Una scuola da rifare. Lettera ai genitori

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30 Aprile 2011 - 19.41


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di Giuseppe Caliceti.

“Tre mesi di vacanza, eh? Bel lavoro l”insegnante!” Questa è la battuta che a fine anno scolastico tanti docenti italiani sopportano. A inizio anno, invece: “Le vacanze sono finite anche per voi, eh? Era ora che iniziaste a lavorare!” Dal 2008 se ne è aggiunta un”altra: “Adesso ci pensa il Ministro all”Istruzione a farvi lavorare!” Ti verrebbe da dire: come ti permetti? Poi lasci perdere. O quasi. E” vero, sono battute. Ma nascondono quello che pensa oggi la maggior parte degli italiani. Quando iniziai a insegnare, più di venticinque anni fa, non era così. C”era più rispetto per i docenti. C”era un patto di fiducia tra insegnanti e genitori. Ora questo patto si è rotto.

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A volte ho tentato di difendermi, di spiegare. “Le lezioni non si improvvisano, bisogna prepararle. Il mio lavoro non inizia e si conclude in aula. Anche quando gli studenti sono in vacanza, io continuo ad andare a scuola. E con la nuova riforma della scuola io ci guadagno, sono i tuoi figli a perderci. E personalmente sono favorevole al cartellino per i docenti: perchè tutti sappiano quanto lavoriamo”.

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E ho tentato di parlare di responsabilità. Di autoformazione. Di psicologi, assistenti sociali, medici, psichiatri, docenti: le professioni più usuranti della nostra epoca. Cosa ricevevo in cambio? Sorrisi.

Così ho deciso di scrivere “Una scuola da rifare“. L”ho scritto sotto forma di una lunga lettera ai genitori degli alunni. Per spiegare perchè i docenti non sono fannulloni. Per raccontare un poco di quello che fanno oggi i loro figli a scuola. Per far capire come è cambiata la scuola primaria oggi: Dal mio punto di vista, dopo la scure infinita dei tagli sulla scuola, in peggio. Ma per parlare ai genitori anche della scuola che abbiamo abbandonato. E di quella che vorrei.

Nel 2008 le piazze si sono riempite di migliaia di docenti e genitori che protestavano contro lo smantellamento della scuola pubblica. A distanza di diversi mesi, mi sono chiesto, cosa rimane di quella protesta?

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E – soprattutto – cosa rimane della scuola pubblica?

Ho cercato di rispondere a queste domande e di analizzare lo stato di salute della nostra scuola. L”ho fatto alternando le mie opinioni personali a quello dell”insegnante con il suo bagaglio di storie dove i protagonisti sono gli alunni. Non si tratta solo di un libro sull”orgoglio docente. Ho cercato di parlare anche di maestri come don Milani, Gianni Rodari, Loris Malaguzzi, Mario Lodi.

Ho cercato di difendere la scuola pubblica italiana – una delle migliori al mondo per qualità di insegnamento prima della controriforma Gelmini: la prima in Europa (ora siamo al tredicesimo posto), la quinta nel mondo.

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A tratti ho provocato anche i genitori degli alunni, ricordando loro che l”istruzione primaria non è una bambinaia che tiene impegnati i loro figli per qualche ora al giorno, ma è il momento fondamentale della loro formazione.

Una formazione che va oltre le continue riforme, i ridimensionamenti di materie e personale docente, la fatiscenza delle strutture scolastiche. Una formazione che da sempre deve insegnare la condivisione.

Alla fine ho pensato bene di scrivere un decalogo della scuola che vorrei.

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Eccolo: La scuola che vogliamo

  1. Laica, gratuita, libera, solidale
  2. In cui si sta bene insieme
  3. Che aiuti i nostri figli a diventare adulti felici e responsabili
  4. Sulla quale lo Stato sappia investire come una risorsa
  5. Che valuti l”apprendimento, ma che tenga conto anche delle emozioni
  6. In cui i nostri figli imparino a lavorare insieme
  7. Proiettata verso il futuro
  8. Basata sul metodo delle domande e della ricerca
  9. In cui i docenti siano preparati e si ricordino di essere stati bambini
  10. Vogliamo una scuola senza paura di sbagliare e senza fretta: neppure di diventare grandi.

 

Fonte: ReteScuole

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