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Caro Giulietto Chiesa,
quando, a sorpresa, Trump venne eletto Presidente degli Stati Uniti, io e molti altri abbiamo pensato, non con incontenibile euforia certo, ma con una relativa soddisfazione, che fosse stato scongiurato il pericolo peggiore, l’elezione della Clinton.
Nel contempo coglievamo in Trump, non certo un Salvador Allende made in Usa, ma, con tutti i suoi limiti, una contraddizione, un outsider, sotto alcuni aspetti, un battitore libero che metteva il bastone tra le ruote ai progetti dei poteri militari e industriali del suo Paese.
Non a caso FBI, CIA e quant’altri, erano schierati a tutto campo, anche ricorrendo alla consueta pratica delle menzogne, contro la sua elezione. In particolar modo era valutato come inaccettabile il punto centrale del programma politico del nuovo presidente: ristabilire buoni rapporti politico-diplomatici con la Russia.
Ebbene, la mia parte caratteriale votata alla speranza coglieva questi aspetti e li proiettava in un futuro concreto di inceppamento della grande macchina da guerra e da menzogna del Potere americano, quello vero.
La mia parte razionale però già da allora si poneva molti dubbi perché sappiamo che quando un Presidente non è supinamente allineato alle strategie dei poteri nascosti degli Usa, e ciò avviene ben di rado, accadono le seguenti cose:
1) il Presidente viene minacciato a vari livelli oppure ricattato (nel caso di Trump facilmente anche ma non solo per via delle sue numerose attività economiche),
2) può essere posto di fronte a un fatto compiuto, un’operazione terroristica sotto “falsa bandiera” effettuata a sua insaputa, che lo obblighi a intervenire nel senso auspicato dalle oligarchie politico-economiche degli Stati Uniti.
Purtroppo io ritengo che questi primi mesi di presidenza Trump abbiano alimentato la fondatezza di queste mie ultime argomentazioni, a cominciare dalle dimissioni dei collaboratori e dei consiglieri di Trump meno disposti a seguire il filone interventista americano per finire al bombardamento della Siria dell’altro giorno.
Ora, premesso che nutro nei suoi confronti una profonda stima e la considero il miglior giornalista italiano, non pensa che lei Giulietto abbia ecceduto e forse ecceda ancora in una visione ottimistica circa la visuale di un Trump in grado di scombinare i piani bellici, le strategie terroristiche del vero Potere americano che fa e farà sempre quello che vuole, compreso l’avvalersi di presidenti fantocci?
Grazie.
Con stima.
Stefano Cardarelli
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Caro Cardarelli,
non credo di avere ecceduto nella direzione che lei mi addebita, né penso di eccedere oggi. Ho esultato, è vero, per la sua elezione e ho spiegato perché. Lo ripeto qui. Perché ero e sono convinto che Hillary Clinton fosse e sia una fanatica incontrollabile e pericolosa. Non solo perché spinta dall’élite irresponsabile di Washington, quella dei “democratici e progressisti”. Ma perché essa stessa è pericolosa per sé e per gli altri.
Di fronte alle due eventualità ritenevo, e ritengo tuttora, che la Clinton fosse la soluzione peggiore: per noi e per il genere umano.
Dunque esultai (moderatamente) non perché ritenessi Trump una “buona soluzione” in qualsiasi senso lei voglia dare a questa locuzione.
L’America di oggi non può produrre alcuna “buona soluzione”: né i suoi dirigenti sono in grado di ragionare; né lo è la maggioranza del popolo americano. Da 70 anni turlupinato, manipolato, violentato da un’élite infrangibile e sanguinaria.
Dunque ragionavo, auspicando il male minore. E ritengo che lo sia stato e lo sia. Trump ha fatto esprimere un’America profondissima, anche reazionaria e plebea. Meglio di quella “democratica e progressista”, liberal, ipocrita e imperiale. Ho pensato che fosse meglio l’America profonda. Se non altro perché finalmente l’abbiamo vista emergere. In realtà c’era e c’è sempre stata, ma non contava niente.
Poi resterà per me nella storia il Donald Trump che, coram populo, rifiuta di rispondere al servo della CNN dicendogli: “siete dei mentitori e con voi non parlo”. Liberatorio e dissacrante. Meglio lui che i Mentana e i Vermigli, e le Gruber d’America. Là è pieno come qua.
Adesso ha bombardato. Non me ne sono stupito. Quando è salito sul podio e ha ripetuto per tre volte “I am flexible”, mi ha fatto pena. Gli hanno tirato uno sgambetto chimico (intendo dire i suoi servizi segreti e il Mossad) e lui ha parato il colpo bombardando la Siria.
Non ha una strategia, balbetta, non sa cosa fare, traccheggia. Anche lui è in pericolo. Deve gestire gli spasmi finali della superpotenza imperiale e non ha una chiara visione del pianeta e dei sette miliardi che lo popolano.
Non ho mai pensato che fosse in grado di risolvere i problemi dell’America e del mondo. È troppo ignorante per farlo. Si può solo sperare che rallenti il disastro e ci dia il tempo di prepararci ad affrontarlo. Questo pensavo e penso.
La vera questione, pratica, attuale, riguarda noi. Io e lei in primo luogo, oggi: cosa possiamo fare per fare atterrare questa astronave americana che sta arrivando a terra senza il carrello, carica di armi di ogni tipo.
Cordiali saluti,
Giulietto Chiesa