Intervista a Carlo Porcedda e Maddalena Brunetti a cura di Emilio Piano – Megachip.
Nubi nere temporalesche si addensano all’orizzonte intorno alla Sardegna e non fanno presagire nulla di buono. Il vento soffia impetuoso sul mare in burrasca, marinai preoccupati si tirano su il bavero del giaccone, onde minacciose si accavallano e finiscono la loro corsa infrangendosi sugli scogli, i tuoni rombano e i fulmini illuminano per alcuni istanti il ghigno mefistofelico di un diavolo in divisa. Grandine e pioggia circondano questa bella isola, sulla quale però, incredibilmente, il cielo è terso, il sole splende e tutto sembra andare bene: gli uccellini cinguettano sugli alberi ricoperti di polveri sottili, gli animali pascolano spensierati sui prati dove risuona ancora l’eco delle esercitazioni militari, i fiumi scorrono limpidi come la coscienza di chi da cinquant’anni fa ottimi investimenti sull’ambiente e ci garantisce che tutto è a posto. Ma la storia prima o poi presenta il conto, anche in forma cartacea.
Lo sa il vento, il libro-inchiesta di Carlo Porcedda e Maddalena Brunetti con la prefazione di Paolo Fresu, in libreria dal 30 novembre, ci racconta che aria tira sulla Sardegna, ma non vuole stupire con effetti speciali e nemmeno fornire l’alibi dell’impegno a chi del disimpegno fa da sempre la sua ragione di vita.
È un libro doloroso fatto per essere letto, il che non è affatto scontato: gli autori ci sono riusciti attraverso un lungo e delicato lavoro di versione in prosa di una gran quantità di documenti, testimonianze, fatti.
Chissà se a molti di noi basterà leggere questo atto d’accusa avvincente come un romanzo, pesante come i metalli di cui parla, per liberarci la coscienza con qualche ora di riflessione sdegnata. Le 220 pagine che lo compongono evidenziano colpe che vanno oltre l’uranio, l’inquinamento, gli industriali, i militari e i politici senza scrupoli; emergono responsabilità che toccano gli stessi abitanti della seconda isola più estesa del Mediterraneo, disposti a sacrificare l’ambiente che li ospita da sempre, propensi a farsi avvelenare e condannare a morte pur di sentire parole magiche come “occupazione” e “lavoro”.
Ecco cosa sa il vento, sa che più che la sindrome di Quirra il male invisibile della Sardegna sembra una versione della sindrome di Stoccolma, una certa mentalità colonizzata dei sardi che li porta a giustificare chi li tiene in ostaggio e minaccia di ucciderli.
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Di che cosa parla questo libro?
Racconta un viaggio in una Sardegna poco conosciuta, quella aggredita da veleni che non si vedono e che da decenni compromettono alcune delle zone più belle di quest’isola. Un viaggio che ruota intorno alla data del 4 gennaio 2011, quando il quotidiano L’Unione Sarda, in un articolo di Paolo Carta, rende pubblici i dati del rapporto informale di alcuni veterinari delle Asl di Cagliari e Lanusei. Una fuga di notizie che delinea un quadro a dir poco allarmante: dal 2000 a oggi, 10 dei 18 pastori (il 65%) che stabilmente fanno pascolare le greggi nel poligono del Salto di Quirra hanno contratto gravi forme tumorali o sono morti. E dal 2009 si registrano almeno altri quattro casi.
E così il 12 gennaio di quest’anno, sulla base di una notizia di reato presa dai giornali (la pubblicazione del rapporto dei veterinari), il procuratore capo di Lanusei, Domenico Fiordalisi, ha aperto un fascicolo penale contro ignoti per indagare sulle possibili connessioni tra tumori e attività del poligono, per cercare di dare una risposta a domande che vengono spontanee: perché in una ristretta comunità di pastori e allevatori si registra un’alta percentuale di linfomi e tumori, gli stessi mali che hanno ucciso o fatto ammalare i soldati in missione all’estero? Perché quegli stessi mali, a cui si sommano le malformazioni di animali nati in stalle e ovili che gravitano attorno alla base militare, hanno colpito anche militari e dipendenti civili in forze al poligono?
Uno dei momenti clou del libro è il “Sardegna Horror Tour”.
È un capitolo in cui riproponiamo quello che ogni sardo fa normalmente, ossia portare gli amici a vedere gli angoli belli della Sardegna, passare di spiaggia in spiaggia, di bellezza in bellezza. Alla stessa stregua noi accompagniamo il lettore attraverso un vero e proprio horror tour: da Sarroch – il polo petrolchimico più grande del Mediterraneo – ai poligoni di Quirra e Teulada, da Capo Frasca a Porto Torres, da La Maddalena a Ottana.
Che diavolo è “il male invisibile”?
Intanto è una forma d’inquinamento di nuova generazione che nasce all’interno dei poligoni militari. Quelli di Quirra e Teulada, unitamente a Capo Frasca, costituiscono il fronte interno più grande d’Europa, un territorio in cui da circa cinquant’anni le truppe alleate possono permettersi di fare i propri comodi indisturbate. Ricordiamo che sulla Sardegna grava il 60% del demanio militare italiano, un prezzo spaventosamente alto in termini di costi e concessioni territoriali.
Ma le bombe non sono solo militari, sono anche quelle ambientali costituite da fabbriche, raffinerie – miniere d’oro che ci hanno lasciato colline sventrate e fanghi al cianuro – e poi industrie chimiche, emissioni e scarichi di ogni tipo, fanghi rossi e metalli pesanti, sommergibili a propulsione atomica, e si può continuare.
Liberté, égalité, radioactivité. Che cos’è la “Sindrome di Quirra”?
I fattori di rischio connessi con quella che ormai per tutti è la Sindrome di Quirra, e che potrebbero concorrere a causare linfomi e leucemie, sono quelli denunciati da tempo: munizioni all’uranio impoverito, inquinamento da nanoparticelle di metalli pesanti, sostanze chimiche inquinanti e irradiazione di campi elettromagnetici. Il comitato popolare di difesa ambientale del Sarrabus-Gerrei commenta così la presenza nell’area, tra gli altri, di sei radar RIS 3C attivi: «Questi radar sono pericolosi a distanze ben al di fuori dal demanio militare, toccando anche zone intensamente frequentate dalla popolazione. Sono installazioni totalmente illegali che dovrebbero stare a 300-400 metri dalle abitazioni, se si considerano le emissioni acute, e a 2-3 chilometri prendendo in esame quelle costanti. Invece i radar sono praticamente nell’abitato.»
Il problema è che non solo mancano indagini epidemiologiche serie, ma i pochi accertamenti sullo stato dei territori dei poligoni sono stati fatti sulla base di prelievi a campione realizzati su indicazioni dei militari o commissionati e pagati dal ministero della Difesa. Come dire: i controllati si autocertificano, ossia i controllori sono gli stessi controllati. E quest’anno si sono confrontate le conferme dell’inquinamento da torio in una zona del poligono dei consulenti scientifici della procura di Lanusei con i più recenti dati “tranquillizzanti” dell’assessorato regionale alla Sanità e dell’Istituto zooprofilattico di Sassari. Sono ancora da completare, ma la catena alimentare è stata già giudicata “non a rischio”. Insomma, due tesi scientifiche una l’opposto dell’altra. Possiamo stare tranquilli.
Che dire delle polveri sottili e dei veleni?
Decenni di inquinamento e di stupro di questa terra hanno prodotto e continuano a produrre risultati talmente evidenti che non possono più essere nascosti. Certi disastri hanno causato effetti macroscopici: per esempio, si pensi che il benzene ritrovato in una falda acquifera a due chilometri dalla zona industriale di Porto Torres è 475.000 volte superiore al livello di legge.
Ma gli abitanti dei luoghi aggrediti e messi in pericolo come (re)agiscono?
Parliamo delle persone. Ce ne sono alcune che da decenni combattono la loro lotta quotidiana contro il dolore, per lutti inspiegabili e non spiegati tuttora: bambini con gravissime malformazioni che nessuno vuole chiarire, salvo sentir dire – senza poterlo dimostrare – che il problema è che i sardi si accoppiano fra loro. Ciò che ci ha colpito molto in questo viaggio è come le persone che ci hanno affidato storie di vero e proprio dolore si siano sentite sollevate e ci abbiano ringraziato, perché raramente hanno trovato qualcuno che prestasse loro ascolto.
Per il resto, cercando di capire e di farci un’idea concreta, ci siamo scontrati con un muro fatto di omertà da parte di chi dovrebbe occuparsi per primo di garantire la salute dei sardi o dei propri concittadini, un muro di paura da parte di chi non vuole trovarsi isolato per le conseguenze di una propria denuncia o di una voce dissonante in un ambiente ostile.
Ci sono infine quelli che all’invito a collaborare del magistrato Fiordalisi hanno reagito con fastidio (dai generali ai pastori, dai sindaci alle associazioni di allevatori), ma anche quelli che hanno sommerso di chiamate la procura di Lanusei con testimonianze e richieste di appuntamento.
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Dalla prefazione di Paolo Fresu:
Mai e poi mai avremmo pensato di essere sopraffatti dalle ciminiere bianche e rosse che sputano fuoco, dalle luci notturne delle raffinerie e dai cadaveri in lamiera dei tank militari. In questi ultimi decenni molti hanno taciuto sulle responsabilità legate all’industrializzazione e alla militarizzazione della Sardegna. Imprenditori e politici, costruttori senza scrupoli e militari hanno minato uno dei luoghi più belli e incontaminati del pianeta. Ma il vento gira e ogni tanto spira dalla parte dei vinti, di chi ostinato non vuol dimenticare.
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Lo sa il vento
Il male invisibile della Sardegna
- Autori: Carlo Porcedda, Maddalena Brunetti
- pagine: 224
- ISBN: 978-88-6627-013-3
- Anno: 2011
http://www.youtube.com/watch?v=i3auZDmxG3g
Carlo Porcedda, giornalista, sceneggiatore e documentarista, ha pubblicato inchieste e reportage per D-la Repubblica delle Donne, Quark, El Mundo, Il Venerdì, l’Espresso. Tra i suoi lavori, il cortometraggio La cura, i documentari L’isola dei centenari e la videoinchiesta Lingotti al cianuro.
Maddalena Brunetti, cronista di nera e giudiziaria, ha pubblicato articoli per diverse testate quali Corriere della Sera, Epolis, Sette. Dal 2010 vive e lavora a Cagliari dove collabora con Sardegna Quotidiano e l‘Agi.