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Saggio sulla condizione neoliberista
di Maurizio Lazzarato* – deriveapprodi
«Perché la vita e il tempo non sarà di Dio, ma non è neanche del capitale: è solo nostra».
(Andrea Fumagalli)
Giorno dopo giorno siamo sempre più debitori: nei confronti dello Stato, delle assicurazioni private, delle imprese. E per onorare i nostri debiti siamo sempre più costretti a diventare «imprenditori» delle nostre vite, del nostro «capitale umano». Il nostro orizzonte materiale ed esistenziale viene così del tutto stravolto. Il debito, tanto privato che pubblico, è la chiave di volta attraverso la quale leggere il progetto di un”economia fondata sul pensiero neoliberista.
Rileggendo Marx, Nietzsche, Deleuze e Foucault l”autore dimostra che il debito è anzitutto una costruzione politica e che la relazione creditore/debitore è il rapporto sociale fondamentale delle nostre società .
Perché il debito non è semplicemente un dispositivo economico, è anche, e soprattutto, una tecnica di governo e di controllo delle soggettività individuali e collettive.
Come sfuggire alla condizione neoliberista dell”uomo indebitato? Per Maurizio Lazzarato la risposta non è semplicemente economica. Ciò che dobbiamo rimettere in discussione è proprio «il sistema del debito» oggi alla base della struttura del capitalismo.
Avvertenza
In Europa, alla stregua di altre parti del mondo, la lotta di classe oggi si dispiega e concentra intorno al debito. Con una crisi del debito che arriva a toccare gli Stati Uniti e il mondo anglo-sassone, ovvero i paesi che hanno prodotto, oltre all”ultimo disastro finanziario, soprattutto il neoliberismo. La relazione creditore-debitore, che sarà al centro della nostra argomentazione, intensifica i meccanismi di sfruttamento e di dominio in forma trasversale, senza fare alcuna distinzione tra occupati e disoccupati, consumatori e produttori, attivi e inattivi, pensionati o beneficiari di sussidi.
Di fronte al capitale, che si presenta come il Grande Creditore, il Creditore universale, sono tutti «debitori», colpevoli e responsabili. Una delle principali poste in gioco del neoliberismo resta quella della proprietà – com”è chiaramente dimostrato dalla «crisi» attuale -, poiché la relazione creditore-debitore esprime un rapporto di forza tra proprietari (di capitale) e non proprietari (di capitale). Attraverso il debito pubblico a indebitarsi è l”intera società , cosa che non impedisce, ma esaspera, «le disuguaglianze», che sarebbe venuto il momento di chiamare «differenze di classe».
Le illusioni economiche e politiche di questi ultimi quarant”anni cadono l”una dopo l”altra, rendendo le politiche neoliberiste ancora più brutali. La new economy, la società dell”informazione, la società della conoscenza sono tutte solubili nell”economia del debito. Nelle democrazie che hanno trionfato sul comunismo pochissime persone (qualche funzionario dell”Fmi, dell”Europa e della Banca centrale europea, insieme a qualche politico) decidono per tutti secondo gli interessi di una minoranza.
La grandissima maggioranza degli europei viene tre volte deprivata dall”economia del debito: deprivata del già debole potere politico concesso dalla democrazia rappresentativa; deprivata di una quota sempre maggiore della ricchezza che le lotte trascorse avevano strappato all”accumulazione capitalistica; ma soprattutto, deprivata del futuro, ovvero del tempo, come decisione, scelta, come possibile.
La successione delle crisi finanziarie ha fatto violentemente emergere una figura soggettiva che era già presente, ma che oggi ormai investe l”insieme dello spazio pubblico: la figura dell”«uomo indebitato». Le realizzazioni individuali promesse dal neoliberismo («tutti azionisti, tutti proprietari, tutti imprenditori») ci spingono verso la condizione esistenziale di quest”uomo indebitato, responsabile e colpevole del suo stesso destino.
Questo saggio vuole proporre una genealogia e un”esplorazione della fabbrica economica e soggettiva dell”uomo indebitato. Dopo la precedente crisi finanziaria, scoppiata insieme alla bolla di internet, il capitalismo ha messo da parte le narrazioni epiche elaborate intorno ai «personaggi concettuali» dell”imprenditore, dei creativi, del lavoratore indipendente «orgoglioso di essere il padrone di se stesso», i quali, nel perseguire unicamente i loro privati interessi, lavorano per il bene di tutti.
L”investimento, la mobilitazione soggettiva e il lavoro su di sé, predicati dal management fin dagli anni Ottanta, si sono trasformati in un imperativo ad assumere su di sé i costi e i rischi della catastrofe economica e finanziaria. La popolazione deve farsi carico di tutto ciò che le imprese e lo Stato sociale «esternalizzano» verso la società , dunque anzitutto del debito.
Per i padroni, i media, gli uomini politici e gli esperti, le cause della situazione non sono da ricercare nelle politiche monetarie e fiscali che scavano il deficit – operando un massiccio trasferimento di ricchezza verso i più ricchi e le imprese -, né nel susseguirsi delle crisi finanziarie che, dopo essere di fatto scomparse durante i «gloriosi trent”anni», continuano a ripetersi e a estorcere strabilianti somme di denaro alla popolazione, nel tentativo di evitare ciò che viene chiamato «crisi sistemica». Per tutti costoro, colpiti da amnesia, le vere cause di queste crisi incessanti risiederebbero nelle eccessive pretese dei governati (in particolare di quelli dell”Europa del Sud), che vogliono vivere come «cicale», e nella corruzione delle classi dirigenti, che in realtà hanno sempre svolto un ruolo nella divisione internazionale del lavoro e del potere.
Il blocco di potere neoliberista non può e non vuole «regolare» gli «eccessi» della finanza, perché il suo programma politico è ancora quello rappresentato dalle scelte e dalle decisioni che ci hanno portato all”ultima crisi finanziaria. Con il ricatto del default del debito sovrano, intende invece portare fino in fondo questo programma, di cui fin dagli anni Settanta fantastica la completa applicazione: ridurre i salari a un livello minimo, tagliare i servizi sociali per mettere il Welfare al servizio dei nuovi «assistiti» (le imprese e i ricchi) e privatizzare qualunque cosa.
Per analizzare non solo la finanza, ma anche l”economia del debito, che la ingloba e la supera, nonché la sua politica di assoggettamento, siamo privi di strumenti teorici, di concetti, di enunciati. In questo libro intendiamo tornare all”analisi del rapporto creditore-debitore compiuta dal Deleuze e Guattari con L”anti-Edipo. Pubblicato nel 1972 – e anticipando teoricamente lo spostamento che il Capitale avrebbe successivamente operato – questo testo ci consente, alla luce di una lettura della Genealogia della morale di Nietzsche e della teoria marxiana della moneta, di riattivare due ipotesi.
Anzitutto, l”ipotesi secondo la quale il paradigma sociale non è dato dallo scambio (economico e/o simbolico), ma dal credito. Alla base della relazione sociale non c”è l”uguaglianza (dello scambio), ma l”asimmetria del rapporto debito/credito che precede, storicamente e teoricamente, la relazione tra produzione e lavoro salariato.
Poi, l”ipotesi che vede nel debito un rapporto economico indissociabile dalla produzione del soggetto debitore e della sua «moralità ». L”economia del debito riveste il lavoro, nel senso classico del termine, di un «lavoro sul sé», così da far funzionare in modo congiunto economia ed «etica».
Il concetto contemporaneo di «economia» ricopre sia la produzione economica che la produzione di soggettività . Le categorie classiche della sequenza rivoluzionaria dei secoli XIX e XX – lavoro, sociale e politica – vengono attraversate dal debito e in larga parte da questo ridefinite. Occorre dunque avventurarsi in territorio nemico e analizzare l”economia del debito e della produzione dell”uomo indebitato, nel tentativo di costruire armi utili a combattere le battaglie che si annunciano. Poiché la crisi, lungi dal chiudersi, rischia di estendersi.
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