La fine del Liberismo. Guida alla Grande Crisi Finanziaria

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1 Marzo 2010 - 23.11


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Un libro di Alberto CastagnolaCarta edizioni Intra Moenia 2009

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“Sempre che le crisi (finanziarie ed economiche) non riserbino altre sorprese nell”immediato futuro, siamo in presenza sicuramente di un punto di svolta, in cui la società civile nel suo complesso soffrirà per una serie di privazioni e insicurezze, ma avrà anche a portata di mano delle occasioni e delle opportunità di mutamento

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di scenari ben diversi di quelli degli ultimi decenni e che in primo luogo dovranno rispettare le esigenze della natura e quelle delle popolazioni emarginate in tutti i paesi del pianeta”.

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Queste le conclusioni a cui arriva Alberto Castagnola, economista specializzato sui temi internazionali e membro della Città dell´altra economia di Roma, dopo aver esaminato l”origine della crisi (che può essere individuata nel 1980 con l”avvio dei mutui subprime), i fatti e le reazioni politiche (nazionalizzazione di alcune banche e aiuti statali con il conseguente indebitamento degli Usa ma anche degli altri Paesi coinvolti nella crisi) alla più grande crisi finanziaria degli ultimi tempi partita in Usa e arrivata poi in tutto il pianeta.

La fine del Liberismo. Guida alla Grande Crisi Finanziaria“, infatti, è una cronaca selettiva dei fatti avvenuti, “così come sono apparsi sui mezzi di comunicazione di massa, spesso frutto di analisi superficiali e quasi mai confrontate con fonti ufficiali”. Una raccolta di informazioni qualificate che risultano “dopo averle setacciate e dopo averle valutate in base alla loro attendibilità“.

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E dunque un lavoro che ha come obiettivo quello di far comprendere la portata della crisi e di far emergere la drammaticità di una situazione del settore bancario e finanziario internazionale molto poco regolamentato e incontrollato.

Alberto Castagnola districa la matassa degli avvenimenti accaduti negli ultimi anni, cerca di rendere visibili agli occhi dei lettori i meccanismi che hanno reso possibile e che rendono possibili i trasferimenti di ricchezze monetarie dai contribuenti e dai risparmiatori ai possessori di rendita. Una operazione che viene da lontano (la causata dall”espansione esorbitante della sfera finanziaria può essere individuata nella fine degli anni 70), lungamente preparata con l”abbattimento di regole e controlli sugli istituti di credito, sostenuta ideologicamente dal neoliberismo assecondata da governi e dalle istituzioni economiche internazionali.

Basta pensare alla legge americana del 1980 che elimina una serie di vincoli e di obblighi da parte degli istituti finanziari e che rende possibile l”avvio dei mutui subprime, ossia quelli che venivano concessi senza che il richiedente dovesse dichiarare il proprio reddito mensile o la propria storia creditizia. Dunque mutui concessi a persone che non avevano un reddito, un lavoro o un”attività come garanzia per l”acquisto di case. Concessi dalle banche perché attratte dall”espansione del mercato immobiliare.

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Da qui le banche avviano il processo di cartolarizzazione che consiste nel fondere insieme un certo numero di crediti (in questo caso mutui immobiliari) per trasformarli in titoli obbligazionari negoziabili. Quindi le banche iniziano a venderli per avere nuovamente cifre liquide essenziali per concedere altri mutui. Così da guadagnarne anche in termini di interesse, di spese amministrative, in maggior valore dei mutui e allargare la propria clientela e aumentare i guadagni collettivi.

Nel contempo, il processo di cartolarizzazione viene avviato anche da banche di secondo livello e si crea un sistema di multilevel che offre la possibilità di partecipare anche a chi è in altri paesi.

Il tutto ha, però un punto debole: troppi mutui emessi a fronte di scarsi rientri perché molte persone si sono trovate nell”impossibilità di pagare.

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Ma la crisi dei mutui rappresenta solo una componente del processo di espansione rapida e praticamente illimitata della sfera finanziaria. Nascono nuovo titoli e contratti. In altre parole i mutui subprime sono stati solo una delle formule adottate per ampliare i mezzi finanziari a disposizione di ciascun organismo (banche internazionali, imprese multinazionali, società di assicurazione, fondi di investimento, fondi pensione, società finanziarie ecc…) e per ripartire il rischio su più partecipanti alle operazioni.

Ecco dunque, che le dimensioni assunte dalla sfera finanziaria diventano molto maggiori, sia in termini assoluti sia in riferimento all”ammontare complessivo del reddito prodotto nell”economia reale o rispetto alla grandezza macroeconomica.

Ma non bisogna pensare che l”economia virtuale non sia “reale”. Dietro a tutte le operazioni finanziarie ci sono soldi. In questo caso – così come afferma Lucien Seve riportato nel libro di Castagnola – il reale è l”insieme del potere d”acquisto popolare. Perché dietro lo scoppio della bolla speculativa creata dal dilatarsi della finanza, “c”è l”universale accaparramento, da parte del capitale, della ricchezza creata dal lavoro, e dietro questa distorsione, per cui la parte spettante ai salari è diminuita più di dieci punti”.

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Di fronte a una tale situazione gli Usa sono intervenuti salvando alcuni istituti di credito (come la Fannie Mae e Freddie Mac) e lasciandone fallire altri.

Da qui si è aperto il dibattito tra chi crede che sia necessario che lo stato si dia delle regole di protezione nei confronti del mercato e chi continua a sostenere che il mercato deve essere lasciato libero di autoregolamentarsi come unico vaccino possibile per superare la crisi economico finanziaria in atto. E fra queste voci non sono mancate quelle che hanno invocato e invocano una riconversione dell”economia verso la sostenibilità. Come Susan George e Joseph Stiglitz che pur proponendo soluzioni di stampo keynesiano evidenziano la necessità della riduzione dei consumi di materia e di energia.

Per uscire dalla crisi, una crisi anche ecologica, occorre che le banche destinino una percentuale dei loro prestiti per obiettivi ambientali. Occorre che gli Stati investano in ricerca, creino nuovi tipi di tasse, di incentivi. Elaborino regole improntate alla sostenibilità, le rispettino e che le facciano rispettare.

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Questa riconversione in senso sostenibile del denaro pubblico e anche privato potrebbe creare nuova occupazione, perché una economia ecologica esige nuove tecnologie, lavoratori ben formati, produttivi ed equamente pagati. Ed esige anche collaborazione non solo da parte di tutte le istituzioni e dei cittadini di un paese, ma anche fra stati e stati, collettività e collettività.

 

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Fonte: http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=3631&sez=Recensioni.

 

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