Il debito che cresce

Come tutte le variabili esponenziali della crescita di un qualunque organismo, biologico o sociale, il debito nasconde un punto di discontinuità. Cioè si rompe. [Giulietto Chiesa]

Il debito che cresce
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20 Luglio 2015 - 14.47


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di Giulietto
Chiesa
.

Rispondo a Marco Ponzi su due questioni cruciali che mi ha posto nella
lettera che segue:

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Gentile
Dottor Chiesa, le propongo una riflessione sulla petizione per uscire dalla NATO.

Penso che in
generale le raccolte di firme siano sterili di per sé.

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L”uscita
dalla NATO è un attacco troppo diretto a chi rappresenta gli interessi
predominanti e, anche se ben argomentata e motivata, la massa delle persone non
capisce forse perché non è pronta, se invece avesse un minimo seguito sarebbe
troppo facile per i media screditarla e deriderla.

Credo che la
via maestra sia quella di informare, divulgare (rendere di pubblico dominio),
diffondere il più possibile, aprire gli occhi, formare le persone e farle
crescere in modo che il maggior numero di persone possa acquisire
consapevolezza e …votare coscientemente.

E questo lei
lo fa molto bene, con grande professionalità e autorevolezza.

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Potrebbe
sembrare fuori luogo ma a mio modesto avviso questa mappa potrebbe aiutare e
molte persone ad aprire gli occhi se l”argomento venisse spiegato in maniera
esauriente.

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Anche se la
fonte non è del tutto attendibile, la mappa interattiva dell”Economist è senz”altro molto
significativa.

È possibile
osservarvi l’ammontare del debito di tutti i paesi del Mondo, dal 2004 ad oggi.
Il debito cresce ogni secondo che passa.

Passando con
il mouse sui paesi, per ognuno di essi la mappa mostra l’ammontare del debito
pubblico oltre che il debito pro-capite di ognuno di noi.

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Ma i conti
non tornano … se ognuno di noi è indebitato e i paesi più ricchi sono anche
quelli con un debito maggiore, chi sono i creditori?

La mappa non
lo dice!

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Buon lavoro
e buon viaggio intorno al sole!

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Grazie
intanto per le buone parole che lei spende a mio sostegno. Rispondo. Sulla
questione della petizione per l’uscita dalla NATO, le sue considerazioni sono
tutte giuste. Anch’io sono certo che le raccolte firme non servono a far
cambiare le cose. Possono servire, però – ed è questa la mia intenzione – per
aprire il problema di fronte agli occhi del più vasto numero possibile di
persone. Cioè per fare azione di informazione diffusa. Tirare fuori dall’oblio,
o dal cassetto, questa idea è inoltre più attuale che mai. Vent’anni fa, forse,
non era così chiaro. Adesso è chiaro – almeno a me, ma non solo a me – che la
guerra si sta avvicinando a grandi passi. E la NATO è e sarà lo strumento
mortale che ci costringerà a combatterla e a perire. Inoltre questa campagna
(le firme sono solo un modo per quantificarla) ci dirà quanto è compreso il
problema. Scopriamo, già ora, che il livello di informazione è quasi nullo. È importante
misurare questa “febbre” dell’ignoranza collettiva. È importante tentare di
cambiarla. Anche questa è politica. E, poiché penso che la questione NATO
esploderà presto in Europa, quando la signora Le Pen diventasse presidente
della Francia, sarà opportuno che il pubblico italiano sia preparato alla
bisogna.

Sono
consapevole che una tale offensiva sarebbe seguita, ove avesse successo, da una
reazione furibonda degli Stati Uniti e dei media che obbediscono al loro
comando. Ma questo dovrebbe incoraggiare, coloro che vogliono vivere, a
insistere, non ad arrendersi. Gli altri, comunque, non contano, avendo già
accettato la loro condizione di mandria, da mungere prima e poi da scannare.

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E vengo alla
seconda domanda. Vorrei che, prima di tutto, chi ci legge andasse a vedere la
mappa che lei ci propone. Davvero interessante, anche se molte cose non sono
chiare nella metodologia con cui il contatore è stato costruito. Comunque
contiene dati impressionanti. Il debito pubblico mondiale cresce enormemente ad
ogni minuto che passa. Tutti sono indebitati. E, più alto è il reddito di un
paese, più alto è il suo debito pubblico. È un’assurdità apparente o reale?

La risposta
che ne dà l’Economist è patetica. Non
è infatti più vero, da tempo, che i governi prendono a prestito il denaro dai
loro cittadini. Questa è archeologia del capitalismo. E il giornale britannico
riesce solo a manifestare la sua tipica fobia ultra-neo-liberista, paventando
in risposta un “intervento crescente degli Stati”, con l’aumento delle tasse.
Abbastanza comico, alla luce dei fatti, per esempio greci.

Questo
incremento del debito sottende tuttavia molti problemi, che vanno evidenziati.
Io, che non sono uno specialista, ne vedo solo alcuni, che mi paiono
importanti.

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In primo
luogo faccio ricorso a John Maynard Keynes che ne dette una spiegazione
chiarissima nel 1936. Disse che, riducendo i redditi delle masse consumatrici
mediante l’abbassamento delle pensioni, dei salari e stipendi, dei servizi
sociali, si riduce la domanda di consumo e la possibilità d’investimento. È lapalissiano,
ed è ciò che accade dovunque in Occidente in questo momento.

Ciò produce
una riduzione corrispondente del Prodotto Interno Lordo. Che, a sua volta,
produce effetti negativi sul bilancio dello Stato, diminuendone le entrate.
Questo, a sua volta, si riflette in un aumento del debito e in una richiesta di
altri prestiti. Gli stati non ricuperano, nemmeno aumentando le tasse, perché
la globalizzazione consente alle imprese di pagare sempre meno tasse. Dunque
gli aumenti delle tasse ricadono sull’uomo della strada, riducendo
ulteriormente le sue capacità di consumo.

Questo è un
pezzo della risposta.

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Ce n’è un
altro, altrettanto importante. Il debito cresce “automaticamente” attraverso
l’enorme numero di computer che agiscono 24 ore su 24 in tutto il pianeta. Lo
ha spiegato molto bene Luciano Gallino nel suo libro “Con
i soldi degli altri”
. Le “macchine” sono programmate per scommettere.
Ogni scommessa è un acquisto a debito. La massa delle scommesse, fuori
controllo umano, sta gonfiando il debito mondiale (in questo caso in gran parte
privato, delle banche e corporation, ma che diventa pubblico un minuto dopo,
quando le scommesse falliscono in grandi dimensioni e costringono gli Stati a
intervenire per comprare la carta straccia rimasta). A quanto ammonta
percentualmente questo debito automatico? È superiore alla metà di tutte le
transazioni finanziarie mondiali. E accelera.

Rispondere
alla domanda “chi deve cosa a chi?” è
molto difficile. Ma il titolo del libro di Gallino contiene una parte della
risposta. Chi manovra questo indebitamento lo fa “con i soldi degli altri”. È lui
(loro) che incamera i profitti, o quella parte dei debiti che vengono pagati,
dovunque essi siano. Ma – come detto prima – ne registra una parte
infinitesimale. Il resto rimane accumulato in segreto, “da qualche parte”.
Quello che si vede è solo la parte non pagata del debito, che, quindi, cresce
incessantemente.

Dunque c’è
uno stratosferico accumulo di ricchezza, in gran parte invisibile, o che emerge
solo in caso di guerre (che vengono pagate con quei fondi) o di sprechi che i
padroni universali decidono di permettersi.

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Chi ci perde
siamo noi, i cui denari sono stati usati per scopi diversi da quelli del nostro
benessere, e che, quando c’è da perdere, siamo gli unici che perdono.

Terza e
ultima risposta: quanto può durare? Non lo sappiamo. se c’è qualcuno che può
fare i calcoli, sono i “padroni universali”. Dubito che anche loro – accecati
come sono dalla loro avidità – siano in grado di fare previsioni attendibili.
Quando comunque capiranno che il gioco sta per finire metteranno a ferro e
fuoco il pianeta.

Ma non può
durare per sempre. Ce lo dicono due dati: il debito
cresce più velocemente della crescita del PIL mondiale. E cresce più
velocemente della crescita della popolazione mondiale. Esso ha un carattere
esponenziale. Come tutte le variabili esponenziali della crescita di un
qualunque organismo, sia esso biologico o sociale, esso nasconde un punto di
discontinuità. Cioè una singolarità. Cioè si rompe. Cosa succederà è difficile
prevedere. E è ancora più difficile ipotizzare che sarà qualcosa di piacevole
per noi.

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Mi viene in
mente il titolo di un altro libro, il cui autore è greco, si chiama Christos
Ikonomou. Scritto due anni fa, nel pieno del disastro greco: “Qualcosa
capiterà, vedrai
”.

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