Come fermare gli sbarchi di profughi

Incontro con Nicola Gratteri, procuratore a Crotone dove ha scoperto la truffa della 'ndrangheta sui richiedenti asilo.

Come fermare gli sbarchi di profughi
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9 Luglio 2017 - 14.40


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Intervista a Nicola Gratteri a cura di Maurizio Tortorella.
Un mese fa, indagando sul Centro di accoglienza per i richiedenti asilo (Cara) di Isola Capo Rizzuto, ha scoperto che tra 2006 e 2015 quel Cara avrebbe garantito alla ‘ndrangheta 36 milioni di euro: una fetta del 35 per cento dei 103 milioni versati in dieci anni dallo Stato.
Con l’operazione “Johnny” Nicola Gratteri, dall’aprile 2016 procuratore della Repubblica a Crotone, ha scoperchiato una verità disastrosa: lo sfruttamento criminale dell’immigrazione è ormai arrivato a livelli di efficienza elevatissimi, garantiti anche dall’assenza di prevenzione da parte delle istituzioni.
In questa intervista esclusiva con Panorama, il magistrato simbolo della repressione antin’ndrangheta fa il punto della situazione. Non solo giudiziaria.
Dottor Gratteri, lei crede che l’immigrazione sia diventata la nuova “miniera” della ‘ndrangheta?
Diciamo che è uno dei tanti bancomat, ma non la definirei una nuova frontiera. La ‘ndrangheta è un’organizzazione criminale che da sempre riesce ad adattarsi alle nuove situazioni, cogliendo tutte le opportunità offerte dal mercato.
 
A proposito, perché la vostra operazione è stata chiamata “Johnny”?
Johnny era il nome di battaglia di un investigatore morto quando ancora stavamo indagando: aveva il senso dello Stato e nonostante la malattia aveva continuato a lavorare, senza risparmiarsi. A volte davanti ai riflettori finiscono i magistrati, i vertici delle forze dell’ordine, ma le indagini sono frutto di un lavoro di squadra. Tante operazioni importanti le dobbiamo a uomini come “Johnny”: spesso anonimi, ma non per questo meno importanti. La polizia giudiziaria italiana non è seconda a nessuno. L’operazione “Johnny” lo ha ribadito ancora una volta.
 
Già nel dicembre 2014, agli inizi dell’inchiesta romana “Mafia Capitale”, nelle intercettazioni Salvatore Buzzi, il cooperatore arrestato per le corruttele milionarie sull’accoglienza degli immigrati, sosteneva che quel business “è molto più redditizio del traffico di droga”. Oggi la vostra inchiesta sembra confermarlo. È così?
Come dicevo, è un’ottima fonte di reddito. Non so se sia più redditizia del traffico di droga: per quanto ne so, continua a essere la principale risorsa della ‘ndrangheta. Ma lo sfruttamento dei richiedenti asilo è un fenomeno purtroppo ancora sottovalutato. L’operazione “Johnny” potrebbe essere la cosiddetta punta dell’iceberg.
 
Ma perché la gestione dell’immigrazione è finita così male? Dov’è mancato lo Stato? Nell’amministrazione delle strutture dell’accoglienza? Negli appalti? Nei controlli?
L’indagine ha messo a nudo per il momento molte criticità nell’amministrazione delle strutture di accoglienza. Quanto ai mancati riscontri, per il momento non posso dire nulla.
 
Il ministro dell’Interno un mese fa ha annunciato 2-3 mila ispezioni nei centri di accoglienza. Marco Minniti ha detto anche che da ora in poi verranno creati centri più piccoli. È una risposta sicuramente tardiva. Ma potrebbe servire?
Quando interviene la magistratura, è sempre troppo tardi. Quando di mezzo ci sono fondi pubblici, bisognerebbe intensificare controlli e riscontri. È necessario avere più rispetto per i soldi destinati alla collettività e ai servizi sociali.
 
E che cosa dovrebbe cambiare, nelle politiche italiane sull’immigrazione, per correggere la situazione ed evitare rischi di infiltrazioni criminali?
Bisognerebbe evitare questo costosissimo “servizio taxi” e investire in uomini e risorse in quei tre o quattro Paesi del Centro Africa da cui partono i flussi migratori. Con molti soldi in meno rispetto a quelli utilizzati oggi si potrebbero costruire là ospedali, scuole, strade: garantendo un futuro migliore a chi pensa di trovare in Italia e in Europa l’Eldorado. E sarebbe meglio evitare quell’atteggiamento di supponenza che ha sempre caratterizzato la presenza occidentale in terre come l’Africa.
 
È stata la totale inconcludenza di oltre un decennio di politiche per il controllo dell’immigrazione a produrre questi effetti criminogeni? Oppure, al contrario, la confusione è proprio un risultato in qualche modo voluto e cercato da chi sa di poter speculare meglio se il sistema è nel caos?
L’una ipotesi non esclude l’altra. È un problema che non è stato affrontato nel giusto modo: non soltanto in Italia, ma in tutta Europa. Molti Paesi hanno promosso una falsa integrazione, tanti altri se ne sono lavati le mani, così il gran peso è caduto sulle spalle del nostro Paese che, tra mille contraddizioni, ha fatto ciò che ha potuto. Naturalmente c’è stato chi ne ha tratto vantaggio, sfruttando le opportunità garantite da questo enorme business.
 
All’Italia la gestione dell’immigrazione costa circa 5 miliardi l’anno: la nostra politica, che da anni è così inconcludente e contraddittoria sul tema immigrati, è solo confusa di fronte a un problema immane? Oppure lei immagina collusioni con chi lo trasforma in business?
Il problema è immane, inutile nasconderlo. E in mezzo c’è di tutto, anche confusione e collusione. Ma c’è anche gente che è genuinamente impegnata sul fronte dell’accoglienza, gente generosa che fa di tutto per aiutare chi soffre e chi cerca un’alternativa al bisogno e alla paura.
 
Per contrastare i trafficanti di uomini, lei ha suggerito di utilizzare i servizi segreti, spedendo agenti sotto copertura in Libia e in Centro Africa. Per fare che cosa, visto che il codice impedisce di usare prove raccolte in quel modo?
L’intelligence è fondamentale nel contrasto alle mafie e al terrorismo. La possibilità di coinvolgere i servizi segreti nella lotta alle organizzazioni criminali rafforzerebbe di molto l’azione di contrasto. Sarebbe un messaggio forte sul piano politico e istituzionale. Quanto agli agenti sotto copertura in Libia e in Centro Africa, c’è tanto da fare, indipendentemente dall’aspetto probatorio. Avere uomini sul territorio significherebbe capire, interpretare e frenare meglio i flussi migratori illegali.
 
Dato che i salvataggi in mare sono gestiti al 50 per cento da privati, la ‘ndrangheta, oltre che nella gestione dei migranti a terra, non potrebbe teoricamente essere coinvolta anche nelle operazioni per favorire gli arrivi?
Non mi piace avventurarmi sul terreno minato delle ipotesi. Noi le ipotesi investigative le dobbiamo verificare e purtroppo spesso mancano risorse umane e finanziarie.

 

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