di Giovanni Rodini.
Con gli aeroplanini e le barchette di carta devono aver giocato a lungo anche i bambini di Niscemi. Forse lo fanno ancora, cercando di far durare il più a lungo possibile il volo dei primi e la navigazione delle seconde. I giochi dell’infanzia sono giochi a metà e perfino la durata e l’eleganza dei loro lanci contribuirà a separare i migliori dagli scarsi, chi verrà lodato da chi verrà sbeffeggiato.
Tra gli adulti le cose non vanno diversamente: spesso è con viaggi di carta che si decide chi prospera e chi soccombe. Con la carta che serve per stampare una sentenza, per esempio; la sentenza n. 21/2019 del CGA Sicilia sul MUOS di Niscemi, più precisamente.
Le ventidue pagine con cui la magistratura siciliana ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dai cittadini avverso la pronuncia del TAR siciliano del 2016, ha prosciugato i procedimenti esperibili sul piano amministrativo. Nero su bianco si è sentenziato che il MUOS è legittimo e non lede il diritto di nessuno.
Non importa se il complesso di parabole satellitari dista solo sei chilometri dal centro cittadino e meno di duecento metri dalle prime costruzioni abitate; non importa se quell’area si trova nel bel mezzo della riserva naturale della Sughereta di Niscemi; non importa nemmeno se manca del tutto una seria analisi del rischio e dell’impatto ambientale; e, pare banale solo scriverlo, ancora meno importa se gli abitanti della zona si sono opposti con ogni mezzo e maniera.
Nulla importa perché la magistratura ha visto bene di considerare il complesso del MUOS come un nuovo quartiere del piccolo comune in provincia di Caltanissetta. Un borgata speciale che si aggiunge a quello che già c’era, una porzione di paese che non è immobile ma ha il dono di fluttuare e, silenziosa, s’irradia tra le strade e dentro le case di tutta Niscemi. Il nuovo rione ha anche un’altra caratteristica: nessuno lo può visitare, perché oltre il recinto che lo abbraccia tutto diventa off limits.
C’è qualcosa di sinistro che corre giù dalla collina su cui è stato innalzato il MUOS, un vento denso che ammorba ogni cosa lì attorno e che è carico di informazioni riservate che non ci è permesso decifrare. Quello che ancora possiamo fare, però, è raccontare la storia di Niscemi e del mostro che è venuto a farle visita. Possiamo mettere su carta ogni cosa e ricostruire, per quel che ci è dato sapere, tutto quel sentiero di fogli d’intesa e concessioni, revocate e nuovamente concesse, che hanno permesso a quelle antenne e parabole di prendere forma e di minacciare la salute di migliaia di persone. Possiamo sopratutto descrivere quell’effetto domino che si è azionato con l’incubo di un’ingiustizia, il tentativo di trasformarlo in sogno, dando forma alla protesta, fino ad arrivare all’incredula delusione, per non dire alla rabbia che si prova alla lettura di sentenze come questa.
Ma dobbiamo evitare che la rabbia si trasformi in rassegnazione, perché dopo la rassegnazione, l’ultimo gradino di questa scala finisce con l’indifferenza. E si sa che l’indifferenza rende tollerabile tutto, anche vivere come cavie perché qualcuno al di là della teca possa studiarci ed eventualmente replicare l’esperimento altrove.
C’è da scommetterci che esiste un Protocollo Niscemi. Forse è ancora in fase di ultimazione, alcuni passaggi devono ancora essere completati, ma, a pensarci bene, la storia del MUOS è anche il terreno di prova per testare modelli di comunicazione, manipolazione ed esclusione delle masse dal processo decisionale.
In una cittadina al confine di un continente, dei militari costruiscono un complesso di antenne e parabole satellitari a poche centinaia di metri dalle abitazioni di periferia. Tutto viene fatto in punta di piedi, col sorriso sulle labbra e soddisfacendo ogni adempimento burocratico. Non c’è forzatura o violenza, solo si omettono i rischi collegati alla salute che la base militare comporta. Poi, quando qualcuno inizia a fare domande, si occultano i dati, si raccontano le cose stando attenti a minimizzare gli effetti negativi e si invita la gente a non preoccuparsi. Dopotutto se gli elementi a disposizione non consentono analisi, non per questo è stato provato alcun rischio. Il prezzo da pagare viene camuffato fino a quando non assomiglia alla circonferenza di uno zero e tutti vengono invitati a tornare tranquilli alle loro vite. Il luna park militare resta aperto.
A ben vedere si tratta di una variabile della nota strategia della rana bollita teorizzata da Noam Chomsky. Si prende una decisione, la si porta a compimento con decisione ma gradualmente e si aspetta per vedere cosa succede. Se non provoca proteste o rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente dei rischi che quella decisione comporta, si va avanti, passo dopo passo, fino al punto di non ritorno.
Per questo, e in fretta, dobbiamo fare ritorno alle origini di questa storia. Lo dobbiamo per evirare che quel punto di non ritorno ci scorra sotto gli occhi come un elemento di punteggiatura qualsiasi in questo testo. Uno di quelli che prenderemo per una pausa, una sospensione, un’esclamazione e che invece sarà il punto finale, il termine ultimo di questa storia.