Lo Stato-mafia

'Dalla trattativa alla truffa, indagato a Milano l''ex colonnello Giuseppe De Donno. Perché lo Stato nascondere la sua criminale complicità con la mafia. [G. Bongiovanni]'

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23 Marzo 2014 - 22.49


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di Giorgio Bongiovanni.

Una
linea di pensiero si può tirare mirando a quanto avvenuto in questi
giorni sull”asse Roma-Milano-Palermo. Da una parte Papa Francesco, don
Ciotti ed i familiari delle vittime di mafia. Da un”altra Formigoni, la
Regione Lombardia, Giuseppe De Donno. In mezzo il fenomeno della
corruzione, sempre più imperante, e l”inchiesta sullo Stato-mafia.

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Potremmo chiederci cosa c”entrano queste figure, ed eventi, l”una con l”altra. Eppure c”entrano.

Giuseppe
De Donno, ex colonnello del Ros dei Carabinieri, figura tra gli
imputati del processo trattativa Stato-mafia, accusato di attentato a
corpo politico dello Stato e nello specifico di aver contattato Massimo
Ciancimino (figlio di Vito, ex sindaco mafioso di Palermo) affinché
intercedesse presso il padre per avviare così una trattativa con i capi
di Cosa nostra. Al di là del procedimento, per il quale c”è la
presunzione di innocenza fino all”emissione della sentenza del terzo 
grado di giudizio, è un dato di fatto che Giuseppe De Donno, con il suo
agire, ha violato il principio dell”etica del servizio dell”Arma
parlando con un mafioso dal calibro di Vito Ciancimino. E” lo stesso ex
colonnello ad aver dichiarato: “Decidemmo di contattare in qualche modo
la mafia attraverso Vito Ciancimino per fermare le stragi”.

Ed è proprio questa l”azione antietica, ovvero il dialogo con Vito
Ciancimino in un primo momento avviato tramite il figlio Massimo poi
direttamente in prima persona con l”ex sindaco mafioso di Palermo,
legato a stretto filo con la corrente sanguinaria dei corleonesi.

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Certo,
non possiamo ancora sapere se Giuseppe De Donno, assieme al coimputato
Mario Mori, con le sue azioni può essere tra i responsabili che
accelerarono i tempi che portarono poi alla morte del giudice Paolo
Borsellino, ma a nostro avviso può bastare già avviare un dialogo con
uomini di mafia per non permettere alcun avanzamento di carriera
all”interno dell”Arma, cosa che invece non è avvenuta, e i “premi” da
parte dello Stato sono stati invece molteplici. Con Cosa nostra, e
qualsiasi altra organizzazione criminale, non può esserci alcuna forma
di dialogo o di trattativa, se davvero si vuole sconfiggere ed
annientare. Per questo a nostro parere, anche qualora venissero assolti
dalle accuse, resta il tradimento di Mori e De Donno dell”Istituzione
che hanno rappresentato. Resterebbe anche qualora l”ordine fosse venuto
da un loro diretto superiore, perché avrebbero avuto la possibilità di
lasciare l”arma, accusando a loro volta quegli ufficiali che avrebbero
dato quell”ordine.

Ciò non è avvenuto ed è ormai storia che, nonostante i processi e le accuse a loro carico, entrambi sono stati premiati.

Giuseppe
De Donno, ad esempio, è stato scelto ed ingaggiato, nel 2009, come
membro del Comitato per la legalità e la trasparenza delle procedure
regionali dell”Expo 2015 in Lombardia. E a volerlo non fu altri che
l”allora presidente della Regione Formigoni. Non solo. Rognoni,
direttore generale dimissionario di “Infrastrutture Lombarde”, ha
affidato alla GRisk, società di sicurezza di cui dal 2013 De Donno
controlla il 66%, la “rilevazione del rischio ambientale e legale
nell’ambito delle attività istituzionali”. Adesso De Donno risulta
indagato anche dalla procura di Milano con l”accusa di concorso in
turbativa d’asta, falso ideologico e truffa aggravata e, secondo la
ricostruzione del gip, la GRisk sarebbe stata favorita attraverso le
gare d”appalto truccate.

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Accuse che, se dovessero essere provate,
dimostrerebbero un”azione non solo antietica da parte di De Donno, ma
addirittura criminale nei confronti dei cittadini dello Stato italiano.

E
in questo “quadro” ha una parte di responsabilità anche l”ex presidente
della Regione Lombardia, Formigoni. Istituendo il “Comitato per la
legalità e la trasparenza delle procedure regionali”, lui poteva
scegliere a chi affidare l”incarico. Avrebbe potuto rivolgersi a figure
come l”attuale capo della Dia campana, Giuseppe Linares, cacciatore di
latitanti a lungo sulle tracce di Messina Denaro, o come Manfredi
Borsellino, figlio del giudice Paolo ed attualmente Commissario di
Polizia di Cefalù, o come il capo della Squadra mobile di Milano,
Alessandro Giuliano (figlio di Boris, ucciso dalla mafia il 21 luglio
1979 ndr). Ancora, poteva chiedere disponibilità ad altri magistrati
integerrimi come Gian Carlo Caselli, Alfonso Sabella, Sebastiano Ardita,
Nicola Gratteri. Oppure Antonio Ingroia, oggi commissario straordinario
della Provincia di Trapani ed alla guida di E-servizi. Ma invece di
puntare su questi nomi, Formigoni, a sua volta mandato a processo per il
caso Maugeri con l”accusa di associazione per delinquere e corruzione,
ha preferito affidarsi al prefetto ed ex generale Mario Mori, già
comandante del Ros dei Carabinieri e direttore del Sisde, e all’ex
colonnello Giuseppe De Donno, già braccio destro di Mori al Ros, poi suo
capo di gabinetto al servizio segreto civile. Figure, entrambe più che
discutibili.

Ieri Papa Francesco, ha incontrato centinaia di
familiari di vittime di mafia, assieme a don Luigi Ciotti, il promotore
anche spirituale della lotta contro la mafia. Le sue parole, rivolte ai
mafiosi, ancora riverberano nella chiesa di San Gregorio VII: “Per
favore cambiate vita, convertitevi, fermatevi di fare il male!.
Convertitevi per non finire all”inferno, è quello che vi aspetta se
continuate su questa strada. Avete un papà e una mamma, pensate a loro.
Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da
tanti crimini mafiosi è denaro insanguinato, è potere insanguinato e non
potrete portarlo nell”altra vita”.

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Ci permettiamo di aggiungere alle
parole di Sua Santità, che altrettanto dovrebbero fare tutti quei
rappresentanti delle forze dell”ordine, pochi grazie a Dio, che nel
corso della Storia d”Italia si sono corrotte, hanno partecipato o
collaborato ad armare la mano degli assassini che hanno ucciso tutte le
vittime di mafia. Altrettanto dovrebbero pentirsi tutti quei politici
che hanno sostenuto la mafia e senza i quali la stessa sarebbe morta da
tempo. Dovrebbero pentirsi tutte quelle autorità di Stato che
impediscono il raggiungimento della verità su fatti e misfatti del
nostro Paese. Dovrebbero pentirsi anche quei cardinali corrotti e
porporati che hanno fatto riciclare i soldi, sporchi di sangue, nella
banca del Vaticano. Dovrebbero pentirsi perché altrimenti andranno
all”inferno, così come ha detto Papa Francesco. Noi vogliamo sperare 
che il processo trattativa Stato-mafia vada avanti, che la Corte di
Cassazione il prossimo 18 aprile, non accetti il “gioco sporco” degli
imputati Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, i quali hanno
chiesto il trasferimento del processo che si celebra davanti alla Corte
d”assise di Palermo. Una richiesta presentata in maniera subdola, per
ragioni di rischio per la pubblica incolumità e la sicurezza. Speriamo
che il processo, l”inchiesta, l”inchiesta bis, o l”eventuale ter, sulla
trattativa Stato-mafia non venga strappata dalle mani del pool di
magistrati integerrimi coordinato dal procuratore aggiunto Vittorio
Teresi, di cui fanno parte Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e
Roberto Tartaglia. Se ciò non dovesse accadere sarebbe il colpo finale
dello Stato-mafia alla cittadinanza italiana onesta e soprattuto il
colpo finale, mortale, ai familiari delle oltre novecento vittime
innocenti di mafia che venerdì, con le lacrime agli occhi, emozionate,
con amore Cristico hanno chiesto a Papa Francesco di pregare affinché
loro possano conoscere la verità sul perché i loro congiunti sono stati
uccisi. La verità sul perché lo Stato italiano, nella migliore delle
ipotesi, preferisce sempre trincerarsi dietro il silenzio dell”omertà, o
peggio, nascondere la sua criminale complicità con la mafia.

Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/2014032348581/giorgio-bongiovanni/lo-stato-mafia.html

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