Intervista di Paolo Lambruschi a Susan George.
La guerra di classe non è morta, ma l’hanno stravinta i ricchi. Anzi, i
super ricchi, nuova classe globale che ora si chiama Hnwi, acronimo di High net worth individuals,
individui con alto patrimonio finanziario (almeno 35 milioni di
dollari). Parola di Warren Buffett, re dei mercati finanziari globali,
uno degli uomini più facoltosi del pianeta dunque membro di questo club
esclusivo in crescita continua nonostante la crisi, tanto da includere
quest’anno la quota record di 200 mila persone e del quale si parla
troppo poco.
La lotta di classe al contrario, un mondo
paradossale dove si ruba ai poveri per dare ai ricchi, è il tema
trattato dall’economista franco-statunitense Susan George, leader alla
fine dello scorso secolo del movimento no global, nel libro Come vincere la lotta di classe
edito in Italia da Feltrinelli. George, 69 anni, oggi presidente del
Transnational Institute di Amsterdam, è considerata una delle massime
esperte mondiali di fame nel mondo e di studi sulle disuguaglianze. Ma è
anche autorevole animatrice dei gruppi della società civile. A cavallo
del 2000 scrisse “Il rapporto Lugano”, un’opera di finzione letteraria
basata paradossalmente su fatti veri nel quale immaginava che un gruppo
di brillanti economisti venisse convocato da una misteriosa Commissione,
espressione del potere economico e finanziario, per disegnare gli
scenari adatti alla sviluppo del capitalismo nel XXI secolo. Volume che
azzeccò la previsione della crisi finanziaria disastrosa puntualmente
verificatasi nel 2007.
Nel suo ultimo volume la
studiosa scrive il seguito, riproponendo con una certa ironia la
medesima formula di finzione basata su fatti veri e immaginando che il
gruppo di consulenti sia stato di nuovo convocato nella quiete di una
villa sul lago in Svizzera per stilare un bilancio al termine della
crisi e capire come si possa mantenere lo status quo politico, economico
e finanziario. Con l’obiettivo di togliere di mezzo i diritti umani e
la democrazia, considerati l’ultimo ostacolo (o l’ultimo baluardo) da
superare per ricavare profitti più alti senza troppe seccature. Senza
dimenticare l’altra profezia azzeccata 13 anni fa dalla studiosa, quella
sui disastri ambientali dovuta ai cambiamenti climatici.
Nella lettura
del mondo al contrario, che rende tragicamente reale la lotta di classe
degli ultraricchi di Susan George, viene considerata ormai superata dai
consulenti del capitalismo selvaggio la strategia negazionista
dell’inquinamento globale da parte delle multinazionali petrolifere.
Anzi, occorre considerare seriamente i pericoli (evitare i Paesi colpiti
perché politicamente instabili) come le opportunità di investimento e
profitto che i mutamenti del clima offrono, come la possibilità di
accedere ai giacimenti di combustibile fossile e minerari dell’Artico o
di speculare con il land grabbing, l’acquisto di terreni
agricoli in Paesi poveri, da destinare alla creazione di riserve di
cereali e cibo per i ricchi Paesi del Golfo.
Signora
George, nel suo libro denuncia che l’establishment economico e
finanziario non ha sensi di colpa per quello che è accaduto nel mondo
negli ultimi sei-sette anni. Nemmeno un dubbio?
«Assolutamente
no. È uno dei paradossi di quest’epoca, i neoliberisti hanno capito il
significato del concetto di egemonia culturale di Antonio Gramsci e
l’hanno applicato benissimo. La loro ideologia è penetrata negli Stati
Uniti, poi si è diffusa in tutte le organizzazioni internazionali e
vanta un supporto intellettuale mai visto. Prendiamo l’Ue. Sono riusciti
a ottenere consenso e supporto proponendo misure di austerità per
uscire dalla crisi convincendo tutti che il bilancio di uno Stato e
quello di una famiglia sono la stessa cosa per cui si può spendere solo
in base alle entrate. Non è così, il debito pubblico storicamente
finanzia la crescita, è altra cosa dagli sprechi. Per fare un esempio
due economisti della Bocconi di Milano, Alesina e Ardeagna, a mio avviso
hanno fornito una errata base teorica alla Banca centrale europea, ai
governi e alle istituzioni europee proponendo l’austerità per
fronteggiare la depressione. E la gente è stata convinta
dell’ineluttabilità delle scelte. La prova? In Grecia non hanno fatto la
rivoluzione».
Perché è una teoria sbagliata?
«Dipende
da cosa si taglia. Se tagli gli sprechi, va bene. Ma un euro tagliato
ai servizi sociali come alla scuola ha un impatto che produce costi tre
volte più alti».
Liberismo o no, le banche occidentali sono state salvate dall’intervento pubblico…
«I
lavoratori hanno pagato e stanno pagando i costi della crisi provocata
da altri. Mi pare obiettivo dire che chi lavora oggi non riesca a
guadagnare abbastanza mentre i manager della finanza si sono elargiti
subito i lauti bonus derivanti da questi salvataggi. E che la ricchezza
accumulata in poche mani ammonti a 45 triliardi di dollari e sia
posseduta, da 200 mila persone. Trovo immorale tutto ciò. Ma è ancor più
immorale l’ideologia che consente loro di accumulare queste smisurate
ricchezze e di manipolare le persone facendo loro credere che tutto ciò
sia giusto e che le ricette per combattere la povertà siano quelle della
Banca mondiale o del Fondo monetario».
Ovvero?
«Si
continua a credere che ogni dollaro detassato alle grandi aziende e ai
più ricchi venga reinvestito produttivamente. Invece la ricchezza
finisce nei paradisi fiscali. E aldilà dei proclami nulla è stato fatto
per illuminare gli angoli bui di queste giurisdizioni segrete e
controllare i profitti di aziende e singoli. Le grandi corporation sono
ormai troppo forti e determinano il pensiero unico che ci racconta un
mondo bello, quello della globalizzazione, che crea occasioni per tutti.
Peccato sia così solo sulla carta».
Il movimento di Occupy contestava le grandi disuguaglianze. Perché non ha fatto breccia?
«Aveva
buoni contenuti, ma è stato anarchico. Hanno consentito a tutti di
parlare in un momento di rabbia collettiva, ma non hanno mai preso una
sola decisione per passare all’azione. Il problema della società civile è
la mancanza di una visione globale: gli ecologisti pensano solo
all’ambiente, i sindacati al lavoro, le femministe alle donne, altri a
finanza e tasse».
C’è un’alternativa percorribile al pensiero unico?
«Non
credo alle rivoluzioni, Ad esempio il modello non profit, quello
cooperativistico, è una via praticabile se cooperative e imprese sociali
trovano sistemi di finanziamento per crescere».
Nel libro lei prevede che democrazia e diritti siano a rischio. Qual è il pericolo?
«Il
pericolo è che la gente, il 99% di chi non detiene nulla, venga
convinta dal restante 1% dell’inutilità della politica. Prenda l’Ue.
Credo nell’Unione e nell’euro, ma a patto che siano partecipate dai
cittadini. Ormai l’85% delle leggi in Paesi come Italia e Francia
recepiscono le direttive della Commissione europea, un organismo non
eletto democraticamente e influenzato dalle lobby. Ma gli europei non si
ribellano, preferiscono astenersi dal voto. Così garantiscono lunga
vita al sistema ingiusto che ho descritto».
Fonte: http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/marx-sconfitto-dai-super-ricchi.aspx.
ARGOMENTO CORRELATO:
Sullo stesso argomento Megachip consiglia la lettura di un lungimirante libro di ben dieci anni fa, di Giulietto Chiesa e Marcello Villari: “Superclan“, (Feltrinelli, 2003).
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