La filosofia che chiarisce la fisica

"Che cos’è il tempo? Einstein, Gödel e l’esperienza comune". Mauro Dorato e il rapporto tra filosofia e fisica nel XX secolo. [Carlo Rovelli]

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15 Luglio 2013 - 12.53


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di Carlo Rovelli

«E pur si muove!». Così, narra la leggenda, mormorava Galilei, mentre in pubblico dichiarava di rinunciare all’idea che la Terra si muovesse. Parole intense. Ma forse non tanto perché esprimono la determinazione dello scienziato che non vuole farsi dettare la verità; quanto piuttosto perché sembrano tradire quasi una lotta interiore. La lotta fra l’evidenza palese dell’immobilità della Terra intorno a noi e lo sconcertante sospetto che quest’immobilità sia illusoria, e stiamo roteando nel cosmo. Credo che ancora oggi ciascuno di noi, se per un attimo guarda intorno a sé le case o le colline e fa mente locale alla velocità con cui tutto ciò sta facendo capriole nello spazio (40 chilometri al secondo), non possa non risentire questa vertigine, e mormorare un po’ stupito «e pur si muove…».

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La scienza ci porta a queste scoperte contro-intuitive, che indicano i limiti del nostro senso comune; ma se il moto della Terra, chiarito nel 1600, è oggi integrato nel nostro sapere, altrettanto non si può dire delle sconcertanti scoperte sulla natura del tempo che hanno segnato il Ventesimo secolo. Per questo il lavoro di un filosofo italiano coltissimo e attento alla scienza come Mauro Dorato gioca un ruolo significativo per la cultura tutta intera, e il suo recente [b]Che cos’è il tempo? Einstein, Gödel e l’esperienza comune[/b], è importante.

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Dorato vede come compito della filosofia quello di portare chiarezza là dove le idee appaiono oscure, e riconciliare immagini del mondo apparentemente in conflitto proprie della scienza e del senso comune. Dopotutto possiamo comprendere che la Terra si muova, ma possiamo anche comprendere per quale ragione e come accada che ci sembri immobile. Fare filosofia, per Dorato, vuol dire arrivare a integrare il senso comune e il sapere scientifico, così come, dice con bella metafora, i nostri due occhi ci danno immagini leggermente diverse del mondo, e mettendole insieme acquistiamo profondità. La posizione di Dorato è quindi assai interessante: se da un lato aggira intelligentemente la tesi superficiale della svalutazione del senso comune a vuota illusione, dall’altro riesce a rispondere bene ai dubbi fuorvianti che il senso comune possa cogliere verità invisibili alla scienza. È legittimo – si chiede alla fine della prefazione – fare assunzioni metafisiche in conflitto con la fisica? E il libro offre gli strumenti per una risposta intelligente e articolata. Negativa.

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In questo modo la filosofia riacquista quella centralità, quella capacità di generare profondità e chiarezza che le compete. E profondità e chiarezza sono virtù di questo testo, prezioso per chi non voglia essere come un uomo del Settecento che pensasse ancora che la Terra fosse ferma, e voglia cominciare a capire qualcosa di questa strana storia che è il cambiamento completo di ciò che sappiamo sulla natura del tempo. Ma prezioso anche per uno scienziato che cerca nella filosofia quella sponda di chiarezza concettuale che non è il suo pane, e per il filosofo che voglia capire con precisione cosa sia successo al tempo nel mondo della scienza, senza per questo dover digerire manuali di matematica.

Dorato tocca la relatività generale e discute la questione della termodinamica e dell’irreversibilità, ma è sulla relatività speciale che si concentra, la prima grande teoria di Einstein, oggi confermata da innumerevoli esperienze. Per quello che riguarda il tempo è in questa teoria che è condensata la scoperta più sconcertante: non esiste un “presente” nell’universo e la storia delle cose non è separabile in passato, presente e futuro. L’idea di un “presente” esteso nello spazio è un’approssimazione, legata alla lentezza della nostra capacità mentale di risolvere tempi brevi (decimi di secondo), paragonata ai tempi (nano-secondi, al più milli-secondi) che impiega la luce a percorrere le distanze nelle quali ci muoviamo abitualmente. Il nostro presente è una piccola bolla approssimativa, limitata nello spazio, e se cerchiamo di estenderlo troviamo contraddizioni insormontabili. La metafisica del presente, cioè l’idea che la realtà esiste tutta nel presente, non è sostenibile, perché fa leva su un errore: estendere il nostro presente locale a distanze arbitrarie.

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Ma Dorato osserva con acutezza che questo non implica che il cambiamento sia illusione, come spesso si conclude un po’ frettolosamente. Il cambiamento e il fluire del tempo possono essere concepiti, ma localmente e non globalmente, e in relazione a un osservatore. Quest’osservazione diventa chiara nella limpida analisi che fa Dorato di un argomento contro la realtà del tempo presentato dal grandissimo logico e matematico Kurt Gödel: Dorato chiarisce come quella che Gödel mostra essere contraddittoria sia una concezione ideale di tempo globale e assoluto, non l’idea di tempo locale e relativo che fonda la nostra esperienza.

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In questo modo Dorato riesce a fare pulizia non solo di molte resistenze alle novità concettuali della nuova fisica, ma anche di facili conclusioni troppo semplificate. Non mi dilungo di più, anche perché ho spesso accennato ai misteri del tempo in queste pagine: se da questi cenni vi sono rimaste curiosità, il libro di Dorato è una guida sobria e comprensibile in questi astratti territori.

Forse dal canto mio avrei preferito che Dorato azzardasse a parlare anche della scienza di frontiera, delle questioni aperte dalla dinamica dello spaziotempo e dai suoi aspetti quantistici, che sfiora appena. È qui che le difficoltà diventano più acute e la chiarezza della sua filosofia ci sarebbe di più grande aiuto. Io vorrei sempre che i filosofi aiutassero noi fisici anche a guardare avanti. Ma Dorato è guardingo e meticoloso, non azzarda, procede con lentezza e precisione, e questo rende solido il libro, ne fa un saldo capitolo del dialogo fra scienza e filosofia. In un argomento difficile e scivoloso come questo, è raro essere d’accordo su tutto, ma non ci sono pagine dove mi sono trovato a voler obiettare qualcosa. Forse solo una: là dove, dopo aver correttamente identificato la freccia del tempo nella fisica della radiazione con quella entropica, e questa con quella legata al concetto di causa, Dorato ipotizza che la «freccia del divenire» possa essere primitiva e irriducibile. Sospetto non lo sia; trovo convincente l’insistenza di Dorato che sia reale e capace di rendere conto della nostra esperienza, ma penso che finiremo per comprendere che anche questa sia di origine statistica ed emergente. Ma qui siamo oltre i confini di quello che sappiamo.

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La prospettiva sulla natura del tempo in fisica teorica offerta da Dorato è articolata e originale, ma le sue parole sono pesate, e quello che è scritto è meditato e affidabile. Nel mondo confuso della nuova fisica del tempo, Dorato sa trovare punti fermi, collegarli con il nostro senso comune, e condurre il lettore per mano con rara chiarezza.

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