'Le vie di fuga dall''annunciata apocalisse '

Recensione del saggio di Mauro Bonaiuti "La grande transizione. Dal declino alla società della decrescita", con prefazione di S. Latouche. [Paolo Cacciari]

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8 Giugno 2013 - 23.02


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di Paolo Cacciari.

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Comprendere le cause di questa crisi economica è premessa indispensabile
per avanzare soluzioni all”altezza della situazione e che abbiano,
quindi, la possibilità di apparire credibili agli occhi di chi ne sta
subendo le peggiori conseguenze. Per farlo bisogna analizzare la crisi
nel profondo e con una capacità di proiezione storica, non fermandosi
alle apparenze e non facendosi distrarre dalle molte sfortunate
specificità nazionali che aggravano in special modo le sofferenze
sociali nell”area mediterranea europea.

Quella che il capitalismo sta conoscendo non è una delle ricorrenti
crisi congiunturali, fisiologiche che accompagnano l”alternanza di cicli
espansivi e depressivi del processo economico. Ci troviamo di fronte,
quantomeno, ad una «tempesta perfetta», ad un intreccio e ad una
sovrapposizione di tante diverse crisi. Una crisi multidimensionale e
polisistemica che potrebbe preludere al cedimento strutturale delle
istituzioni socioeconomiche e politiche esistenti. Non si tratta di
un”ipotesi accademica. È già accaduto molte volte nella storia
dell”umanità. Facendo attenzione che il «collasso – come scrive lo
storico Niall Ferguson, Complexity and Collapse. Empires on the Edge of Chaos – arriva come un lampo nella notte». Gli imperi impiegano molti secoli a crescere e ad imporsi, ma pochi anni a scomparire.

Una sovrapposizione letale

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Sono proprio gli studi di Joseph Tainer (The Collapse of Ccomplex Societies, Cambrige Univertity Press, 1988) e di Jared Diamond (Collasso, Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi) la base delle riflessioni di Mauro Bonaiuti (La grande transizione. Dal declino alla società della decrescita,
con prefazione di Serge Latouche, Bollati Boringhieri, pp. 188, euro
15), l”economista che ha fatto conoscere in Italia Nicholas
Georgescu-Roegen, padre delle teorie bioeconomiche (quelle che collocano
l”economia all”interno della biosfera) e che da tempo sostiene la
necessità di una trasformazione della società attraverso una decrescita
conviviale, scelta, selettiva, serena.

Sappiamo già che quella che stiamo vivendo non è (solo) una crisi di
solvibilità dei debiti «sovrani» e di quelli delle famiglie e delle
imprese. Non è nemmeno (solo) una crisi da domanda e quindi di
sovrapproduzione. Tantomeno una crisi finanziaria, visto che siamo
letteralmente sommersi dalla liquidità che indossa le divise del
dollaro, dello yen o dell”euro. È certo (anche) una crisi dovuta alla
rarefazione delle risorse naturali, che si rendono quindi sempre meno
accessibili e più costose.

È certamente una crisi ecosistemica planetaria con effetti
«controproduttivi» devastanti, basti pensare agli sconvolgimenti
climatici. È una crisi geopolitica dovuta allo spostamento del
baricentro del sistema delle relazioni economiche da un oceano all”altro
che muta consolidate «ragioni di scambio» tra ex primo mondo ed ex
terzo mondo e, conseguentemente, fa saltare le bilance commerciali di
molti stati. Cӏ sicuramente (anche) una crisi occupazionale dovuta
all”innovazione tecnologiche che ha aumentato esponenzialmente la
produttività industriale, i profitti delle (poche) companies
multinazionali e i fallimenti a grappolo delle piccole e medie imprese,
poiché sappiamo che i comportamenti competitivi non sono mai a somma
positiva. C”è (anche) una crisi di profittabilità di quelle imprese
(compreso il settore dei servizi) che non sono riuscite ad
internazionalizzarsi. L”elenco potrebbe continuare a lungo mischiando
tipologie di crisi che gli economisti solitamente attribuivano a fasi
storiche distinte e a aree geografiche separate e che invece ora
precipitano tutte assieme. Forza della globalizzazione. Non deve stupire
quindi che medici di scuole e specialità diverse somministrano
contemporaneamente al malato medicine contraddittorie: eccitanti e
calmanti, antivirus e antibattericidi. Ma una pillola per ogni sintomo
con cura il male.

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Che il malato (il capitalismo occidentale) muoia non sarebbe una grande
tragedia, avendo conosciuto quante nefandezze ha combinato durante la
sua vita. Il guaio è che sta trascinando nella disperazione i ceti
sociali più deboli, gli individui che nel corso della sua marcia
trionfale ha reso totalmente dipendenti dalla produzione di reddito
attraverso il lavoro subordinato. Quando crolla un impero, a farne le
spese non sono solo i cortigiani. E ciò ci obbliga a preparare vie di
fuga e alternative di vita.

Da tutte le manifestazioni della crisi in atto, Bonaiuti ne conclude che
sia giunta a termine la fase economicamente espansiva dei paesi a
capitalismo maturo. La riprova è la progressiva caduta dei rendimenti di
tutti i fattori produttivi, da non confondersi con la sola caduta del
saggio di profitto, né con l”idea ricardiana della produttività
marginale decrescente. Secondo l”autore il sistema socioeconomico
globale avrebbe già oggi raggiunto i limiti esterni (energetici e di
sfruttamento delle risorse naturali in generale) della sostenibilità
ambientale e quelli interni della tollerabilità sociale (disuguaglianze,
frustrazioni consumistiche, dissoluzione dei legami comunitari), gli
uni e gli altri legati alla natura entropica del processo economico
capitalistico, fondato su una logica «autoaccrescitiva», predatoria ed
estrattivista. Siamo dunque giunti al «crepuscolo dell”età della
crescita».

La ricerca di alternative

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Il libro di Bonaiuti si svolge a partire dalla riscoperta delle «scienze
della complessità» nei sistemi fisici, biologici e sociali. Descrive
poi l”«età della crescita» come prodotto della spirale
accumulazione-innovazione. Spiega il declino dei paesi del capitalismo
maturo con il fenomeno dei «rendimenti decrescenti» . Infine prospetta
possibili punti di caduta della tarda modernità («scenari») ricavati
dalla storia che comprendono orribili «derive autoritarie». A meno che
le nostre società non scelgano di imboccare la via della resilienza e
riescano ad utilizzare ragionevolmente le risorse del proprio ambiente.

Al lettore «di sinistra» il saggio di Bonaiuti provoca qualche angoscia
per la mancanza dell”individuazione e della nominazione di un qualche
soggetto capace di intraprendere la via di una nuova «Grande
Trasformazione» polanyiana. Penso infatti che a motivare uomini e donne
non sia sufficiente la ragione astratta e nemmeno la necessità imposta
dal pericolo di una imminente catastrofe. Per rimuovere il «teorema
dell”impossibilità» (There Is No Alternative) serve un «immaginario
sociale» non certo nostalgico, ma pur sempre fondato su una libera
scelta etica di valori e di interessi riconoscibili.

Fonte: http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20130606/manip2pg/11/manip2pz/341349/
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