo
di destra. Un”ipotesi terrificante.
 L”accanimento che, in particolare
nell”ultimo anno, è stato portato avanti nei confronti dei magistrati
del pool sulla trattativa (Teresi, Di Matteo, Del Bene, Tartaglia), e di
quelli di Caltanissetta ci portano a dire che se dovesse accadere
qualcosa a qualcuno di questi giudici anche questo governo sarebbe
responsabile dell”eventuale assassinio. Noi, ovviamente, speriamo che
eventi simili non accadano mai ma se nuove stragi dovessero verificarsi
sappiamo già chi saranno i responsabili.

L”inchiesta sulla
trattativa è scomoda e i tentativi per intralciarla vengono portati
avanti a più livelli. Altrimenti non si spiega il motivo per cui un
magistrato come Nino Di Matteo possa essere oberato di “processetti”
(abusi edilizi e quant”altro ndr), come accadeva a Falcone, pur di
distoglierlo dalle indagini.

Indagini che potrebbero portare a
scoperchiare quel calderone che i potenti vogliono tenere chiuso
portando alla luce verità inconfessabili. Ancora oggi non sappiamo il
motivo per il quale il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
abbia risposto al telefono, e tentato di aiutare, un imputato (per
falsa testimonianza) del processo mafia-Stato, l”ex ministro Nicola Mancino.
Non solo. E” intervenuto addirittura in prima persona portando avanti
un atto senza precedenti con il conflitto di attribuzione nei confronti
contro la Procura di Palermo che ha portato alla distruzione delle
intercettazioni tra lui e lo stesso Mancino. 
Sarà forse per questo che
ancora non sono stati dati messaggi di solidarietà dal Capo dello Stato,
nei confronti del pm Di Matteo, minacciato di morte, che come capo del
Csm dovrebbe invece tutelare, proteggere e sostenere? 
Ma nell”inchiesta
è coinvolto anche Marcello Dell”Utri, personaggio
chiave dell”ultimo ventennio di governo berlusconiano, e dietro di lui
si scorgono personaggi potenti dello Stato, della massoneria, dell”Opus
Dei, dei Servizi segreti e della criminalità finanziaria.

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Per evitare quella che sarebbe una vera catastrofe potrebbe anche essere utile l”intervento di Piero Grasso, Presidente del Senato oggi, ma in passato capo della Procura di Palermo e Procuratore Nazionale Antimafia.

Proprio
in virtù dei ruoli ricoperti nel recente passato a lui chiediamo che
non stia inerme e gridi in tutte le sedi il pericolo che corrono i suoi
colleghi palermitani, che esprima il suo pensiero, che dica le sue
intuizioni sulla verità delle stragi di Stato e di quelle che potrebbero
verificarsi nei confronti degli “eredi” di Falcone e Borsellino. E allo
stesso modo dovrebbero fare i leader del Movimento Cinque Stelle e Sel,
Beppe Grillo e Nichi Vendola, a loro
volta impegnandosi affinché i loro rappresentanti in Parlamento facciano
sentire la propria voce esprimendo sostegno ai magistrati. Perché il
silenzio e l”omertà sono figli della complicità e questo non può essere
il tempo del “mutismo” altrimenti si corre il rischio di piangere nuovi
martiri.

E allora diciamolo con chiarezza. Cosa nostra, in un
eventuale attentato, reciterebbe il ruolo di colui che preme il
telecomando, mentre i veri assassini del giudice Di Matteo sarebbero
altri uomini, alcuni dei quali siedono tuttora nelle istituzioni come
rappresentanti del governo e delle Istituzioni. Quindi basta!
 E con forza diciamo no ad una nuova strage di Stato!

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Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/2013072544260/giorgio-bongiovanni/a-palermo-il-tritolo-per-uccidere-di-matteo.html

 

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