Un pamphlet brutalmente attuale per la scuola del 2011

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25 Marzo 2011 - 22.00


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di Stalker

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“L”insegnamento si trova nello stato di quegli alloggi non occupati che i proprietari preferiscono abbandonare al degrado dal momento che lo spazio vuoto è redditizio mentre il fatto di accogliervi degli uomini, delle donne, dei bambini, spogliati del loro diritto all”alloggio, non lo è”.

Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti.

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Ci sono degli scritti che attraversano indenni il corso del tempo e conservano una loro, imprescindibile, attualità di fondo. Sicuramente l”Avviso agli studenti (Avertissement aux écoliers et lycéens), un breve pamphlet redatto nel 1995 dal pensatore belga Raoul Vaneigem (in passato appartenente all”Internazionale Situazionista), è uno di questi.

Tra l”altro, molto ci sarebbe da dire sull”attualità del saggio forse più noto di Vaneigem, il Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni che, scritto tra il 1963 e il 1965, venne pubblicato solo nel 1967, giusto in tempo per contribuire in maniera non poco determinante alle idee che animarono il Maggio Francese.

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A tutt”oggi, il Trattato può avere ancora un determinante valore ”sovversivo”, nel senso di sovversione di un certo status quo sociale, poiché contiene una serie di suggerimenti e intuizioni ad uso appunto di una “nuova generazione” (che, al giorno d”oggi, si trova ad affrontare sempre più nuovi e complessi problemi): una linea di difesa contro l”infelicità e l”emarginazione imposti dall”alto di un potere che rincorre interessi privati e mercifica ogni singolo aspetto della vita quotidiana. La volontà di vivere – afferma Vaneigem – deve lottare contro la volontà di morte imposta dall”alto; e la lotta e il desiderio di lotta affondano le loro radici in tre momenti fondamentali: realizzazione, comunicazione e partecipazione.

Anche l”Avviso agli studenti, in definitiva, pone le sue basi su una comunicazione e una partecipazione trasversali fra insegnanti e allievi. Si accennava, poco sopra, all”attualità dello scritto. Ebbene, in momento in cui la scuola italiana è praticamente allo sfascio, gestita da un governo e da amministratori incapaci che tagliano indiscriminatamente i finanziamenti alla cultura, che investono sul privato a scapito del pubblico, che riducono drasticamente i docenti, un testo come l”Avviso risulta più che mai attuale.

Il pamphlet inizia, con un piglio da ”archeologia del sapere” alla Foucault, presentando al lettore una breve cronistoria dell”istituzione scolastica. Quest”ultima, in sé, fin dalla sua nascita, si costituisce e sopravvive su una strutturale dinamica punitiva, esattamente come la prigione, la caserma, l”ospedale e la famiglia. Per anni la scuola non è stata altro che un luogo chiuso (strutturalmente simile a un carcere) dove si imparava ad apprendere sotto la continua minaccia di punizioni fisiche; basti pensare (esempio che ci riporta lo stesso Vaneigem) al film Zero in condotta (1933) di Jean Vigo che racconta di come un gruppo di ragazzi, in un rigido collegio di inizio Novecento diretto da un nano (ogni riferimento ad attuali dirigenti è puramente casuale) allestisca una carnevalesca rivolta anarchica contro le regole costituite non senza la complicità di un nuovo insegnante, Huguet, buffo e anticonvenzionale.

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Per anni la scuola non è stata altro che questo: «Ecco quattro mura. Il consenso generale stabilisce che, con ipocriti riguardi, vi saremo imprigionati, oppressi, colpevolizzati, giudicati, onorati, puniti, umiliati, etichettati, manipolati, coccolati, violentati, consolati, trattati come aborti che implorano aiuto e assistenza». Negli anni, poi, molto è cambiato ma, adesso, una scuola abbandonata a se stessa, ritagliata a immagine e somiglianza di un potere-azienda basato sulla spettacolarizzazione più volgare e ostentata, non può che regredire. Non può che tornare ad essere un luogo in cui altro non si insegna se non l”ideologia dell”imprenditore, della merce, del sapersi vendere sul mercato, poiché tutt”intorno il sistema si basa «su una struttura gerarchica, sul culto del capo, sul disprezzo della donna, sulla devastazione della natura, sullo stupro e sulla violenza oppressiva».

Tutt”intorno non vi sono che «topi in tuta e in giacca e cravatta» i quali «scoprono che resta soltanto una misera porzione del formaggio terrestre che hanno rosicchiato da ogni lato». Anche la scuola, purtroppo, è caduta nella trappola di questi mostruosi topi; in sostanza, la scuola dovrebbe invece ricrearsi alla vita, dovrebbe insegnare a preparare trappole per questi topi che speculano e attentano alla vita e alla natura. Niente di più attuale: quel potere che gestisce e imprigiona la scuola e la cultura si basa sulla speculazione, sul rilancio del nucleare (di cui vediamo adesso i catastrofici effetti) e delle energie inquinanti. Ebbene – afferma Vaneigem – la scuola dovrebbe diventare uno strumento di liberazione nei confronti del potere e, possiamo aggiungere, sia di quello rappresentato dal triste figuro dell”imprenditore al governo e dai suoi miseri scagnozzi, sia dagli oppositori di una sedicente ”sinistra” globalizzata e imprenditrice di se stessa.

Bisogna scommettere, quindi, «sull”ipotesi di imparare a vivere anziché economizzarsi»: «Invece di una trincea dove langue tristemente una manodopera di scorta, perché non fate della scuola un parco di attrazioni del sapere, un luogo aperto in cui i creatori verrebbero a parlare del loro mestiere, della loro passione, della loro esperienza, di ciò che sta loro a cuore? Un liutaio, un ortolano, un ebanista, un pittore, un biologo hanno certamente da insegnare di più e meglio di quegli uomini d”affari che vengono a propagandare l”adattamento alle leggi aleatorie del mercato».

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La scuola dovrà quindi fondarsi sulla passione, sulla vitalità, e non sull”economia: questo, chi la gestisce dall”alto, certo non lo capisce poiché la passione e la vitalità non sa neanche che cosa siano. Chi gestisce la scuola dall”alto privilegia un allevamento intensivo di studenti (e cos”altro sta facendo il governo italiano?); leggiamo un altro illuminante passo dell”Avviso: «Se i governi privilegiano l”allevamento intensivo di studenti consumabili sul mercato, allora i principi di una sana gestione prescrivono di stivare nello spazio scolastico più ridotto la quantità massima di teste modellabili dal numero minimo di personale possibile». Questo, adesso, è più che mai attuale ed evidente. I governi non hanno certo finanziamenti da spendere nella cultura, nella scuola, nell”educazione, dinamiche tutte incentrate su un desiderio di vita; li hanno, invece, e anche a volontà, per la loro economia di morte, nella produzione di armi di distruzione di massa da lanciare in guerre sempre più frequenti (e anche qui si sfiora una stringente e drammatica attualità); li hanno per sovvenzionare imprese e imprenditori che impongono agli operai contratti-capestro, con la minaccia della perdita del lavoro, mentre gli esponenti di questi governi si concedono squallidi carnevali sovvenzionati da migliaia di euro. La cultura e la scuola hanno sempre gli ultimi posti negli avamposti mediatici del potere, i telegiornali, mentre invece l”economia di morte la fa da padrona: sono proprio di questi giorni le compiaciute immagini di aerei da combattimento italiani rappresentati come automobili in un autosalone, come gli elettrodomestici più avanzati in una vetrina e non invece per quello che in realtà sono, strumenti di morte.

In un paragrafo intitolato Fare della scuola un centro di creazione del vivente, non l”anticamera di una società parassitaria e mercantile, l”autore ribadisce: «Una volta eliminato quel che sussisteva di mediocremente redditizio nella scuola di ieri – il latino, il greco, Shakespeare e compagnia – gli studenti avranno finalmente il privilegio di accedere ai gesti che salvano: equilibrare la bilancia dei mercati producendo dell”inutile e consumando della merda. L”operazione è sulla buona strada perché, per quanto si vogliano diversi, i governi aderiscono all”unanimità al principio: “L”impresa deve essere impostata sulla formazione e la formazione sui bisogni dell”impresa”».

Ma che latino, ma che greco, ma che Shakespeare! A cosa servono queste anticaglie? La giovane imprenditrice con gli occhiali che ricopre il ruolo di Ministro della Pubblica Istruzione in Italia lo ribadisce: la scuola deve essere improntata al nuovo, ad una più facile immissione nel mercato del lavoro, caratterizzato da una flessibilità sempre più devastante. Anche la scuola, perciò, deve insegnare a inserirsi in questo mondo del lavoro spettacolarizzato e precarizzato, a inserirsi cioè, in un mondo di miseria. Ma non è certo questo che noi vogliamo.

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Il “nuovo” che loro predicano è ormai al tramonto, un “nuovo” che si sgretola su se stesso come l”incultura e la rozzezza del loro potere.

Riappropriamoci della cultura, della vita, della comunicazione e della socialità, abbattiamo le grette e ignobili barriere che vorrebbero erigere anche nelle nostre scuole, differenze fra italiani e stranieri – siano essi rom, africani, orientali – fra cristiani e musulmani, fra diversi colori della pelle: «Ricercare la propria identità in una religione, un”ideologia, una nazionalità, una razza una cultura, una tradizione, un mito, un”immagine vuol dire condannarsi a non diventare mai se stessi. Identificarsi a ciò che si possiede in sé di più vivo, solo questo emancipa».

Inoltre, il “nuovo” che loro predicano è basato sulla frottola dell”esubero del corpo insegnante: ci sono troppi insegnanti, dicono, come se non ci fossero troppi uomini d”azienda, bancari, manager, imprenditori, militari, poliziotti. Crediamo, del resto, che parlare di ”troppo” riguardo a una categoria come quella degli insegnanti sia un grossolano errore: come pensare che ci possa essere troppa disponibilità a offrire cultura? Come si può affermare che ci sono troppi insegnanti quando le classi vengono accorpate creando danni inesorabili, quando in una classe pensata per 15 alunni ne viene stipato almeno il doppio?

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E, ancora una volta, le parole di Vaneigem colpiscono nel bersaglio dell”attuale: «Perché il sovraffollamento delle classi non è solo causa di comportamenti barbari, di vandalismo, di delinquenza, di noia, di disperazione, ma perpetua, per di più, l”ignobile criterio della competitività, la lotta concorrenziale che elimina chiunque non si conformi alle esigenze del mercato. il bruto arrivista prevale sull”essere sensibile e generoso, ecco ciò che gli imbroglioni al potere definiscono anch”essi, come i brillanti pensatori di un tempo, una selezione naturale».

In conclusione del suo pamphlet, l”autore si rivolge sia agli studenti che agli insegnanti, in nome di quella trasversalità e comunicazione che, secondo lui, risultano fondamentali: «Ciò di cui v”impadronirete vi apparterrà veramente soltanto se lo renderete migliore; nello stesso senso per cui vivere significa vivere meglio. Occupate dunque gli edifici scolastici anziché lasciarvi prendere dal loro sfacelo programmato. Abbelliteli secondo il vostro gusto, poiché la bellezza incita alla creazione e all”amore, mentre la bruttezza attira l”odio e l”annientamento. Trasformateli in atelier creativi, in centri d”incontro, in parchi dell”intelligenza attraente. Che le scuole siano i frutteti di un gaio sapere, come gli orti che i disoccupati e i più deboli non hanno ancora avuto l”immaginazione di piantare nelle grandi città spaccando il bitume e il cemento. [.] Noi siamo nati, diceva Shakespeare, per marciare sulla testa dei re. I re e i loro eserciti di boia sono ormai ridotti in polvere. Imparate a camminare da soli e sfiorerete con i piedi coloro che, nel loro mondo che muore, non hanno che l”ambizione di morire con lui. Tocca alle collettività di allievi e professori il compito di strappare la scuola alla glaciazione del profitto e restituirla alla semplice generosità dell”umano. Perché bisognerà pure, presto o tardi, che la qualità della vita abbia accesso alla sovranità che le è negata da un”economia ridotta a vendere e a valorizzare il suo fallimento».

Seppellite degnamente i re e i loro eserciti di boia: insegnanti e studenti, contate sulle vostre forze, sul vostro desiderio di vita, senza passare attraverso le intercessioni di una democrazia che, gradatamente, diventa sempre più il ridicolo zimbello del potere dominante; contate sulla vostra forza di vita contro la loro aspirazione alla morte: che una manifestazione di piazza sia veramente espressione della vostra forza e della vostra vita contro l”asserragliamento di quei re nei palazzi di un oscuro e sempre più kafkiano potere. Ricordate – e sono le parole con cui si chiude l”Avviso agli studenti – che «si rimane al di sotto di ogni speranza di vita finché si resta al di qua delle proprie capacità». E, se queste ultime sono potenzialmente illimitate – come diceva Henry Miller, «se un uomo osasse tradurre tutto quel che ha nel cuore e mettere giù quella che è la sua vera esperienza io credo allora che il mondo andrebbe in frantumi» – non si fermeranno certo davanti a un potere corrotto e impaurito difeso dai suoi abbrutiti cani da guardia.

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Fonte: SenzaSoste

 

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